Andar per vivere
Di Vincenzo Calafiore
26 marzo2016-Trieste
Ci fosse la possibilità di poter scegliere tra la vita e la morte,
sceglierei la vita perché potrei continuare ad amare.
Ma per continuare ad
amare dovrei prendere la mia coscienza e gettarla via per chiederne a Dio una
verginale e ricominciare daccapo a camminare in questo strano mondo fatto più di
apparenze che di verità, in cammino per l’avventura ogni giorno alla scoperta
dell’ignoto.
E’ davvero difficile
vivere in questo di aspetti diversi ove sono andate perdute le sensibilità,
molteplici di genti e di luoghi sempre diversi.
E’ un vivere di ansia
perenne.
E’ il sempiterno tema
del “ forestiero, visitatore,ospite o aggressore della propria vita.
Popoli e singoli,
colti e poveri, ignoranti, imbecilli, sorpresi nel loro vagare verso mete che
non esistono, di diverse emozioni e proibite sensazioni.
Ma ci sono altri con
diverse esperienze e molteplici vissuti
d’altrove con lontane prospettive che giungono
agli esiti proficui di convergente sensibilità, raccontano di vita o di
vite sottratte alla morte.
Se c’è un luogo ove
vivere questo è – l’altrove - l’altrove quotidiano o di una vita, fatto di
miraggi possibili, con il conforto di
una meta raggiunta o da raggiungere dopo il viaggio!
Un viaggio solo per
il luogo a cui tornare, e da cui poi ripartire
in un ciclo senza fine di emozioni, lontano da fascinosi traguardi di
finzione e da un comune sentire inodore e sfumato.
A volte mi pare di
essere in una allucinazione disperata di sangue e di morte.
A volte in una di presunti e inviolabili privilegi!
Ma rimane il fatto
invece che siamo popoli e singoli, colti o sorpresi persi in un vagare verso
mete di diverse emozioni, di nuove ambizioni, di proibite sensazioni; popoli e singoli, in fuga per sfuggire
a qualcosa a qualcuno, alla deriva in un mare di sensazioni strane di vivere,
ma non c’è vita.
In realtà questa
umanità avanzata tecnologicamente in realtà è una colonna infame pregna di
rancori, avidità,odio! Incapace di perdere le tensioni del vivere, incapace di
amare nessuno oltre se stessa!
Ma rimane in me il
desiderio della conoscenza di altri popoli di altri umani come me, ogni angolo
di mari lontani.
Rimarrebbe
comunque la gioia di vivere, vissuta
come metafora di un orientalismo rappresentativo di culture dell’ingenua
bellezza e della spontanea allegria, per salvarci dal vuoto.
C’è pure – l’atroce –
che non si vede e la glacialità dei calcoli matematici che non considerano
nessuno ma mostra un sistema di comando oscuro e fantasma che comunque impera e
miete vittime per il dio denaro!
E’ di vite sospese in
un immaginario molteplice di variegate realtà lontane da Dio che si tratta,
vite sospese dall’attimo della partenza a quella di arrivo da un viaggio mai
iniziato.
Sempre in viaggio per
un approdo voluto e cercato nei meandri dell’anima e poi del mondo.
Amo questa mia vita,
amo sentire il suo dolce rumore in questa mia strana sensazione di viaggio con
l’ansia dell’attesa, con il timore dell’inconoscibile.
In viaggio verso la
mia fine, esorcizzata, interiorizzata o apertamente vissuta e comunque assunta
a ideale di vita senza confini senza frontiere, in ogni guscio di universo di
piccoli segnali di vita.
Li dove impaziente
brulica la vita che s’immagina, lontana dalle ferite e pene di giorni, mesi
anni, avviliti in cui forse è facile
perdersi.
Dio enumera le
coscienze, ne patisce l’urto, l’insensata invadenza umana, l’invisibile informe
che si invera e non lascia irretite nel brogliaccio ingombrante del suo peso;
affascinato dalla follia di una umanità che preme al precipizio eterno.
Questo Dio che
veneriamo e ricordiamo in questa Pasqua come una folla anonima, marinai,
soldati, nani ragionieri, che passano nell’accanita ricerca, nella venerazione
di un Dio tradito e abbandonato per riprenderlo a Natale.
Nani ragionieri
trincerati in un angolo di esistenza fatta di certezze, membra, fisicità
animale costruita e modellata, apparente, schizofrenica; lontani dal pensiero,
dalla sospensione incantata, dall’angoscia distratta.
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