Ecuba
05 Maggio 2020 Udine
(
Vincenzo Calafiore
17/08/2019
L.633/41
Proprietà
intellettuale Riservata )
“
Ci devi andare, in Grecia, per riprenderti l’anima,
l’intensità
della vita, della Cultura …. poi non
ti
abbandona più. E’ una sensazione rara,
quella
di trovarsi in mezzo al mondo senza
altre
dimensioni che il respiro della – demos-
il
canto della vita, la voce degli umani è una
magia che ti si fissa nella memoria come i miti. E’ limpido, il ricordo
della Grecia che non è un cumulo di rovine, ma la nostalgia di una bellezza
grande, che ha reso i greci un popolo bellissimo e che si distingue dallo
splendore degli estremi: dal mare, dalle calure soffocanti dell’Acropoli, di
Atene, e se sei fortunato dagli orrori delle moderne
guerre
economiche ! “ Vincenzo
Calafiore
“” Penso alla miseria culturale che dilaga
sempre più, alle miserie umane e, non è una sensazione purtroppo, è una realtà
che sempre più si espande, invade, espropria. Un popolo - ignorante – lo si controlla meglio, un popolo
assoggettato alle precarietà, alla miseria dello sbarcare il lunario, non ha
tempo di leggere, studiare, capire, comprendere, conoscere.
E’ questo il problema, è questa la
rovina peggiore! La massima cosa è e sarà l’invio di stupide vignette dei
social e la dottrina di false realtà, i falsi e vuoti miti che distruggono
sogni.
I delitti peggiori, l’ignoranza e la
stupidità, l’avidità: sono questi a governare, a far si che ogni giorno autonomamente si proclamano
imperanti !
Per gli appassionati e credo che siano
pochi, molto pochi, si propone un sunto de : Il Dramma o la tragedia di Ecuba,
a mio parere uno dei testi più belli, più veri, più umani, di una cultura che
ormai è di pochi. E’ un po’ lungo ma ne vale la pena la sua lettura,
specialmente in questi giorni di ozio e prigionia. “”
Ecuba
Autore: Euripide
Titolo: Ecuba
Datazione: Commedia rappresentata
intorno al 424 a.C. ispirata alla fuga di Ecuba, moglie di Priamo (gr.
Πρίαμος )ultimo re di
Troia. Figlio di Laomedonte, dopo la prima distruzione di Troia da parte
di Eracle,
fu riscattato dalla sorella Esione; da giovane prese
parte a una spedizione di Frigi contro le Amazzoni. Dalla prima moglie, Arisbe,
ebbe Esaco;
poi da Ecuba ebbe
19 figli e figlie, di cui i più noti sono: Ettore,
il primogenito, Paride e Deifobo,
Eleno, Polite, Polidoro, Troilo e
Laodice, Creusa,
Cassandra, Polissena;
da alcune concubine ebbe altri figli e figlie, in tutto 50 secondo Omero. Re
giusto e mite tanto da apparire talvolta debole, non ha nell’Iliade molta importanza, sebbene sia
protagonista di alcune delle scene più ispirate, come quella del 24° libro, nel
quale si reca alle tende di Achille per recuperare il cadavere di Ettore. Omero
non parla della sua morte, che è narrata nel 2° libro dell’Eneide.
La Disperazione di Ecuba
L'Ecuba di
Euripide è una tragedia abbastanza strana, perché, pur essendo di tanti aspetti
che oggi potremmo considerare fantastici, mistici, superstiziosi, contiene
invece molti aspetti chiaramente favorevoli a una visione disincantata della
vita, al punto che nell'insieme questi sembrano addirittura prevalere. Si fa
fatica a capire il vero messaggio sotteso a questa tragedia. Dov'è infatti la
giustizia se Ecuba, dopo averla ottenuta, è destinata a suicidarsi e a
trasformarsi in un orribile cagna? Dove sono i personaggi "positivi"
di questa tragedia? Polidoro appare solo come uno spettro, che piange per la
sua mancata sepoltura, e poi scompare dalla scena sino alla fine. Più significativa
è invece sua sorella: Polissena! Affronta
il proprio olocausto con grande dignità, lei che però aveva scelto di
diventare l'amante di Achille pur di carpirgli, fingendo d'amarlo, il segreto
della sua invulnerabilità. Agamennone, che pur a tratti appare giusto, non fa
molto per impedire il sacrificio di Polissena, e comunque anche a lui lo
squallido Polimestore predice una fine tristissima. Polimestore è il
"cattivo" di turno, eppure è in grado di profetizzare eventi che
puntualmente, nel mito, si avvereranno. Uno riguarda la stessa Ecuba, che, pur
essendo prostrata dal dolore per la distruzione della sua città e la perdita
dei suoi 19 figli, è in grado di attuare una terribile vendetta. Si ha insomma
l'impressione che in questa tragedia Euripide, in realtà, non voglia salvare
nessuno, ma che abbia scelto di raccontare una storia solo allo scopo di
mostrare che in ogni essere umano, anche di rango elevato, vi sono aspetti di
cui sarebbe meglio vergognarsi. Forse il personaggio che appare meno contraddittorio
è Ulisse, ma proprio perché egli rappresenta la ragion di stato, colui che non
può tener conto di alcun aspetto personale quando sono in gioco gli interessi
dei potenti cui ci si sente di appartenere. Generalmente nelle tragedie greche,
la cui trama doveva svolgersi nell'arco di una giornata e in un unico atto, il
prologo aveva la funzione di far ricordare al pubblico quanto era accaduto nei
mesi o nei giorni precedenti. Questo affinché ci si potesse lasciare
coinvolgere al massimo. Qui il prologo viene fatto gestire da uno spettro,
quello di Polidoro, figlio di Priamo, re di Ilio (Troia), e di Ecuba. Poco
prima che la città venisse espugnata dagli Achei, Priamo aveva affidato questo
figlio, il suo più piccolo, alle cure di Polimestore, re del Chersoneso, marito
di Ilione, una delle figlie di Priamo, affinché potesse continuarne la stirpe,
e gli aveva dato un forziere d'oro. Ma quando Troia cadde e Priamo fu ucciso da
Neottolemo, figlio di Achille, Polimestore uccise Polidoro, gettandolo in mare,
per impadronirsi del suo tesoro. Questi sono gli antecedenti che il pubblico
teatrale di Atene doveva già conoscere.
Il fantasma si sta lamentando che il suo corpo non ha ricevuto alcuna
sepoltura. Sono tre giorni che si libra nell'aria: gli stessi giorni che Ecuba
sta passando come schiava di Ulisse nel campo degli Achei reduci da Troia, sul
lido del Chersoneso trace. L'esercito si è fermato qui perché un altro fantasma
è apparso, quello di Achille, che, sopra la sua tomba, reclama un sacrificio,
quello di Polissena, una delle sorelle di Polidoro, causa principale della
morte del grande eroe greco. La tragedia vuole appunto mostrare che il
sacrificio di Polissena fu determinato da una sorta di "volontà
superiore", nei confronti della quale nessuno avrebbe potuto opporsi. E'
il modo fantasioso, a-razionale, che hanno i Greci di attribuire il senso di
certi eventi incresciosi o inspiegabili al fato o alla volontà degli dèi. Troia
è stata distrutta da tre giorni e gli Achei sono in attesa di tornare a casa
con le loro navi. I venti però non lo permettono. Polidoro non si lamenta
soltanto d'essere stato ucciso da Polimestore subito dopo la rovina della
città, al solo scopo d'impadronirsi del suo tesoro, e del fatto che il suo
corpo è stato buttato in mare come un rifiuto qualsiasi, ma anticipa anche una
nuova imminente tragedia: il sacrificio di Polissena, colei che, attraverso
l'aiuto di Paride, suo fratello, era riuscita a eliminare Achille. Polissena
aveva assistito, senza essere vista, all'omicidio preterintenzionale di suo
fratello Troilo, nel tempio di Apollo-Timbreo, dove si era rifugiato perché
inseguito da Achille, che si era innamorato di lui, essendo un bi-sessuale. L'aveva
abbracciato con tale foga da rompergli il torace. Troilo era il più giovane dei
figli di Priamo e, secondo un oracolo, Troia non sarebbe mai caduta se lui
avesse raggiunto i vent'anni: fu però ucciso all'inizio della guerra.Polissena
aveva giurato di vendicarsi e l'occasione buona venne quando Achille, per la
restituzione a Priamo del corpo di Ettore, aveva preteso in oro l'equivalente
del peso del cadavere. Siccome non si riusciva a trovarne abbastanza, Polissena
decise di mettere anche se stessa sulla bilancia, convincendo Achille ad
accettare. Persino i genitori di lei la lasciarono fare, convinti che si fosse
davvero innamorata dell'eroe greco. D'altra parte Achille aveva promesso che
l'avrebbe trattata non come una schiava ma come una regina, tant'è che
Polissena pretese di sposarsi nello stesso tempio in cui era stato ucciso suo
fratello e dove appunto Paride riuscirà a scoccare la freccia avvelenata nel
tallone d'Achille.Ovviamente anche il mito di Polissena, e non solo il suo
sacrificio, andrebbe interpretato. Dietro può esserci stata la scoperta,
ch'essa aveva fatto in qualità di amante, che la personalità machista di
Achille era in realtà un colossale bluff, ovvero che la sua ostentata forza
muscolare, il suo smisurato ego narcisista, altro non era che una maschera per
nascondere i propri traumi interiori, di natura prevalentemente sessuale o
identitaria. Entra in scena Ecuba, fatta schiava da Ulisse dopo la fine di
Troia. Dice di aver avuto dei sogni molto strani sui suoi due figli, Polidoro e
Polissena, che l'hanno turbata, ma non riesce a capirli. A Ecuba quindi non
resta che rivolgersi ad Agamennone. Prima però rivela a Polissena il suo
imminente destino e, non senza stupore, deve constatare che la figlia pare
accettarlo con molta dignità, in quanto preferisce morire piuttosto che vivere
da schiava. Polissena è quasi più preoccupata della nuova sventura che capiterà
alla già affranta madre.
A rivelare la decisione assembleare a
Ecuba è lo stesso Ulisse, che usa un tono categorico, quasi burocratico,
mettendo la donna di fronte al fatto compiuto. La freddezza di questo eroe è
notevole. Per scioglierla un po' Ecuba gli ricorda quando, negli anni passati,
era venuto a spiare Troia nella sua vita quotidiana, "malmesso,
brutto", pensando di farla franca. Ma Elena lo riconobbe e lo segnalò
proprio a lei, moglie di Priamo. E Ulisse, per aver salva la vita, la implorò
così tanto di lasciarlo andare che alla fine lei acconsentì. E ora che le parti
si sono invertite, Ecuba non può fare a meno di sottolineare l'ingratitudine di
lui. A Ecuba pare una mostruosità credere che Achille voglia sacrificare chi
l'uccise, anche perché la vera colpevole di tutto, di tutta la guerra, non fu
certo Polissena, bensì Elena. Per questo è ancora convinta che Ulisse, se vuole,
può convincere l'esercito a non chiedere il sacrificio della figlia, che per
lei è tutto: "patria, nutrice, bastone e guida". Lo supplica a più
riprese di farlo, ma Ulisse resta irremovibile: terrà in vita Ecuba in cambio
del favore che gli aveva concesso quando lui era in pericolo di morte, ma non
farà nulla per opporsi al volere dell'assemblea. Per lui è una questione di
principio che un grande eroe come Achille ottenga un grande onore. Ulisse non vuol far vedere a Ecuba d'essere
insensibile al suo dolore di madre: semplicemente le ricorda che in 10 anni di
guerra anche tante donne greche erano rimaste vedove dei loro "sposi
valorosi, sepolti sotto le zolle di Troia". Fare un sacrificio umano sulla
tomba del più valoroso di tutti è come fare, simbolicamente, un sacrificio per
tutti.
Ecuba si preoccupa, perché vede che deve
contrastare non solo il senso dell'onore degli Achei, ma anche quello di sua
figlia, per cui decide di fare a Ulisse un'ultima proposta: siccome Achille era
stato ucciso da Paride, sarebbe più giusto sacrificare la madre che l'aveva
partorito che non la sorella. Ma Ulisse resta di ghiaccio: "lo spettro
d'Achille ha chiesto di uccidere lei", le dice.Disperata, Ecuba chiede
d'essere sacrificata insieme alla figlia. All'ennesimo rifiuto di Ulisse, il
dialogo tra la madre e la figlia diventa straziante. Ecuba non può che maledire
Elena. E il coro conclude questa scena con alcuni versi inquietanti: "Non
più l'Asia per me: in cambio c'è l'Europa, il regno dei morti". Ed era il
425 a.C. quando questa tragedia venne per la prima volta rappresentata. Allora
l'Europa era solo un'espressione geografica. Ma quanto fu profetico quel
lamento! L'Europa davvero mai diventerà una terra unica, sarà divisa e in
guerra senza morti, dominata dal suo stesso inferno bianco: l’egoismo!