Vincenzo Calafiore
Il giorno dopo, “ Il Giorno del Ricordo
E’ calato
nuovamente il silenzio, questa giornata da ricordare è trascorsa con i soliti
documentari storici su questo tratto di storia italiana
ancora non chiarita a fondo, i soliti discorsi, deposizione di corone; ma nella
sostanza non è cambiato nulla nel panorama delle responsabilità attribuite
sempre e per la maggior causa al Ventennio Fascista, ma sarà proprio tutto a
carico dei fascisti italiani, e perché non ricordare la collaborazione tra i comunisti
jugoslavi e quelli italiani a loro favorevoli?
Bisognerebbe chiederlo a quei bambini e donne, uomini
brutalmente trucidati di chi è la colpa, che ci indicassero una via per
giungere alla verità assoluta, ma anche alle complicità di un partito che
ancora oggi non ha fatto una revisione storica, limitandosi solamente a
zavorrare l’idea, avvalorandola con la
pericolosità della destra italiana e con il possibile ritorno del fascismo in
Italia.
Ma questo è un altro discorso.
FOIBA DI BASOVIZZA (TS)
“ Il Giorno del Ricordo “ in memoria dei ventimila italiani torturati,
assassinati e gettati nelle foibe, dalle milizie della Jugoslavia di Tito e
alla fine del secondo conflitto mondiale.
La memoria delle vittime delle
foibe e degli Italiani costretti all’esodo dalla Venezia Giulia, dall’Istria,
Fiume, Dalmazia è un tema che ancora oggi divide.
Il trattato di Parigi di fatto
regalò alla Jugoslavia il diritto di confiscare tutti i beni dei cittadini
italiani.
La stragrande maggioranza
degli esuli emigrò in varie parti del mondo dal Sud America in Australia, come
in Canada e Stati Uniti.
Pochi riuscirono a sistemarsi
e con molta fatica in Italia, nonostante gli ostacoli dei ministri del Partito
Comunista Italiano che favorevoli alla Jugoslavia, minimizzarono o tennero
nascosta volutamente la portata della diaspora.
Emilio Sereni ( PCI ) , che
allora ricopriva la importante e determinante carica di Ministro per
l’Assistenza post bellica, e sul cui tavolo finivano rapporti e domande di
esodo e di assistenza provenienti da Pola, da Fiume, dall’Istria e dalla ex
Dalmazia Italiana, anziché farsene carico, minimizzò la portata del problema. Rifiutò
di ammettere nuovi esuli nei campi profughi di Trieste con la scusa che non
c’era più posto, e in una serie di relazioni a De Gasperi, parlò di “
Fratellanza Italo- Slovena e Italo –Croata “ sostenne la necessità di
scoraggiare le partenze e di costringere gli istriani a rimanere nelle loro
terre, affermò che le notizie sulle foibe erano “ propaganda reazionaria”
La “Foiba di
Basovizza” è in verità un pozzo minerario, scavato all’inizio del XX secolo per
intercettare una vena di carbone e presto abbandonato per la sua
improduttività: esso divenne però nel maggio del 1945 un luogo di esecuzioni
sommarie per prigionieri, militari, poliziotti e civili, da parte dei
partigiani comunisti di Tito, dapprima destinati ai campi d’internamento
allestiti in Slovenia e successivamente processati e giustiziati a Basovizza.
Un documento allegato a un dossier sul comportamento delle truppe jugoslave
nella Venezia Giulia durante l’invasione, dossier presentato dalla delegazione
italiana alla conferenza di Parigi nel 1947, descrive la tremenda via crucis
delle vittime destinate ad essere precipitate nella voragine di Basovizza, dopo
essere state prelevate nelle case di Trieste, durante alcuni giorni di un
rigido coprifuoco. Lassù arrivavano gli autocarri della morte con il loro
carico di disgraziati. Questi, con le mani straziate dal filo di ferro e spesso
avvinti fra loro a catena, venivano sospinti a gruppi verso l’orlo dell’abisso.
Una scarica di mitra ai primi faceva precipitare tutti nel baratro. Sul fondo
chi non trovava morte istantanea dopo un volo di 200 metri, continuava ad
agonizzare tra gli spasmi delle ferite e le lacerazioni riportate nella caduta
tra gli spuntoni di roccia. Molte vittime erano prima spogliate e seviziate.
Chi erano
le vittime della Foiba di Basovizza?
Italiani di ogni
estrazione: civili, militari, carabinieri, finanzieri, agenti di polizia e di
custodia carceraria, fascisti e antifascisti, membri del Comitato di
liberazione nazionale. Contro questi ultimi ci fu una caccia mirata, perché in
quel momento rappresentavano gli oppositori più temuti delle mire
annessionistiche di Tito. Furono infoibati anche tedeschi vivi e morti, e
sloveni anticomunisti. Per quanto riguarda specificamente le persone fatte
precipitare nella foiba di Basovizza, è stato fatto un calcolo inusuale e
impressionante. Tenendo presente la profondità del pozzo prima e dopo la
strage, fu rilevata la differenza di una trentina di metri. Lo spazio
volumetrico – indicato sulla stele al Sacrario di Basovizza in 500 metri cubi
(poi ridotti a 300) – conterrebbe le salme degli infoibati: oltre duemila
vittime. Una cifra agghiacciante. Ma anche se fossero la metà, questa
rappresenterebbe pur sempre una strage immane… e a guerra finita!

E i carnefici?
Individui rimasti senza volto. Comunque è ritenuto certo che agirono su
direttive dell’ OZNA, la famigerata polizia segreta del regime titino, i cui
agenti calarono a Trieste con le liste di proscrizione e si servirono di
manovalanza locale. Nell’invasione jugoslava di Trieste e di ciò che ne seguì i
comunisti locali hanno responsabilità gravissime. In quei giorni le loro
squadre con la stella rossa giravano per la città a pestare ad arrestare. Loro
elementi formavano il nerbo della “difesa popolare”. Il monumento
Il monumento della foiba di Basovizza è molto semplice: consiste in una lastra
in pietra grigia, segnata da una grande croce; sullo zoccolo frontale è
riportato un passo della “preghiera dell’infoibato” dettata dall’arcivescovo
Antonio Santin. A sinistra è posto un cippo, opera di Tristano Alberti,
rappresentante la sezione della cavità con alcune quote delle probabili
stratificazioni, al cui centro è appesa una lampada votiva in bronzo collocata
dall’Opera mondiale lampade della fraternità. All’interno del recinto, sono
stati collocati in tempi successivi altri cippi, il pilo porta-bandiera donati
dalle associazioni d’arma e dalle organizzazioni degli esuli giuliano-dalmati e
due targhe: una individua il punto dove è custodito un elenco degli scomparsi
in seguito alle deportazioni, l’altra ricorda le visite dei presidenti della
Repubblica italiana. Nel 1980, in seguito all’intervento delle associazioni
combattentistiche, patriottiche e dei profughi istriani-fiumani-dalmati, il
pozzo di Basovizza e la foiba n.149 vennero riconosciute quali monumenti
d’interesse nazionale. Il sito di Basovizza, sistemato dal comune di Trieste,
divenne il memoriale per tutte le vittime degli eccidi del 1943 e 1945, ma
anche il fulcro di polemiche per il prolungato silenzio e il mancato omaggio
delle più alte cariche dello stato. Tale omaggio giunse nel 1991, anno cruciale
per la dissoluzione jugoslava e dell’Unione Sovietica, quando a Basovizza si
recò l’allora presidente della repubblica Francesco Cossiga, seguito due anni
più tardi dal successore Oscar Luigi Scalfaro, che nel 1992 aveva dichiarato il
pozzo della miniera “monumento nazionale”. I massacri delle Foibe e l’esodo
dalmata-giuliano sono una pagina di
Storia che l’Italia ha voluto dimenticare! Non si riesce a capire come mai questa tragedia sia stata confinata
nel regno dell’oblio come se fosse una vergogna per quasi sessant’anni!
Come si moriva
nelle foibe: I primi a finire in foiba furono carabinieri, poliziotti e
finanzieri, nonché militari della RSI e i collaborazionisti che non erano
riusciti a scappare, in loro mancanza si prendevano mogli e figli. Le uccisioni
avvenivano in maniera spaventosa e crudele. I condannati venivano legati l’un l’altro
con un lungo filo di ferro stretto ai polsi, e schierati agli argini delle
foibe. Quindi si apriva il fuoco sui primi tre o quattro della catena umana, i
quali precipitavano nell’abisso.