lunedì 28 marzo 2016



Andar per vivere

Di Vincenzo Calafiore
26 marzo2016-Trieste

Ci fosse la possibilità di poter scegliere tra la vita e la morte, sceglierei la vita perché potrei continuare ad amare.
Ma per continuare ad amare dovrei prendere la mia coscienza e gettarla via per chiederne a Dio una verginale e ricominciare daccapo a camminare in questo strano mondo fatto più di apparenze che di verità, in cammino per l’avventura ogni giorno alla scoperta dell’ignoto.
E’ davvero difficile vivere in questo di aspetti diversi ove sono andate perdute le sensibilità, molteplici di genti e di luoghi sempre diversi.
E’ un vivere di ansia perenne.
E’ il sempiterno tema del “ forestiero, visitatore,ospite o aggressore della propria vita.
Popoli e singoli, colti e poveri, ignoranti, imbecilli, sorpresi nel loro vagare verso mete che non esistono, di diverse emozioni e proibite sensazioni.
Ma ci sono altri con diverse esperienze e molteplici  vissuti d’altrove con lontane prospettive che giungono  agli esiti proficui di convergente sensibilità, raccontano di vita o di vite sottratte alla morte.
Se c’è un luogo ove vivere  questo è – l’altrove -  l’altrove quotidiano o di una vita, fatto di miraggi possibili, con il conforto  di una meta raggiunta o da raggiungere dopo il viaggio!
Un viaggio solo per il luogo a cui tornare, e da cui poi ripartire  in un ciclo senza fine di emozioni, lontano da fascinosi traguardi di finzione e da un comune sentire inodore e sfumato.
A volte mi pare di essere in una allucinazione disperata di sangue e di morte.
A volte  in una di presunti e inviolabili privilegi!
Ma rimane il fatto invece che siamo popoli e singoli, colti o sorpresi persi in un vagare verso mete di diverse emozioni, di nuove ambizioni, di proibite  sensazioni; popoli e singoli, in fuga per sfuggire a qualcosa a qualcuno, alla deriva in un mare di sensazioni strane di vivere, ma non c’è vita.
In realtà questa umanità avanzata tecnologicamente in realtà è una colonna infame pregna di rancori, avidità,odio! Incapace di perdere le tensioni del vivere, incapace di amare nessuno oltre se stessa!
Ma rimane in me il desiderio della conoscenza di altri popoli di altri umani come me, ogni angolo di mari lontani.
Rimarrebbe comunque  la gioia di vivere, vissuta come metafora di un orientalismo rappresentativo di culture dell’ingenua bellezza e della spontanea allegria, per salvarci dal vuoto.
C’è pure – l’atroce – che non si vede e la glacialità dei calcoli matematici che non considerano nessuno ma mostra un sistema di comando oscuro e fantasma che comunque impera e miete vittime per il dio denaro!
E’ di vite sospese in un immaginario molteplice di variegate realtà lontane da Dio che si tratta, vite sospese dall’attimo della partenza a quella di arrivo da un viaggio mai iniziato.
Sempre in viaggio per un approdo voluto e cercato nei meandri dell’anima e poi del mondo.
Amo questa mia vita, amo sentire il suo dolce rumore in questa mia strana sensazione di viaggio con l’ansia dell’attesa, con il timore dell’inconoscibile.
In viaggio verso la mia fine, esorcizzata, interiorizzata o apertamente vissuta e comunque assunta a ideale di vita senza confini senza frontiere, in ogni guscio di universo di piccoli segnali di vita.
Li dove impaziente brulica la vita che s’immagina, lontana dalle ferite e pene di giorni, mesi anni, avviliti  in cui forse è facile perdersi.
Dio enumera le coscienze, ne patisce l’urto, l’insensata invadenza umana, l’invisibile informe che si invera e non lascia irretite nel brogliaccio ingombrante del suo peso; affascinato dalla follia di una umanità che preme al precipizio eterno.
Questo Dio che veneriamo e ricordiamo in questa Pasqua come una folla anonima, marinai, soldati, nani ragionieri, che passano nell’accanita ricerca, nella venerazione di un Dio tradito e abbandonato per riprenderlo a Natale.
Nani ragionieri trincerati in un angolo di esistenza fatta di certezze, membra, fisicità animale costruita e modellata, apparente, schizofrenica; lontani dal pensiero, dalla sospensione incantata, dall’angoscia distratta.

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