martedì 31 gennaio 2017



Alla ricerca di un sogno


Di Vincenzo Calafiore
1Febbraio2017Trieste
( 100 pagine in una )

“… amarti è eternità, è vita che non va via!
Amarti come un sogno, cercarti come un sogno,
desiderarti fino a sparire dentro i tuoi baci, i tuoi abbracci.
Sai, c’è che io non ti ho mai dimenticata, e ho sempre acceso
una candela nella notte che come faro a me ti guiderà così ogni notte, come in un sogno, come in una vita, come in un bacio. C’è che tu sei quel mio sogno di ogni notte! Sei vita.

Eravamo così felici che mai avremmo pensato alla burrasca che andava ad ammucchiarsi agli orli di un tempo a venire, e andavamo felici e contenti su strade che comunque da qualche parte certi ci avrebbero portato.
La camicia sbottonata di un bottone e maniche rimboccate appena sotto il gomito e piedi leggeri per passi lunghi così andavamo incontro al nostro destino; tu dentro un vestitino stretto in vita, occhiali da sole e pelle abbronzata, profumata di mare.
Quante volte la sera su quella spiaggia appena distante da casa nostra, quando andavamo a raccogliere stelle, non resistendo alla tentazione di baciare e annusare la tua pelle siamo finiti con baci e braccia che si stringevano, sulla sabbia in un punto non preciso di una notte tra baci e carezze a fare l’amore.
E poi tornare a casa a piedi scalzi, con le scarpe in una mano, più innamorati che mai, più felici che mai accompagnati dalle tante promesse, dai pensieri di un immaginare un futuro roseo.
Poi come succede e senza accorgercene, ci siamo allontanati l’uno dall’altra, senza ferirci, senza un addio vero e proprio; io per la mia strada e tu per la tua in direzioni opposte, distanti.
Così negli anni in una città sconosciuta e senza mare fin troppo pulita e lucida passarono veloci gli anni miei, di te s’erano perse le tracce.
E ti pensavo!
E ti immaginavo!
Chissà se ancora ricorderai quelle lunghe traversate nel buio, e quante volte come me ci sarai tornata su quella spiaggia dove un tempo ogni notte ci amavamo e tornavamo a casa con le anime scambiate fino al mattino, fino al sorgere del sole.
Eri diventata un sogno!
Un sogno che ho cercato sempre di rifare per riprovare le stesse emozioni, risentire il profumo della tua pelle vellutata che sapeva di muschio marino.
Sai, ho vissuto sempre ricercandoti e ritrovarti solamente in un sogno breve, perché nel frattempo il mio tempo si è incanalato in un tunnel tutto in discesa, la memoria si è accorciata, il tempo stesso è diventato fulmineo e sai cosa c’è? C’è che io amo ancora te, la mia principessa emozionante e trepidante, quella che stringendola forte a me già piegava le ginocchia.
Io ti amo! E te lo dico sempre ogni mattina, ogni notte prima di chiudere gli occhi, ti amo sempre alla stessa maniera, ricordi? Quasi sempre la mia mano tirava giù la zip dietro le spalle e s’intrufolava fino ad arrivare al tuo seno, tu rimanevi ferma e lasciavi fare perché anche tu lo volevi, ed era una specie di gioco che facevamo quasi a seguire le mosse che i nostri desideri in quel momento buttavano a terra come lanciando dadi.
Quasi sempre facevamo l’amore dentro quella culla di madreperla, sabbia bianca e calda intrappolata in mezzo agli scogli che ci facevano sparire agli occhi della notte.
Che tempi, che amore, unico indimenticabile, ancora vivo ancora di tanto desiderio; sai non c’è mai stata nessuna in grado di cancellarti, di annientarti, e farti sparire dal mio cuore, dalla mia testa.
Così sono passati gli anni!
La mia strada alla fine mi ha riportato al punto da dove un dì ci separammo, ti cerco e tu ancora non ci sei, non sei ancora tornata!
Ora nella casa in cui più volte quando i miei genitori non erano in casa, c’incontravamo e senza fare rumore fuggivamo via coi nostri desideri e sogni, do ripetizioni di latino.
In un vecchio libro, ho trovato una tua poesia che so a memoria e che mi riporta a te!
Magari avevi, hai ragione tu: i sogni non finiscono mai, ed io son qui a rincorrere un sogno, chissà se un giorno ti vedrò tornare e ritrovandoci assieme getteremo in mare le nostre vite sbagliate per riprenderci le nostre e tornare così a raccogliere stelle su una spiaggia lunga di sabbia fine, bianca, di granelli ti amo!




sabato 28 gennaio 2017




La magia di una terra
Di Vincenzo Calafiore
28Gennaio2017Udine

Ci sono dei giorni in cui nulla va per il verso giusto, e verrebbe voglia di tornare a spogliarmi e rimettermi a letto, riprendere a dormire, con la speranza che al nuovo risveglio la “ruota” si sia fermata su “ giorno buono”.
Quel che accade poi nel sonno il più delle volte non lo ricordo, a parte qualche sogno interessante, come quello che più si ripresenta che mi vede in riva davanti al mio mare che più d’ogni cosa amo.
Ormai è una vita che lo sogno, e parte della mia vita l’ho spesa tornando a casa, la Calabria; ora in questo tempo chiuso in un circolo vizioso in cui annaspo invece di respirare quasi manca la volontà visto che le mie radici si sono polverizzate, quasi ho dimenticato certi profumi, certe essenze.
La cosa strana è che non mi sento né “ friulano” né “ calabrese “ ora che alla mi terra mi legano solo i ricordi visto che non ho più nessuno oltre i miei morti.
Nonostante ciò non manca spunto ogni giorno ricordarla, forse per il mare che le gira intorno, o per la sacra alleanza che ci unisce tutti nei momenti più difficili.
Se non fosse per questo suo mare che la circonda pieno di storia e naufragi, teatro di tante battaglie navali, del ritorno di Ulisse a Itaca, sarebbe una terra di pietra e senza colori, senza luce.
E’ come fra il dire e il fare…. C’è sempre il mare di mezzo!
Essere calabrese è essere principalmente greco, turco, aragonese.
La Calabria è la terra in cui si avverte la presenza del mare. Non tanto quel mare in cui si sogna d’immergersi e trastullarsi, ma quel fluido in perenne movimento, che genera incertezza e pretende tributi.
A saperlo guardare e ascoltare questo mare zeppo di antiche storie di uomini e cose naufragate che si materializza l’immagine della forza dinamica della vita, si avverte in piena intensità il suadente oppure, se c’è aria di burrasca, il minaccioso respiro variamente ritmato delle onde che salgono e scendono, coprono e scoprono, portano e levano ….  Questo mare grande e profondo come un oceano.
Di notte lasciarmi cullare dalla sua ancestrale cantilena diretta dal vento e leggendo quei deboli segnali luminosi che testimoniano la esistenza e la resistenza umana tra Scilla e Cariddi; lasciarmi trasportare dai ricordi o dai sogni. Immaginarmi, o rivedermi su uno scoglio in mezzo a un mare che ama e strega, barbaglia d’inganno gli occhi.
A volte basta una bava di vento e tutto cambia, gli odori e i profumi, l’umore della gente!
Ed è come lasciarsi stregare da una scia di lampara per immaginare e sentire Ulisse.
Pensarla e immaginarla dentro il cuore è un fantastico viaggio dentro un passato antico prigioniero di questo mare che nel silenzio totale della notte a volte avverto il battito del suo cuore.
E poi improvvisamente risvegliarmi dal sogno o scuotermi dai ricordi e ritrovarmi ben sveglio nelle viuzze strette e lunghe di Chianalea cullata dal respiro di brezze e vento e dal frangersi delle onde.
Mare di cristallo, Mare, questo, sempre lì ad ammonire che la terra è in perenne stato di assedio, sempre pronto ad improvvisi mutamenti su uomini e cose fin tanto da costringere ieri come oggi a rimanere seduto su una spiaggia solamente per ascoltarlo, guardarlo e sentire dentro una pace infinita, il profumo del bergamotto, del cedro, dei gelsomini …. Seni di fate!


Riflessione



Di Vincenzo Calafiore
26Gennaio2017Udine





          27 Gennaio 1945 -  27 Gennaio 2017

Come abbiamo saputo, fin da principio, conservarci la nostra ignoranza per godere di una libertà a stento concepibile, di spregiudicatezza, sventatezza, audacia, letizia di vita, per godere della vita. E soltanto su queste basi d’ignoranza, ormai salde e granitiche, di citazioni, ha potuto levarsi fino a oggi la nostra conoscenza; la volontà di sapere sul fondamento di una volontà molto più possente, la volontà di non sapere, d’incertezza, di non verità. Non già come sua sintesi, bensì come suo affinamento. Per quanto infatti anche il linguaggio qui come altrove, non abbia la possibilità di evadere dalla sua goffaggine e debba continuare a parlare di antitesi, là dove esistono solo gradi e una sottile gamma di variazioni di ignoranza, si va per  citazioni”.

Non sono queste giornate per parlare d’amore,
neanche per fare poesia; queste sono giornate per fare “ riflessione “ venire a capo di un ricordo che pesa o dovrebbe pesare sulla coscienza o sulle coscienze di questa società sorella maggiore di quell’altra che ha dato origine alla “ giornata della memoria”. Questa società che con tutta la sua conoscenza e intelligenza, con la sua elevata cultura comunque ha permesso delle nuove Auschiwitz ancora da scrivere nella storia, questa società che votata agli interessi geopolitici e economici ha permesso ancora guerre e distruzioni, sgozzamenti e bombe umane, bambini soldati.
E se dobbiamo discutere di cultura, se dobbiamo fare cultura perché non avere il coraggio di esprimerla fino in fondo correndo il rischio di essere criticati o giudicati e invece preferire a questa l’abominevole, orrenda offesa alla cultura stessa, la citazione?
Prova a spiegare dunque alle nuove generazioni per citazione la Shoah, e con una citazione prova ad esprimere il dolore, la ripugnanza, il rifiuto verso la violenza in tutte le sue forme e espressioni, provaci!
Ricordare Auschwitz è ricordare Primo Levi  e il racconto della Shoah fino alla fine dei suoi giorni affinchè tutti fossero a conoscenza, affinchè non accadesse più e invece è destinata a ripetersi. Giornata della memoria quindi per comprendere il “ senso o significato “ di certi orrendi eventi che si sono ripetuti e per tentare di capire con sforzo continuo della ragione perché ciò sia potuto accadere.
Bisogna vedere la storia e i suoi lutti, i lutti che propongono l’onnipotenza dell’uomo, tutti lutti da giudicare, con la capacità di cogliere e comprendere le catastrofi del tempo; ma c’è un Dio che non dimentica che si ricorda della cerva che giace nella polvere e negli esilii e versa lacrime che bruciano più di tutto il fuoco del mondo.
Il Papa ci ha parlato del silenzio di Dio, Dio che nasconde il suo volto per tutto il male che l’imbecille uomo riesce a fare.
La riflessione dunque dovrebbe essere una costante…. E allora chiedersi se l’Olocausto va visto come essenza di Dio o come assenza dell’umanità?
Si aprono dinanzi a noi, angosciosi interrogativi, quelli ad esempio che la coscienza di ebrei, rom, soldati, bambini hanno trovato ad Auschwitz, un abisso di dolore e di disumanità, proprio questi dovrebbero sollevare angoscia sull’ontologia del male…. Non sarebbero così intensi se tutto non fosse in gioco ossia, il destino dell’umanità, il senso stesso della vita.
Ma tutto questo interrogarsi, questo sofferto “ balbettare” ci riporteranno all’assurdo non solo umano di questa storia.
Non giungerà dalla filosofia la salvezza, la filosofia ha la missione di tenere vive le antiche grandi idee della sfera etica e di riformulare in accordo nuovi modelli di società.
<< Non ci sono demoni, scriveva Primo Levi, in  “ La ricerca delle Radici “, assassini di milioni di innocenti sono gente come noi, hanno il nostro viso, ci rassomigliano.
“ Qualsiasi dittatura contiene in sé la virtualità di Auschwitz “ !
E’ una meditazione o riflessione del famoso detto di Adorno, secondo cui dopo Auschwitz non si possono più scrivere poesie o meglio dopo Auschwitz si possono scrivere solo poesie su Auschwitz!
Riflettiamoci.









Di Vincenzo Calafiore
27Gennaio2017Udine

“ Dedicato, al mio fraterno Amico Stefano Federico, perché non dimentichi, compagno di banco e di viaggio, tuttora residente nel Gran Ducato “ Rione Santa Caterina” dal quale orgogliosamente vengo.”


Allora, a quei tempi di onorata miseria e povertà, per noi ragazzi che ci si affacciava alla vita, erano gli anni della “ ricostruzione “ dell’Italia che usciva da un conflitto che l’aveva rasa al suolo e, c’era una gran voglia di vivere e conoscenza, era l’Italia operosa, ingegnosa, viva.
Io, mi ritengo anzi sono orgoglioso di appartenere alla classe del ’46 poiché la storia dell’Italia l’ho attraversata tutta, da quando era una “ Nazione “ a oggi che è un satellite di una corporazione di apprendisti stregoni, burocrati fallimentari, e manipolatori di fiumi di denaro; una corporazione glaciale dedita tutta alle “ cifre” votata al “ dio denaro” e di pochissima umanità.
Allora decisi di “ imbarcarmi “ in un’avventura più grande di me, avevo appena 15 anni! Così è stato.
Io sono orgoglioso, fermamente orgoglioso delle mie origini di “ morto di fame”, orgoglioso dell’essere stato regolarmente per anni prima con offesa chiamato “ ….. terrone “ .
Così già a 15 anni entrai in Accademia e portavo ai piedi gli anfibi, indossato per anni la stessa tuta, la mia uniforme grigioverde che se si bagnava emanava un odore sgradevole.
Facevo parte della meravigliosa famiglia che è l’ Esercito Italiano.
Non è stata una vita facile né una passeggiata, noi allievi venivamo sottoposti ad ogni tipo di insulto, di offesa, di umiliazione, di vessazioni, di privazioni, e a continui trasferimenti da un capo all’altro dell’Italia.
Gli esami e le valutazioni non finivano mai.
Quindi non ho avuto una vita facile, ma nemmeno una vita.
Ricordo che allora un operaio qualsiasi percepiva un salario meglio del mio che vivevo dentro a un recinto di muri alti e di cancelli, io e la mia vita scandita dai suoni di una tromba.
Sono orgoglioso, molto orgoglioso di essere stato uno che ha indossato giacche con le stellette, camicie verdi, e stivaletti o anfibi; sono orgoglioso della mia vita da “ servitore della Patria” orgoglioso di aver prestato giuramento d’onore alla mia Patria tutt’ora rispettato e onorato, è questa la differenza: la fedeltà, l’onore del sentirsi italiano, l’onore dell’essere stato uomo-padre, soldato e questo grazie a una ferrea disciplina, a un fortissimo amor proprio, per cui non sono importati gli enormi sacrifici e le enormi privazioni, i continui no che poi crescendo sono diventati continui si!
A breve e cioè oggi il 27 Gennaio, “ il giorno della Memoria “ mi verrà conferita la distinzione onorifica di CAVALIERE dell’ Ordine “ Al Merito della Repubblica Italiana.
Sarà una giornata importante, da ricordare per me assieme ad altre date importanti e significative.
Cosa sono oggi io e che significato sono?
Ho sempre letto molto, divorato libri, ho studiato molto e lo faccio ancora adesso alla mia età di 70 anni e se dovessero chiedermi se sono felice di essere l’uomo che sono dico di si, come se dovessero chiedermi di essere orgoglioso di appartenere tuttora all’ Esercito Italiano anche se in quiescenza, anche se non è più quello che io ho conosciuto, più tecnologico, rispondo senza ombra di dubbio di si.
Questa giornata voglio dedicarla a mio nipote Vincent che amo e a cui sono legato, perché a lui ho dedicato la mia vita da quando è venuto al mondo e spero, anzi vorrei che anche lui come me  si vestisse di orgoglio, sempre alla ricerca come me di lasciare dietro di se impronte che sappiano di dignità, di significato!
Allo stesso tempo la vorrei dedicare alle persone che mi amano ma anche a quelle che mi hanno tradito e deluso, a quelle che mi hanno svenduto o dimenticato, lasciato in parte.
In tutto questo c’è anche la grande affettuosa amicizia ( che viene da lontano) che mi lega al mio amico Stefano Federico con il quale ci sono state delle incomprensioni poi chiarite,c’è una grande Amicizia, indimenticabile, unica! Cosi come con Claudio Demuro. Tutto di un insieme che amo.