giovedì 18 febbraio 2016






 Se questo è un uomo


Di Vincenzo Calafiore
16 febbraio 2016- Udine

“ Premessa.
Sono conscio che l’argomento di cui si tratta
non troverà consensi, vuoi perché la gente
è presa ed è pure preoccupata di come sbarcare
il lunario quotidiano, vuoi perché ormai è cosa passata o
non gliene frega più niente. Ma, è coscienza.
Spero comunque che voi lo possiate condividere,
 parlarne pure in famiglia con i figli ;
 è del futuro, della nostra vita che si tratta
 e non delle solite banalità, delle solite cose di nulla. “

Ovunque si è celebrato con cerimonie e lunghi discorsi, vane promesse, il < Giorno della memoria > era il 27 gennaio 1945 quando i russi, i nemici di sempre ( ma quando mai), entrarono ad Auschwitz.
Coinvolgente ma meditata testimonianza di quanto vissuto da Primo Levi nel campo di concentramento di Auschwitz, con una poesia che avrebbe dovuto far prendere coscienza.


Auschwitz sarebbe dovuto essere memoria storica e in particolare nell’immaginario collettivo del delirio di onnipotenza dei tanti Adolf Hitler sparsi per il mondo.
Questi Fuhrer che assistono alla fine di civiltà con l’uso delle armi e di carnefici prezzolati, guerre destinate a divenire un rogo che brucerà l’intero pianeta.
Forse Auschwitz non rappresenta più, non è più un simbolo, e questi signori della guerra hanno l’inconscio desiderio di farne un altro più recente sistema concentrazionario.
Noi dovevamo ripartire proprio da Auschwitz, Lager simbolo di un sistema nazista ed espressione di una crisi profonda della civiltà occidentale e della ragione.
Il Lager simbolo della Shoah, evento qualificabile come umano anzi troppo umano che, sottratto alla Storia è stato trasformato in evento metafisico inspiegabile.
Oggi si dovrebbero rimuovere i molteplici luoghi comuni già antistorici e la stereo tipizzazione dei fatti e dei suoi protagonisti su cui si fonda la nostra conoscenza, e l’ipocrita sua ricordanza
con cerimonie ufficiali e deposizioni di corone di fiori, targhe commemorative solo in occasione delle ricorrenze commemorative.
A oltre sessanta anni e più dai fatti, dobbiamo riconoscere che nulla è cambiato, anzi è andato sempre più acutizzandosi l’antisemitismo, il fuoco che arde in tutto il medio oriente, le stragi, la cancellazione della memoria; dobbiamo comprendere che l’evento Shoah investe la storia odierna e che da esso si debba per forza ripartire per indagare sulle radici individuali e collettive del razzismo, della xenofobia, dell’antisemitismo.
E’ necessario per la nostra sopravvivenza stessa rimuovere le diffuse certezze di natura commerciale-politica, delle banalizzazioni a cui purtroppo ormai si è abituati.
L’esperienza devastante dei prigionieri all’interno dei Lager richiama alle relazioni complesse fra storia e memoria, attraverso le testimonianze dei pochi sopravvissuti che come si è dimostrato da sole non sono bastate a scongiurare nuovi orrori che stanno ancora accadendo.
“ Quelli che uscivano in quei giorni da Auschwit, scrive ne << La Tregua>> Primo Levi,

<< non salutavano, non sorridevano; apparivano,oppressi, oltre che da pietà, da un confuso ritegno…. Era la stessa vergogna che il giusto prova davanti alla colpa commessa da altrui, e gli rimorde che esista, che sia stata nulla>>.

E’ da interrogarsi : non si ripeterà più o è destinata a ripetersi come una modalità inscritta nel DNA del genere umano?
Nell’insonnia della ragione adesso si rinnova la rammemorazione della apertura dei cancelli di Auschwitz dove si compì il destino degli uomini.
Rammemorazione che è diventata routine, tanti discorsi, tante parole, tante promesse, mentre ancora tuonano le armi, mentre ancora si distruggono vite, mentre ancora per l’assurdo gioco del potere e della ricchezza si costringono popoli alla migrazione per andare in contro a nuovi fili spinati, nuovi ghetti, nuovi campi, nuove morti.
E la storia di Auschwitz si ripete, in forma diversa, ma si ripete.

Vosotros que vivís seguros
en vuestras abrigadas casas,
vosotros que encontráis al volver por la noche
la comida caliente y los rostros amigos:
considerad si esto es un hombre
que trabaja en el fango,
que no conoce la paz,
que lucha por medio pan,
que muere por un sí o un no.
Considerad si esto es una mujer,
sin cabellos ni nombre,
ya sin fuerzas para recordar
vacíos los ojos y frío el vientre
como una rana en invierno.
Meditad que esto así ha sido,
os entrego estas palabras,
esculpidlas en vuestro corazón,
estando en casa, andando por las calles,
acostándoos, levantándoos,
repetidlas a vuestros hijos.
Oh, que se derrumbe vuestra casa,
la enfermedad os inhabilite,
vuestros hijos os nieguen su mirada.

(Primo Levi)




Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e visi amici:

Considerate se questo è un uomo
che lavora nel fango
che non conosce pace
che lotta per mezzo pane
che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
senza capelli e senza nome
senza più forza di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d’inverno.

Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
stando in casa andando per via,
coricandovi alzandovi;
ripetetele ai vostri figli.

O vi si sfaccia la casa,
la malattia vi impedisca,
i vostri nati torcano il viso da voi.

( Primo Levi )

Meditate.















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