Per dare orgoglio
Di Vincenzo Calafiore
11 Maggio 2017
Trieste
Stacco nuovamente lo sguardo dal foglio...quanta
dolcezza in quelle amare parole...disposto a morire per la mia vita…..
A volte succede di
sentire dentro una mancanza a cui non so dare un nome, ed è pressante, latente
col suo andare e tornare, succede di notte nel silenzio e senza rumore leva il
sonno.
Così davanti a una
finestra con un sigaro tra le dita cerco in quel silenzio catramato di colmare
quel vuoto dentro, pensando magari ai giorni già bruciati o più
approfonditamente negli anni che sono tutti lì dentro cornici d’argento e
sembrano parlarmi.
Son tutti lì sempre
uguali, con la stessa espressione felice e occhi brillanti, uguale la posa i
vestiti; immagini fluttuanti in una specie di marea che portandoli se li
riprende per rilasciarli chissà in quale angolo della memoria.
Le ore trascorrono
lente in quel silenzio ovattato, rotto dal ticchettio di una sveglia o da una
sirena lontana, la città dorme dentro un respirar lento; dai vetri cerco
qualche finestra illuminata come ci fosse vita.
Il fumo lento del
sigaro si dissolve nell’aria fresca dell’alba che fra non molto illuminerà quel
filo d’orizzonte ingoiato da un lattiginoso divenire.
Sul piano della
scrivania, il solito disordine di fogli e libri letti, appunti per il giorno
dopo e mi viene voglia di sedermi e cominciare a scrivere; è rassicurante quel
disordine, il profumo degli inchiostri, sanno di continuità quelle frasi
lasciate a metà come sul davanzale d’una finestra in attesa del vento per
prendere il volo.
E c’è lei, la mia
vita!
Lei che sa come
raggiungermi e prendermi o disperdermi chissà in quale tristezza.
Allora la penna
stilografica comincia a graffiare il foglio con solchi profondi per ricevere
inchiostro, graffi invisibili, come certe ferite infettate e sanguinolenti che
dolendo fanno ricordare ed è là che la memoria và.
A volte mi pare
d’essere un attore squattrinato che si aggira per teatri di periferia, ma
capace di snocciolare lunghi monologhi per incantare anche le pietre delle
strade che portano a nulla.
A volte mi sento un
uomo prigioniero delle parole che in testa si muovono come il carico di una
stiva in mezzo alla tempesta, e c’è rumore, c’è vita che vorrebbe vivere e
aspetta le mie mani.
Se dovessero chiedermi
cosa sia la felicità, potrei rispondere: un foglio di carta e una stilografica!
E se non dovessi avere più parole per descriverla questa felicità come potrei e
a chi declinarla come fosse poesia in un’arena insanguinata?
A chi?
E’ questa la realtà o
meglio sta tutta qui la realtà: a chi ?
Alla distrazione, al
finto orgoglio, all’incapacità di commuoversi, all’incanto mancato, alla
facilità con cui si gettano le persone?
Dovrei scrivere per
questi?
Se così fosse vorrei
essere piuttosto cieco o muto.
Ma c’è lei, la mia
vita che torna sempre all’imbrunire come gabbiano, torna e mi racconta di cose
che credevo ormai morte, mi chiama per nome un nome che a volte scordo per un
altro inventato solo per la notte corrente. E so che dovrei possedere un
passaporto, un documento che mi possa permettere di oltrepassare il confine e
raggiungere quella terra a cui nelle notti vado a prendere sogni. Così certe
volte l’alba mi raggiunge con un bagaglio in mano in una stazione sperduta in
un deserto, senza età, libero non so di cosa, ma libero di tenere un sogno
nelle mani per cui vale ancora di morire ….. potrebbe essere questo, l’Amore!?
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