Di Vincenzo Calafiore
19 Maggio 2020 Udine
“ … un tempo sono stato un Re
E da Re potei disporre,
pretendere.
Ho vissuto arbitrariamente in
una
terra che non mi apparteneva.
Ero un Re, aquila! … “
Che io sia stato Re, mi pare
sia cosa da non dubitare.
Ho avuto un modo molto regale
di pensare, di opinare e di fantasticare, che non finì mai di stupirmi e
allietare i miei giorni, la mia vita.
Non riuscivo a pensare a cose
umili e povere, ogni cosa doveva avere per forza un nome, essere collocata in
un gerarchia, incedere o strisciare, ma in modo emblematico.
Penso al potere, nel
dilùculo… nel silenzio tra notte e giorno, nel freddo che anneghettisce, in
mezzo al disastro, allo sgomento.
Penso al potere di un Re, di
sapiente malvagità di occhi, omicida e tirannico, ma non passionale.
Intorno a me lo spazio è
enorme. Uno spazio feroce, ma se esso presume di essere geometria vitale,
allora io sono la sua ferita, la piaga….
Forse qualcuno considererà
questa mia immagine, un’immagine faticosamente barocca, ebbene uno così non
potrà mai essere un Re e per tanto di ciò non darò spiegazione.
Io non so, mai saprò se la
mia anima potrà posarsi in cerca di tregua sulle nubi, o se l’ampiezza delle
sue ali sarà tale di librarsi anche nel sonno, ma l’anima mia non conosce
tregua, la sua terra è solo topografia della preda, per i predatori di vita e
di pensiero.
Il sommo Dio, quello che sta
due o tre piani più in su si circonda di
Dei ulteriori, approssimativi, più voraci, più tiranni di lui: il
Supremo.
Dinanzi a lui, tutti
strisciano, fanno tana tra le radici del pensiero, si travestano di autunno o
da estate, dipende …. Ma sanno anche piangere… Tutti costoro sono i suoi
sudditi, e se vogliono sottrarsi alle sue unghiate, non sono che sudditi
ribelli, e meritevoli di duplice morte.
Il suo occhio redige un
continuo rapido catasto del mondo e nessuno è tanto minuto da sottrarsi al suo
catalogo mortale.
Tuttavia egli non ha
commercio con i suoi sudditi, se non nel momento di ucciderli, con tasse e
balzelli vari.
E vi è un momento, in cui, il
suddito condannato a morte, ancora semivivo alla croce, o appeso alle unghie
del suo divino carnefice, sperimenta la vertigine verticale del volo, ciò che
gli è totalmente estraneo, e che tutta la sua breve e mortificata vita ha
insieme paventato e bramato.
La paurosa e taciturna attesa
di un’alba capace a dare vita, mi dà gioia,
ma non è gioia è paura, terrore del potersi svegliare senza magia, con
gli occhi pieni di la … ed è allora, con regale garbo che io e lei ci congediamo
uno dall’altra, e l’una dall’altro precipitando nello spazio parallelo della
felicità interiore, destinati sempre ad incontrarci al prossimo crepuscolo
degli dei.
Mi muovo nel grande letto
deserto, attendo una nuova immagine degna di ornare la vita sorga nella mia
mente… medito sul Dio Supremo… il Dio Denaro.
Il suo odore forte colma la
camera, dilaga sul mare, l’intero mondo, il cosmo sa della sua orina, di carta
marcia, maciullata; egli…. Tutti questi dei godono di un pronome da persona..
esso ad esempio è inadeguato alle sue altezze, e tuttavia tollerando io di
monologare con me stesso in tutta l’angustia dei pronomi e dei nomi minuscoli.
E’ la sua bocca spalancata a
farmi paura, fauci apocalittiche che divorano ogni anima, una galassia di
vittime che della sua orina, del suo afrore gode e vive.
Il gelo della notte,
attraversa da parte a parte l’anima, mi accerta che sono ancora vivo,
sopravvissuto al flagello deum.
Ma il serpente, il dio
sovrano, è un lungo dio taciturno e pieghevole, la sua tendenza plastica è di
essere lungo come il mondo e se il mondo è rotondo, di arrivare a mordersi la
coda, saldando così tutto il mondo al centro del suo occhio, è un abbraccio
mortale.
Un giorno godo delle sue
scaglie, rosate, eleganti, il lusso del suo corpo carnoso e stretto, la sua
sessualità torpida e lenta.
Un giorno le sue scaglie sono
indicazioni verso il nulla, segni di scrittura che non dicono niente, tutto
assieme dentro e attorno l’una all’altra… allora il percorso si fa saputo ed
ermetico come un viale ellenistico in rovina, il resto altro non è che una
serie di rovine, di reliquie insignificanti e scostanti.
Fiumi di denaro per gli
insaziabili cobra, la razza minore che domina la sapiente lentezza di una
poesia, di un pizzico di vita, di un bacio o di una carezza che nonostante
tutto si eternano, e sono ponte per l’umanità che da qualche parte di questo
immane Regno del dio serpente: a volte dollaro, a volte lira, marco, franco,
pesetas… scaglie!
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