domenica 29 giugno 2014




UNA COSCIENZA PLANANTE
di Vincenzo Calafiore

A volte capita di svegliarsi e schiudendo gli occhi alla prima luce sentire in se che qualcosa non è al suo posto; è come quando il sipario che calando o alzandosi da un palcoscenico al primo colpo d’occhio nell’insieme scenografico – qualcosa non torna –
Un tempo ormai quasi preistorico a confrontarlo con l’oggi si respirava un’aria di rigore e di onestà verso se stessi e gli altri poi, ma è un tempo andato, sparito, polverizzato.
Da un odierno amplificato nell’intero suo tessuto, il suo essere non giungono chiavi di lettura.
Ma c’è un dogma imperante che costringe a guardare oltre da una guardiola ristretta senza la possibilità di evitarsi le bruttezze, le volgarità, le decadenze, interamente di un tessuto sociale.
Se si potesse guardare all’inverso?
Cosa scopriremmo e cosa potremmo ancora imparare dai nostri limiti, dalla consuetudine, dalla facilità mutevole ed incontenibile di prendere o lasciare?
La nostra vulnerabilità e l’ignoranza persistente.
La nostra fine sarà stabilita da quanto in noi sia sviluppata o emarginata la percezione dei limiti necessariamente imposti da una coscienza morale e sociale mortificata e oltraggiata, verosimilmente in dissonanza con quanto quotidianamente e sublimemente ci viene imposto da una specie di surrogato di – demos – per certi versi raccapricciante.
Perfino le basilari cognizioni d’intendimento del cosiddetto – rapporto interpersonale- sono state mutate in una parvente fratellanza inesistente, scimmiottando e copiando con una certa praticità nell’elargire sentimenti e amicizie che nulla hanno a che fare con l’originale presa di coscienza.
Succede spesso così d’essere prede dello sconforto e della delusione causati da una cattiva interpretazione di alcuni sentimenti inviolabili quali sono o dovrebbero essere: l’amore e l’amicizia!
Questa maniera di buon mercato d’anime mi rammenta un’opera di Pablo Picasso,
“ Il bacio” opera dell’anno 1969 in quei due volti a saperli giustamente interpretare è scritto a chiare lettere il malessere.
Forse quel che più importa “oggi” è il sapersi svendere bene in ogni contesto senza alcuna dignità, senza alcun valore.
E’ d’obbligo l’apparenza assoluta, che poi vi siano dei contenuti o meno poco importa.
Bisogna seguire obbligatoriamente le mode e le correnti se no si è esclusi.
Allora forse sarà il caso di non guardare fuori da quella guardiola ristretta, rimanere meglio degli esclusi da giochi sporchi e spregiudicati e respirare perché si vuole respirare, avere così la possibilità di scegliere nel bene e nel male assumendosi le proprie responsabilità quanto possibile sarebbe poter oltrepassare certi limiti e confini oggi alla massa sconosciuti purtroppo.

venerdì 27 giugno 2014



SE NE PARLA POCO O QUASI NIENTE

di Vincenzo Calafiore

Nella terra dei miei avi, la Grecia, c’ero stato quando il suo sistema economico era entrato in crisi, ritrovai per le strade le uniformi nere di Alba Dorata e tanta povera gente in coda per un po’ di vitto.
In Italia nel frattempo da destra e da manca tuonavano frasi come “ …. Non faremo la fine della Grecia “
C’ero quando l’orchestra nazionale trasmise il suo ultimo concerto, sullo schermo i maestri che piangevano mentre suonavano.
E’ stato uno spettacolo triste e orrendo.
La prima mia reazione fu: chi ce l’ha fatto fare ad entrare in Europa? Non stavamo meglio prima?
Queste domande ancora mi frullano in testa ancora oggi che della Grecia non se ne parla più, come se fosse stata scaraventata in una specie di oblio collettivo ove perversa il si salvi chi può o meglio a loro che a noi.
Non è così che funziona,non può essere così se noi ci riteniamo essere degli umani.
Lì c’è un popolo orgoglioso, e una nazione che soffrono le umiliazioni peggiori.











Come si fa ad abbandonare la Grecia che è stata e lo è ancora la culla della civiltà?
Eppure è così è stata lasciata al suo destino. Che si compi pure per “foraggiare una banda di banchieri corrotti che se la stanno mangiando un po’ alla volta.
Mi pare di aver sentito se non ho capito male che il IV° Reichs, la Troika e la Germania siano contenti che la Grecia abbia superato la grave crisi e pare che corra….. corra. Non è la verità. La realtà purtroppo per la Grecia e anche per noi Italici è ben diversa.
L’economia greca è in fase recessiva, non è in crescita, l’economia greca è semplicemente crollata.
E sul tema, sono concordi molti economisti, che puntano il dito sulla troika europea, colpevole di aver portato al collasso il popolo grecoSul Daily Telegraph Ambrose Evans-Pritchard definisce le politiche della troika “un fallimento epico che sarà analizzato per anni dagli studiosi” e “un esperimento crudele a cui è stato sottoposto il popolo greco“.
E’un crollo economico che l’ha portata quasi alla morte, e stabilizzata in uno stato comatoso.
Ecco, questa è la Grecia.
Certo, qualcuno potrebbe sostenere il contrario. ( Uno scellerato).
Mi fermo qui. Una riflessione però è d’obbligo.
Davanti a questi accadimenti e ai drammatici tagli sullo stato sociale, istruzione, ricerca scientifica, sanità, operati su imposizione della Troika UE al governo greco per rimanere nell’Europa e nell’euro, tagli che hanno cancellato l’economia ellenica, fino a ridurla a paese del terzo mondo, forse sarebbe stato meglio per la Grecia il bel paese mediterraneo uscire dall’euro. Alla luce di quanto sopra, detto fra noi italiani, prima di cadere nello stesso errore, sarebbe cosa giusta di valutare attentamente e bene oltre che opportuno che le decisioni sulla nostra economia siano imposte dalla Troika e dalla Germania. (La Troika è un termine di origine russa, che sta ad indicare l’ unione tra Fondo Monetario Internazionale, Commissione Europea e Banca Centrale Europea. Tale concetto, viene analizzato all’interno del libro edito da Castelvecchi “Figli di Troika”di Bruno Amoroso, economista che presiede il Centro Studi Federico Caffè. La sovranità dei popoli, nel corso della storia, è stata limitata da gruppi di potere dominanti. In tal senso si è passati da una società basata su di un capitalismo espansivo e fondista, quindi basato sulla produzione di massa, ad un modello di crescita intensivo e introverso, che trova il proprio perno nel Giappone, l’Europa e gli Usa. In questo modo, sottolinea Amoroso, è nata una triade che ha inginocchiato il resto del mondo, portando alla crisi economica, attraverso il potere della finanza, delle tecnologie e dei sistemi militari.) Ne andrebbe del nostro futuro economico e di quello dei nostri figli, della nostra sovranità ( ormai quasi del tutto perduta), del nostro orgoglio ( lo abbiamo ancora?) Senza dimenticare i nostri fratelli greci ai quali forse dovremmo essere riconoscenti se oggi sappiamo leggere e scrivere, pensare ( Socrate, Aristotole…….. ) Altro che De Bello Gallico! Pensiamoci e bene pure!








martedì 24 giugno 2014



IL CORAGGIO


di Vincenzo Calafiore

<< Fedro – Simposio –
 Se vi fosse dunque qualche possibilità perché una città o un esercito fossero costituiti per intero da amatori e da amati, non vi è modo per cui potessero disporre meglio la propria esistenza tenendosi lontani da ogni bruttura e gareggiando tra di loro in desiderio di gloria, e combattendo insieme gli uni con gli altri, essi vincerebbero, anche se in pochi, per così dire, tutti gli uomini. Infatti l'uomo che ama sarebbe disposto ad essere visto da tutti gli altri mentre abbandona la posizione o getta via le armi più che dal proprio amato e sceglierebbe di morire più volte invece di questo. E quanto ad abbandonare l'amato o non portargli aiuto quando corre pericolo non c’è nessun vile a tal punto che amore stesso non lo renda pieno di ardore in valore, tanto da eguagliarlo anche a chi è valorosissimo in natura... »

Io non so cosa sia veramente il coraggio, ma se lo chiedessimo a un poeta esso saprebbe certamente illuminarci su questo tema con tante pagine di parole; forse è una condizione estrema o il raggiungimento di un punto di non ritorno.
Sarebbero interessanti le “forme” del coraggio, le motivazioni o le casualità che inducono ad un atto di coraggio. E’ forse l’eterna storia dell’uomo che nella sua esistenza ha in se un’unica ambizione, ahimè irrealizzabile, di raggiungere le stelle non con un razzo ma con le proprie forze.
Il pensiero torna a Ulisse, al suo coraggio di non essersi arreso ed è tornato a casa!
Ma esso stesso potrebbe essere una delle ironie della vita, dominata dal bene e dal male, dal caso. Così perché non pensare al coraggio percorso da uomini e donne e bambini all’inizio delle persecuzioni razziali che hanno preceduto l’Olocausto, di chi non riesce a darsi ragione di un’enorme ingiustizia, di un vero e proprio tradimento dell’umana coscienza.
Solo pochi hanno il coraggio di tagliare le radici e scegliere la via dell’esilio!
Pensare alla quotidianità come a una palude è un gravissimo errore, quando invece la quotidianità nell’immaginario è un’arena ove ci si scontra non per vincere ma per sopravvivere alle barbarie, al malessere che invade e pervade, all’insoddisfazione, alla solitudine, alle delusioni, alle perdite.
In questo odierno è coraggioso colui o colei che con dignità e orgoglio resiste all’oltraggio della costrizione di vivere con appena 600€ al mese contro chi con tanto di più rimane pure indifferente.
E’ coraggio percorrere la strada della rettitudine
E’ coraggio rimanere onesto
Allora se dovesse prendere ad esempio coloro che si appropriano indebitamente con mezzi più o meno legali del denaro altrui per conseguire agi e privilegi, chi del coraggio nella sua vita ne ha fatto una ragione si scoprirebbe essere o facente parte di una minoranza o di un’altra razza.
La verità dunque è che siamo tutti dei coraggiosi quando ogni mattina ci apprestiamo ad entrare nell’arena con la viva speranza di tornare a casa non da vittoriosi ma da uomini con tanto di orgoglio e di onore di aver fatto qualcosa di buono per se e per la propria famiglia, un motivo per raccontare la propria vita non per grandi avvenimenti da immortalare ma perché è la storia di un uomo piccolo o grande che sia, coraggioso. Di un uomo, il quale sorpreso da uno degli uragani più furiosi della storia, è sopravvissuto a un disastro che ha inghiottito interi sistemi e milioni di persone migliori e meno fortunate: la crisi monetaria volutamente applicata!

lunedì 23 giugno 2014







                                                                           SONO IO!

domenica 22 giugno 2014


Pelagia

 

Vincenzo Calafiore

 

Non so e credo non sia importante conoscere o d’informarsene in che misura siano importanti le motivazione per cui abbia dato questo titolo al mio breve romanzo.

L’unica certezza consisterà forse nel fatto che esso rappresenti o potrebbe rappresentare anche in maniera ammiccante che in questo caso oltre a degradarlo lo potrebbe ridurre da titolo importante a nomignolo villereccio. L’Amore.

In realtà, io un po’ scrittore-giornalista boulevardier, scabroso per certi versi, e clandestino pure in questa borghesia culturalmente arsa.

Questa l’opinione mia prevalente.

Quanto agli intellettuali tutto gli si può chiedere, tranne di scendere dall’Olimpo in cui questa borghesia frequentatrice dei più raffinati bordelli e di pederasti, bellocci e piacenti, li ha posti.

Me ne sono sempre guardato bene di farne parte di questi grandi illuminati e tanto meno di quella glamour culturale, marionetta di se stessa.

Ma la cosa che più mi allontana da questa immane concimaia è il vedere ogni giorno gli stessi abiti, le stesse camicette, gli stessi tagli dei capelli, le donne tatuate che sembrano delle pergamene indigene, uomini che usano molto spesso il diminutivo, il volgare linguaggio in bocca alle donne e agli uomini, gli appellativi con i quali si identificano: capra, biscia, rana, ciccia etc etc…. e i nomi a cosa servirebbero?

Io sono un fuggitivo da tutto questo e vivo nella mia isola felice, sono fuggito dal piattume culturale, dal pattume sociale, da tutto quanto è trasversale. Mi sono salvato e finalmente libero posso scrivere racconti come questo: Pelagia!

L’isola che tutti vorrebbero avere e esiste solo per uomini capaci di mare.

L’amore che significa eternità e non è per tutti

Il sogno coinvolgente che pochissimi fanno

Pelagia è il compendio di una vita bella, anzi bellissima solo se lei è dentro!

 

 

PS.

Fra breve disponibile sul mio sito gratuitamente

venerdì 20 giugno 2014


                        LA SOLITUDINE

 

di Vincenzo Calafiore

 

 

Amore la conosco bene la solitudine, a volte adorabile compagna a volte gelida carezza nel cuore e sono stati baci di arresa.

Ai tuoi occhi di brezza iniziai a parlare come il mare.

Come il mare io ti parlo e tu vieni a cercar le mie braccia che ti proteggono, docile di labbra azzurre nell’alba, splendenti ai miei occhi stanchi inutili alla tua luce.

Si amavano di notte  le mani, quando arcaici e palpitanti urli scorrevano sotterra e le dune bianche stirandosi come arcaici dorsali sfiorati da carezze di seta, mani, labbra che giungendo toccano.

Guardami e prendi unisci il sangue al sangue tuo.

Amiamoci con le nostre labbra che nascono da tempesta dura, labbra squarciate, speme su speme in mezzo fra vermiglio e azzurro.

Là come il mare io ti amo in un letto, ancella sanguigna.

Come il mare ti parlo e già muori nel serrato urlo d’amore, là nel fare il giorno e tra le scure sabbie della notte.

Siamo corpi in balia di ore e baci di dente contro dente. Corpi tesi di crescente desiderio come onde che su dai tuoi piedi carezzano le cosce, corpi che sollevandosi fluttuano sopra un mare di grandi ti amo.

Amore, come il mare ti parlo in una estesa intimità di vivente solitudine.

 

 

giovedì 19 giugno 2014


CHE BEL COLOR MARRONE

 

Di Vincenzo Calafiore

 

L’indomani dagli ultimi accadimenti di cronaca, oltre a levarmi il sonno, mi hanno costretto mio malgrado a pormi delle domande che ora “giro” a una platea indefinita ed invisibile.

Che mondo è mai questo?

E se ancora possiamo definirci – umani - ?

Mi vien da piangere….. ma che umani siamo, se neanche le bestie vorrebbero rassomigliarci?!

Pensando a questa società planetaria mi viene in mente un groviglio di vermi intelligenti di vario colore, ubbidienti a un dio scuro, il denaro! ; vermi che si nutrono e vivono come le zecche, capaci di divorare altre vite per necessità propria o collettiva che sia, o per ubbidire ad un verme più grande e più potente che dal suo buco umido e profondo ordina secondo una sua logica, e studia nuove strategie.

Un grumo di vermi che disconoscendo le coscienze si muove e si sviluppa con  nuove aggressività alla quali forse non si era preparati; è oramai una strana abitudine ascoltare gravissimi fatti di sangue che immancabilmente vedono coinvolti madri e figli, eseguiti da uomini indifferenti all’odore e colore del sangue, levati con una doccia e uscire da questa come se nulla fosse, magari consumando poi una pizza o come in questo caso a godersi una meritata visione di una partita di calcio.

Le cause sono molte e tutte correlate.

Si potrebbe ipotizzare che oggi camminando per le vie del borgo di incontrare minorenni molto sviluppate e truccate, vestiste in maniera succinta, uguali e simili ad una maggiorenne tanto da non poterne distinguere le differenze. E’ accaduto anche a me che incontrando al mercato una mia carissima amica accompagnata da un’altra persona io abbia scambiata questa per una donna della stessa età ed invece era la sua sorella di tredici anni che io non conoscevo.

Sono troppi ormai gli uomini che vivono di perversione.

Uomini che si nutrono di pornografia, oramai tanto dilatante da raggiungere tutte le abitazioni ove vi sia un pc e una rete internet.

Anni addietro, ebbi modo di partecipare ad un piccolo convegno di insegnanti per meglio affrontare il problema – pornografia - ed educare  successivamente le classi. Allora feci un giro di boa in internet digitando la parolina magica: film pornografici.

Una quantità enorme di siti di cui alcuni pure visionati anche se in brevità. Ne sono uscito sconcertato e mi sono sentito un pirla, uno alle prime armi del sesso, che non era quello che io conoscevo; donne e uomini al massimo della perversione, donne con animali ecct, ecct.

Con ciò non voglio affermare che la colpa sia della “ donna “ oramai troppo spinta  in una depravazione incontrollabile. La colpa è di questa società amorale che si muove e vive come un groviglio di vermi.

Per poter dire qualcosa su questo argomento non basterebbero migliaia di pagine e comunque alla fine troveremmo sempre un qualcosa da aggiungere e così fino all’infinito di noi stessi.

Forse l’unica cosa ( e non l’unico commento) che si potrebbe dire, e che ci siamo allontanati troppo dalla costa e stiamo navigando a vista in un mare di merda.

E’ marrone tutto ciò?

Ma potrebbe anche essere il fatto che è meglio apparire che essere.

E’ più comodo lasciare che prendere.

E’ più facile svendersi che no.

Restano però sul terreno le tante donne ammazzate e violentate, bambini spariti nel nulla, seviziati e violentati. I massacri moderni da guerre e dai commerci di vite umane, le grandi migrazioni sul mare.

I nuovi cimiteri in fondo ad un mare di cadaveri, di cui questa società di vermi si nutre indirettamente.

Forse questa epoca sarà un incubo che spero finisca, incubo di tanti dubbi e di tante perplessità, accattivante, e drammaticamente vero, tanto vero da farci saltare dal letto con una coscienza sconosciuta, profanata e derubata d’una verginità ormai memorica.

Forse incontrandoci non dovremmo chiederci, come va? Ma, hai dormito?

sabato 14 giugno 2014




Di Vincenzo Calafiore

Scrivere di questo argomento sicuramente non basterebbero due paginette, cercherò di essere il più conciso possibile per evitarvi “ l’annoiatezza “.



 “ Secondo Aristotele l'amicizia è una virtù indispensabile all'uomo: nessuno sceglierebbe di vivere senza amici,anche se possedesse tutti gli altri beni. Gli amici sono necessari nella prosperità come nel bisogno, nella giovinezza come nella vecchiaia, nella vita privata come nella vita pubblica. Gli amici sono il più grande dei beni esterni. “


L’AMICIZIA

In questo odierno così sconsideratamente veloce e lucido quanto scritto da Aristotole non avrebbe più senso né significato d’esistere; il condizionale è d’obbligo poiché c’è molta gente che per fortuna ancora crede in questo grande sentimento.
L'uomo è portato per natura a vivere con gli altri e a crearsi amici. All'uomo felice non servono amici utili o piacevoli, perchè ha già i beni che da questi potrebbero venire, ha invece bisogno di amici buoni, cui donarsi, con i quali condividere i discorsi e il pensiero.
L'uomo ama ciò che è degno di essere amato: cioè ciò che è buono o utile o piacevole: da questi tre oggetti derivano le tre specie di amicizia.. L'amicizia non è solo una benevolenza reciproca, ma una  benevolenza di cui si è consapevoli, una benevolenza che si sceglie. L'amicizia fondata sul piacere o sull'utilità è solo momentanea: se l'amico non provoca più utile o piacere, l'amicizia viene meno. E’ quel che accade oggi con l’uso e getta! Così umiliante.
L’amicizia, dunque dice Aristotele nell’«Etica Nicomachea» (VIII, 1), «è una virtù o s’accompagna alla virtù; inoltre essa è cosa estremamente necessaria per la vita. Infatti nessuno sceglierebbe di vivere senza amici, anche se avesse tutti gli altri beni»; e aggiunge che essa: un’anima sola che vive in due corpi distinti>>.
Friedrich Nietzsche, aveva un concetto altissimo dell’amicizia; ma ne aveva uno altrettanto sublime della coerenza nella ricerca della verità. Il primo lo spingeva verso i suoi simili con simpatia e delicatezza (non vi è traccia, in lui, di quel disprezzo per l’umanità che caratterizza, ad esempio, Machiavelli, Hobbes, Voltaire o Freud); il secondo lo respingeva verso la solitudine, non per amore o bisogno di essa, ma per l’impossibilità di condividere i suoi pensieri con alcuno che lo capisse. Perché, come abbiamo avuto recentemente occasione di notare, in un mondo di esseri umani divenuti troppo piccoli,
è cosa difficilissima comprendere, o anche solo riconoscere alla lontana, la grandezza altrui.
Quanto al discorso dell’amicizia e al suo inevitabile corollario,
per certe anime che si sono spinte troppo avanti rimane : la solitudine.
Ad esempio è significativo il fatto che, quanto al crollo psichico finale di Friedrich Nietzsche, l’interpretazione cattolica e quella esoterica si trovino sostanzialmente d’accordo: il filosofo tedesco aveva teso al massimo le energie della trascendenza, negando ad esse, però, il loro sbocco naturale, al di fuori e al di sopra dell’io, e costringendole a viva forza entro l’orizzonte immanente dell’io stesso, ciò che ne causò una vera e propria implosione
.
Ma bisogna ricordarsi anche che «Al di là del bene e del male»: «Chi lotta contro dei mostri, deve fare attenzione a non diventare egli stesso un mostro. E se tu guarderai a lungo nell’abisso, anche l’abisso vorrà guardare dentro di te».
Quando due amici non trovano più l'uno nell'altro ciò che cercano, la loro amicizia ha termine.

E non è questo, dell’uomo moderno in quanto tale: cioè di noi tutti, così inebriati dalla potenza del finto - della ragione, della scienza, della tecnica - e così pericolosamente esposti al pericolo di smarrirci nella desolata, allucinante Terra di Nessuno, ove nessuna stella buona ci indicherà mai ? E’ solitudine imperante! Non cercata né desiderata e non è neppure il frutto dei diversi difetti del carattere quale ad esempio una eccessiva timidezza, bensì la conseguenza disumana di una prassi ormai raggiunta: tradire la fiducia in una – amicizia - . Nietzsche “Dalla più tenera infanzia fino ad oggi - scriveva alla sorella - non ho trovato mai NESSUNO che prenda parte alla mia angoscia di cuore e di coscienza. Mi son sento felice FINO AL RIDICOLO, ogni volta che ho trovato, o creduto di trovare, un angolino in comune con un altro uomo. Ho la memoria strapiena di mille ricordi umilianti, relativi a debolezze di tal genere, perché in certi momenti non resistevo più alla solitudine… Non ritengo affatto d’avere un carattere chiuso, dissimulatore, diffidente. SE LO AVESSI, NON SOFFRIREI COSÌ. Ma non a tutti è dato di poter comunicare quello che pensano, per quanto desiderio ne abbiano. E poi, occorre trovar chi sia atto a ricever comunicazioni di questo genere… Dove sono i vecchi amici, con cui una volta mi sentivo così intimamente unito? Si direbbe che oggi apparteniamo, loro ed io, a due mondi differenti, che non parliamo più la stessa lingua. Mi aggiro in mezzo a loro come un estraneo, come un reprobo; nessuno mi rivolge più una parola, uno sguardo… Sono forse creato per esser solo, per non aver nessuno con cui confidarmi? In verità, quello di non poter comunicare ad altri ciò che si pensa è il più tremendo degli isolamenti; esser diverso dagli altri vuol dire portare una maschera più rigida di qualunque maschera di ferro, perché non v’è perfetta amicizia. Che sia il caso di meditare?