martedì 29 aprile 2014


TANTO ERA MORTALE

 

By Vincenzo Calafiore

 

S’erano vergate tante pagine di parole piene di significato in quel tempo sbandato più per ricordare a noi stessi cosa fossimo nelle nostre mortali realtà.

Parole che avrebbero avuto la loro vita dentro un significato vanificate dall’insospettato desiderio di arrendersi al costante avanzare dell’ignoranza e della voluttuosità.

Il nostro era stato un regresso morale e sociale oltre che evidente anche incisivo, tanto che alla fine resoci conto di quanto basso e oltre il profilo umano eravamo caduti, c’eravamo preposti a subirne i conseguenti richiami e le dolorose azioni di una coscienza attenta e inviolabile.

Dunque, così violati nella nostra intima convinzione che tutto poteva scorrere ed espletarsi naturalmente e delusi dalle nostre stesse appariscenze obbligate, decidemmo successivamente come una sorta  di purificazione dalla decadenza morale e spirituale, di esiliarci in un deserto come fece Gesù.

Troppe tentazioni inutili, troppi i disagi. Tutto tatuato sulla pelle, terra inaridita dal vento dell’indifferenza.

Eppure da qualche parte dovrà pur esserci una “via di fuga” da questo essere inermi, arresi, oltraggiati,sfruttati; mi viene in mente guardando in cielo la costellazione di Orione là sono più convinto che mai avrei assieme a tanti altri la possibilità di ricominciare daccapo.

Ma è un sogno, una chimera, un’illusione adatta allo scopo, cioè di sopravvivere alla maceria causata dai troppi avari ed egoisti che tanto vanno idolatrati nei templi di finto paganesimo.

C’è stato un tempo in cui negli androni di case e palazzi s’udivano risate e canzoni echeggiare per le scale, profumi ed essenze dai balconi; ora solo che silenzio e scale asettiche, sconosciuti sulle rampe.

E’ cambiato qualcosa o siamo cambiati noi, e di che malattia soffriamo?

Siamo finiti murati vivi dai dettami e dal pragmatismo in cui divincolandoci e mescolandoci ogni giorno li abbiamo fatti nostri credendo in essi, trovare quello che è sempre mancato, illusoriamente pure, alla fine sconfitti senza poter ascoltare gli echi di un “ essere” grandi e geniali che han fatto toccare i cieli della beatitudine ascoltandoli nei teatri e nelle piazze sommessi dalla grandezza dei cori. Quando saremo in grado di equipararci a quelle arie scritte per definire la nostra umana coscienza oggi quasi sparita?

Sentiamo più che mai la necessità di raggiungere qualsiasi angolo di curvatura per poter rientrare in quello spazio infinito che un tempo si chiamava umanesimo; cerchiamo con ogni mezzo di tamponare le falle inflitte alle coscienze da questo inutile marasma in cui vermi più grossi producendo più liquame stanno per farci annegare in esso.

Allora fino a quando ci sarà la possibilità di prendere una “ via di fuga” e lasciare questo immane baratro in cui viviamo nella stessa misura dell’iniquo, prendiamola lasciando senza alcun timore la parvenza di vita, l’inutile necessario, il falso per il vero, e riprendiamoci la nostra vita tutta intera, tutta coscienza diventando: Tuareg!

 

sabato 26 aprile 2014


E’ COSI’

 

By Vincenzo Calafiore

Sopra la linea dell’orizzonte ogni sera lei mi attende sul profilo dell’onda, ogni giorno è così, arrivando da lontano,da altri mari di colore più azzurro, torno  a dirle e donarle quel mio intimo e coraggioso “ ti amo”.

Incontrarci ogni giorno sull’onda dell’emozione per lasciarci poi sul profilo scuro di un orizzonte…  un arrivederci che si ripete ogni volta.

Ho visto la mia vita di tanti “sì” e di tanti “forse”, con quella sua ironia ritmata da Raindrops Keep falling on my head, riuscirmi ad incantarmi fino alla fine!

Ho sentito in lontananza l’eco di parole mai giunte rumoreggiare come la risacca,  incalzare l’eterno mio improvvisato ogni dì su palcoscenici diversi e distinti.

Nel mio tempo lei.

Le sue segrete scritture raccontate a memoria sua schiava servile, vorrebbero condurmi all’abbraccio e al bacio sull’uscio ogni volta al mio ritorno che a volte non c’è.

Che lei si specchiasse su una superficie immobile io l’ho sempre saputo e quello che non conoscevo di me era già riflesso in lei. Allora che significato avrei  e quale il senso del mio fuggire al primo bagliore di un’emozione che lacerando il cuore si travasa dagli occhi al mare intorno?

Che vita, la mia! E’ stata e lo è ancora, una strada disseminata di buche, di pochi rettilinei e di tante salite; l’amo vissuta come è stata, sempre controcorrente e di libere scelte, con i suoi molteplici fallimenti e le rare vittorie, eppure non posso a fare a meno di inginocchiarmi dinanzi alla sua maestosità tutte le mattine aprendo gli occhi che mi regala lunghi silenzi in cui incontrare volti e ricordi di persone amate, mai più tornate.

Ecco è di queste cose che si tratta, di età e frammenti perduti che una parte di me cerca di rimettere assieme per offrire o disperdere a poco a poco indolore forse per un altro improvvisato sì.

Sono queste cose intime e preziose che ho voluto donare, un insieme di cose diverse della mia vita sgrammaticata e piena di errori, illeggibile forse.

E’ così.

Forse se stiamo ancora assieme, noi due è grazie a questa mia illogicità, alla follia del voler rimanere comunque quel che sempre sono stato, funambolo sospeso su un filo d’orizzonte!

Di cui continuo con poche parole a cercar di scrivere qualche pagina, non importano gli errori e i significati mancati, ma continuo ugualmente a camminare lungo le dorsali di un’esistenza vera, lontano dalle simulazioni, dalle finte vicissitudini a cui altri si sono sottoposti marginando di passo in passo le intime distanze.

Tu, silenzio, che riesci a dipanare le mie ombre, continua a donarti ai miei occhi, continua a fare di ogni mio “ sbagliato” una vittoria che riempia entrambi di onore, lascia che le mi prenda con i miei affanni e le sue stanchezze che fanno la mia vita unicità.

A volte penso a quanto grande appaia ai miei occhi la vita e quanto piccola lo sia invece agli occhi dell’amore: L’amo! 


Lei è così importante così sognante che quasi mi fa toccare il cielo ogni volta che mi guarda, questo è amore, questo è vita.

 

BUONGIORNO A CHI SI AMA

By Vincenzo Calafiore

Buongiorno a te!

Lo so per certi versi sono come una vite infilata in un pezzo di legno; a volte nemmeno io sono in grado di comprendermi e altre volte invece tutto mi appare limpido, così a portata di mano che per il desiderio di realizzarlo commetto anche dei grossolani errori.

Sono un uomo che ti ama.

Mi è capitato diverse volte in passato, e accaduto nuovamente e succederà ancora in futuro, ma la vita è una donna, fascinosa e intrigante, bugiarda a volte, da amare. Quando penso a una parola per poterti definire non so perché mi viene in mente il mare, “…. ma sì la donna è mare” mi dico! In cui tutto si forma e succede perché tu vuoi che succeda; perché sai come amarmi o come farmi annegare nei tuoi occhi, sai affascinarmi con i tuoi autunni e le primavere, ma sai anche inebriarmi di luce ….. la tua luce!

Che creatura meravigliosa sei.

Che universo sei.

Ho pensato a quanto sia difficile amarti e come potrebbe essere facile perderti e quanto sia meraviglioso per me  dirti quel piccolo – ti amo -.

E se un giorno non potrei dirtelo?

Io amo solo pronunciarlo fa già bene al cuore. Non c’è un perché accade e basta così ho scoperto nuove cose di una vita fino all’altro ieri apparentemente normale,

 

LA FORMA DELL’ARIA

 

By Vincenzo Calafiore

 

Più o meno alla mezzanotte, la luna era già alta, luminosa come gli occhi del sole, incipriata vanitosamente se ne stava a guardare qualcosa che in basso si muoveva su una spiaggia deserta.

Prima riuscivo a dormire un po’ di più, quando i piedi erano leggeri come ali di gabbiano, ora che in questa mia età maestosa sono una forma dell’aria con qualsiasi tempo e in tutte le stagioni mi sveglio sempre alla stessa ora come ubbidendo ad un forte richiamo interiore mi reco sulla spiaggia che mi appartiene fino all’alba.

Passi pesanti e affanno lasciano impronte sul filo alto del bagnasciuga, confine che il mare ridisegna giorno e notte, per non perdermi nei chiari scuri d’una conchiglia conficcata nell’infinito.

Così io torno.

Così muoio ogni notte all’ombra di un ricordo che si rinnova al mio pensiero di bianco sale.

Lei era un sorriso.

Lei era tutto quel che giace in fondo all’anima.

Quando la mia vita prese forma io cominciai a respirare l’aria triste dell’amore, incontrandola incontrai quei passi smarriti de un mancato rientro nel cerchio magico tra occhi e mento.

Che come il mare fa con la riva io con le dita le ridisegnavo sorrisi e carezze a fior di pelle.

Mai per lei negai  poiché di me s’era preso tutto anche ciò che in serbo tenevo da tempo.

Al suo sorriso ho donato la mia vita.

Però.

Che strano gioco sarà mai questo trattenuto da legacci di tela bianca che lei usò sul suo corpo teso come la corda di un imzad?

Perché ancora oggi in questa mia età imbiancata dagli anni sento dentro di me la sua voce o il suo frusciare come vento tra i rami, sotto le lenzuola di lino abbracciati uno di fronte all’alto labbra con labbra e occhi con occhi?

Dov’è ora lei?

In quelle strane vibrazioni notturne in fondo al cuore, avverto l’eco dei suoi passi e del suo ansimare quando piano le levavo le sue vesti bianche.

Cadevano i cieli ogni notte entro il quadrato di un’alcova di veli leggeri e luci soffuse negli aromi d’incensi.

Talvolta stupiva l’alba con la sua luce degli occhi.

M’imprigionava fra le sue braccia fino all’alba quando spariva lasciando la sua forma d’aria negli occhi.

 

 

IL MARE IN TASCA

 

By Calafiore Vincenzo ( manuzza )

Il mare trasformò i miei desideri in parole da quel giorno che per la prima volta lo vidi da una spiaggia remota e silenziosa.

Nel mio paese di montagna dove, se nevica, non si distingue la neve dal cielo. I bambini ascoltano le storie raccontate dai vecchi seduti su vecchie seggiole impagliate, davanti ad un fuoco; nelle lunghe giornate senza sole e di vento gelido. In una estate fresca e odorosa giunse Manuela, giovane e bella, attraente; prese in affitto una casa in fondo alla strada che porta fuori dal paese e  muore davanti al bosco. Durante il giorno andava a passeggiare dentro quella natura aspra e silenziosa, per certi aspetti opprimente, ritagliata in ristretti spazi di malinconia che a volte lascia attoniti. La incontrai al limitare del bosco, ci guardammo negli occhi senza aggiungere una parola di più al ciao scambiato.

Quell’incontro cambiò la mia vita sin dalla stessa sera e si diffuse nella notte in un’insinuante proiezione di pensieri come se facessero parte delle singole storie degli uomini e delle cose stesse,dilagano in sordina in ogni luogo ed età stendendo un silenzioso velo di protezione.

Sin dall’avvio ebbi solamente guardandola, “ il mare in tasca”, si frantumò la continuità quotidiana inserendosì, tutto, io compreso divenimmo situazioni in movimento.

Il gusto del sale in bocca lasciato dai giorni invisibili, raccogliendo qua e là le incertezze dell’immediato, surreali per certi versi, ricamandoci sopra composi luminosi affreschi di stupidità cosciente, davanti la sua immagina che la mia mente non ancora stanca ripropone.

Così io, narratore di me stesso, scrivo per me bugie tralasciando che l’amore è negli occhi di chi lo guarda e che il viaggio che desidero compiere è più importante del traguardo.

Un viaggio dal tempo infinito, iniziato da una bugia!

I paesaggi, le persone, l’amore, incontrati via via, maschere vagabonde ricoperte da pesantissime illusioni finiscono per trasformarsi in crudeli lacerazioni interiori; poi, come scheggia di un’immaginazione precoce, s’impiantano in testa.

Cammino su questa spiaggia sconosciuta incontrando scogli uguali a soldati annegati che risuscitano per maledire la notte che come una gigantesca mascella l’ingoia, mentre il mare si dibatte su di essi come a volersi divincolare dalle colpe.

Si avverte tuttavia nel mio risveglio il disaggio dei giorni invisibili, gli affanni e i dubbiosi approdi.

Cuore che non mi vuoi!

Amore accidentale e sogni spezzati.

Fra le cose che chiedono di tornare là dove tutto ebbe inizio.

Ma la vita continua con le sue quotidiane mappe marginate dal mistero.

Ti vorrei chiedere se mai mi hai amato!

Una figurazione inevitabilmente frantumata, che lascia tracce di se a chi vorrà trarre dalla sue pagine più precise cognizioni: la vita!

Se ne và come la neve senza rumore.

mercoledì 16 aprile 2014



Vorrei tornare a scrivere di “ politica” e facendolo diventerei oltre che insopportabile anche volgare percpenna e calamaio.jpeghè volgare lo è. Oltretutto sarebbe anche inconcludente, otterrei solo che a farmi del male, mentre loro con le facce di suola restano sempre lì arroccati e più forti. Quindi per me e per voi rimango nella “ 100 pagine in una” inventandomi per ripiego storie che forse non incontreranno il Vostro favore, col rischio anche di divenire lo stesso inopportuno; ma penso che almeno a qualcuno questi brevissimi racconti facciano compagnia o che lo facciano sognare, distrarre, allontanarlo per una brevità dall’usualità propria del quotidiano, non siamo delle macchine o cibernetici, neanche degli umanoidi, siamo degli esseri umani che hanno ancora sentimenti e piaceri che allontanano la morte certa. Penso al mio amico Piero Fundarò il quale stando a quello che mi disse un giorno, stampa questi fogli e li conserva, come me, che ne farò alla fine un libro da tenere, allora questo mi da piacere, mi fa continuare. Non vogliatemene a male, e se qualche pagina non vi piace stoppate l’istinto di cestinarla al momento, ma tenetela per rileggerla in seguito la potreste trovare poi interessante. Non dico sempre, ma ogni tanto anche se con brevissime note ditemi qualcosa, pure una cattiva parola, ma fatelo anche per non rimanere anonimi amici.

IL SEGNO SULLA PELLE

By Vincenzo Calafiore ( manuzza)

<< Tu, lo sapevi che avrei finito per ricaderci nuovamente e non hai fatto nulla per evitarlo, aiutarmi invece a non farlo, a rimanermi accanto…. >>
Sono state le ultime parole che ti dissi prima che tu sbattendo violentemente la porta uscissi definitivamente dalla mia vita.
Era una condizione davvero insopportabile, per certi versi contraddittoria, noi due schierati su posizioni diverse ci siamo dati battaglia per una vita intera quasi.
Assieme siamo andati per confini oltrepassati, abbiamo raccolto rose nei deserti, e dissetati nelle pozze. Ci siamo amati e forse ancora ci amiamo lo stesso nonostante la nostra separazione. Per me tu sei molto importante e senza te io certamente non esisterei neppure o peggio ancora non sarei quello che sono oggi anche se ho la testa con pochi capelli bianchi.
Sono venuto a te maggiormente di notte e rimasto fra le tue braccia fino all’alba, assieme abbiamo sognato e fatto sognare altri che come noi si amano e non lo sanno.
Ti ricordi quando ti dissi che tu sei il segno più bello che ho sulla pelle? Be… allora riuscimmo pure a litigare perché non avevi capito che quel segno altro non era che le nostre anime disegnate profondamente proprio come un tatuaggio del quale io ne andavo orgoglioso, fiero di appartenerti e del tuo essere in me.
Con te e solo per te, ci sono state notti bianche, specialmente quando andavo oltre le 100, o quando segnavo sulla tua pelle certi miei pensieri per non dimenticarli. Ma anche per dirti quanto io ti ami ancora, e dipenda da te come drogato dalla tua essenza, dalla tua verginità iniziale, dai tuoi riferimenti che come rotte sicure mi fanno navigare su mari più o meno burrascosi.
Ecco perché ti amo.
Ecco perché ami essere tracciata, segnata continuamente dalle mie parole, che ti raccontano intimi segreti che tu custodisci.
Ti amo troppo.
Ti amo mia dolce compagna, o culla di madreperla! Come vuoi sempre vero, sempre umano, sempre incerto.
Quando ti lascio ti porto via lo stesso per ricordare, per poter ancora amare e pensare che con te accanto potrò sempre lasciare questo vivere indegno e volare.
Si! Tu mi fai volare, follemente, indegnamente, fortemente coi sensi, con l’amore, con il sesso, con gli occhi, con la musica che è in te, quando sfogliandoti rileggo ciò che ti è stato da me donato e ti ringrazio perché senza di io non avrei ragione di esistere

giovedì 10 aprile 2014



LA MEMORIA DELL’ACQUA

By Vincenzo Calafiore

Apparentemente sembrava fosse rimasto tutto uguale, perfino lo specchio rotto per metà poggiato sulla mensolina di legno nell’angolo tra la porta della cucina e la finestra che da sull’orto, oltre il quale guardando bene tra i rami carichi di limoni s’intravede il mare.
Dal muretto di pietre rubate al mare a strapiombo sugli scogli, nelle sere d’estate quando mi sedevo a fumare una sigaretta e assistere estasiato al tramontare del sole pensavo a quanto fortunato ero ad essere spettatore della fluidità dei colori che mescolandosi fra loro ingannavano i miei occhi non facendoli distinguere quale fosse il mare vero, cioè se quello di sopra o quello di sotto.
Sul filo dell’orizzonte le sagome scure dei bastimenti che si lasciavano dietro lunghe scie di fumo nero che si dissolveva piano piano nell’aria.
La mia attenzione era attratta proprio da quell’insignificante particolare, lo sparire lentamente, ma anche dalla lunga scia bianca che si richiudeva su una lunga ferita sempre aperta.
Io con la mia vita non ci sono andato molto d’accordo, troppe cose ancora aperte, troppo rancore verso un destino avverso, ma lei, non è cominciata a piacermi più dal momento che avevo abbandonato Ortì, il paesino arroccato su una montagna generosa e profumata.
Ci andavo all’inizio dell’estate fino alla fine di ottobre.
La mia vita era quella, a contatto con i passeri e gli ovini che tornavano la sera assieme agli asini dalla prateria e si fermavano ad abbeverarsi nella vasca della fontana al centro della piazza di terra battuta.
C’era quell’aria pregna del profumo del fieno e nulla in quel tempo mi faceva presagire che un giorno quel mondo lo avrei perduto; Leda la mia prima fidanzata che lì era nata e viveva come un passero un giorno che ci eravamo incontrati sotto la tettoia di un fienile piena di nidi di rondini, mi disse: - Un giorno mi saluterai e non farai più ritorno.. -  fu proprio così. Negli anni che vennero, dopo la laurea in filosofia ci feci ritorno a Ortì incontrai la mia Leda sposata e con figli; sempre bella, sempre uguale, libera come un passero.
Capelli scuri e lunghi, raccolti sotto un fazzoletto bianco legato alla nuca, gonna larga e la camicetta blu che faceva risaltare i suoi grandi occhi scuri; mi raggiunse al solito nostro posto, c’era il fieno alto e abbiamo fatto l’amore, per l’ultima volta.
Nella mia casa vicino al mare ascolto nelle sere d’estate “ Una rondine al nido “ di Pavarotti, una lacrima segna comunque il mio viso e ricorda scivolando silenziosamente come la mia vita di tanti libri volata dietro una scrivania senza memoria.
Ancora con quel profumo di fieno e di finocchio selvatico nelle narici in mezzo ad un mare di cemento e semafori lampeggianti, viali vuoti e anonimi sotto un cielo di poche rondini e passeri.
Con la memoria di tanti sogni.


domenica 6 aprile 2014



TRACCE

By Vincenzo Calafiore

Dopo Bakur niente è stato più uguale. Per tornare avevamo camminato lungo deserti infuocati seguendo le orme di Amzar che ci condussero fuori da un mondo che non avremmo voluto mai abbandonare.
Passi incerti e andatura di chi non avrebbe mai voluto partire.
In quegli spazi dagli orizzonti confusi sentii il lamento degli anni che andandosene mi avevano lasciato segni che riportavano a ciò che era stato dimenticato.
Avevamo incrociato carovane, che come il mare si muovono in un incessante andare e tornare dentro silenziosi miraggi di cose a cui la mente piacevolmente torna sempre.
Eravamo diversi, allora, e vivemmo poi, come Poeti e navigatori sospesi in un’aurea di amori traditi dalla nostra stessa poesia.
Sotto un cielo che si allontanò dagli occhi lasciando il ricordo di piccoli aquiloni nelle mani di bambini lanciati dai tetti piatti o dalle cime di dune mai uguali. Quanto siamo lontani, quanti tristi ogni alba al risveglio senza echi di musiche e di parole, di cascate fra le rocce di un deserto ancora più grande.
La poesia era stata scritta e tramandata dai rituali gesti di donne anche nel cogliere rose del deserto, o dal vento che se le porta via e gonfiava i disciolti foulard attorno al collo, quanta immaginazione in certi occhi luminosi che colmavano le distanze a portata di mano.
Non vediamo la nostra morte nella stoltezza in bocche aride di parole.
Non ascoltiamo più il fruscio delle rime antiche.
Non voliamo sugli orizzonti sfocati dalle distanze, ma guardiamo il nulla attorno d’una felicità inaridite peggio dei deserti di Bakur.
Allora assetati di cose vere, vaghiamo dentro metropoli avvelenate e ristrette, sempre più sviluppate verso  il cielo non certo per avvicinarci a Dio, ma per respirare l’aria che arrivando dai deserti lascia di se musiche e parole scritte dal silenzio.
Lo zaino posto dietro l’uscio ha ancora la polvere della sabbia dorata, conserva ricordi che portano via l’anima a una tenda che parla di me seduto davanti ad un fuoco sotto un cielo immensamente stellato, senza confini o orizzonti di un tutto globale.
Allora mi ricordo della nostra stupidità del non renderci conto di camminare tutti sulla stessa terra sospesa in mezzo ad un mare blu infinito e ci facciamo guerre, massacriamo,ridisegniamo confini, e innalziamo nuove cattedrali piene di vuoto e ipocrite credenze.
Penso alla nostra voracità che fa deserti senza musica.
Mi viene voglia di rimettere lo zaino sulle spalle e tornare in quei deserti che ancora parlano di cose andate perdute che ancora vivono, dove le mie mani sono utili ad altre mani, le mie poche parole che unite ad altre fanno altre parole nuove per raccontare come un tempo si sapeva amare e sognare, tutto dentro un rumore di civiltà mai assopita , ove c’è un tempo per raccontare e amare, un tempo per questo mare infinito di gente.



mercoledì 2 aprile 2014



MARI IN MOVIMENTO
By Vicenzo Calafiore

Ci allontanammo sempre più dalle nostre certezze e da quel mare che un tempo avevamo sognato e dipinto più volte su vecchi quaderni di scuola dalla copertina nera. lo abbiamo continuato a dipingere più avanti negli anni in altri quaderni e in età diverse, ma sempre dello stesso colore, blu intenso e qualche gabbiano nel cielo.
A volte sembravano cartoline,
a volte disegni sbiaditi nelle mani di noi rimasti fanciulli!
Noi non ci chiedemmo più se era lo stesso mare di sempre.
Volevamo ad ogni costo raggiungere la terra dell’incontro da dove un giorno partimmo con la nostra vaghezza e con lo zaino pieno di sogni che da bambini un dì ci siamo scambiati e abbiamo continuato a scambiarli con le figurine o usati come moneta di scambio per poter oltrepassare la penosa immediatezza per sentirci più vicini a Dio.
Per raccontargli dei nostri mari in movimento.
Più volte sono caduto nell’inutile coscienza di un passeggero distacco,
più volte cercai invano quei disegni scarabocchiati su una pagina mai finita eppure Dio a volte è venuto non per chiedere ma per far dono di un sogno ancora più grande quando ancora misero giacevo fra le spire di una conchiglia morta..
Mi sono visto in quella pozza d’acqua marina come sono, canuto e cambiato, diverso dall’immagine che vedevo se appena mi discostavo da quella culla di madreperla, giovane e con tanti sogni ancora da realizzare, allora quale dei due sono io?
A quale dei due più appartengo?
A queste domande hai risposto più volte Tu, da quella volta che ti vidi smarrita e sola con dentro gli occhi, scritture in versi che mi hanno rivelato di quanto capace di mare sei.
Vederti è stata una folgorazione improvvisa e mortale, poiché da quel momento, quello che io credevo d’essere era andato perduto.
Che dirti e come ringraziarti di questo?
Amandoti?
Io non so amare.
Mi racconto a volte anche se in maniera diversa, non per trattenerti, ma per riconquistarti ogni giorno, ogni mattino come fosse la prima volta, svegliandomi già col desiderio di tornare a vederti anche se sei qui a volte irraggiungibile.
Oggi come ieri ci ritroviamo a scrivere con le stesse parole la notte degli anni, e di quei sogni che realizzati sono rimasti fra le nostre pagine, ci meravigliamo nei nostri stessi occhi degli sguardi intensi come la prima volta quando ti dissi t’amo più o meno in altri tempi e diverse età.
Sebbene siano state riempite pagine di segni e brevi tratti con inchiostri colorati che sommariamente inducono alla felicità noi riverberi di mari sempre in movimento ancora continuiamo con altre sembianze a rincorrerci e a ritrovarci, non importa come o perché quel che più importa è quella strana luce che abbiamo negli occhi, in tanti la chiamano  - amore -