Eppur si muore
Di
Vincenzo Calafiore
23
Settembre 2019 Udine
“De rustica progenie, semper villana fuit. “

Era
così affascinante l’idea, immaginare per un solo attimo, che esistesse la
possibilità tenendoti per mano farti risalire le lucide scalinate che portano
alla felicità assoluta della conoscenza; era come dire di aver raggiunto la
città in cui gli uomini sanno già volare, mentre noi qui in questo - approssimato umano – siamo ancora
impantanati nel fanghiglia della bestialità, dell’ignoranza, dell’avarizia,
della stupidità e chi più ne ha più ne metta.
“ De rustica progenie, semper villana fuit. Colui che discese da stirpe rustica, rimase sempre un rozzo “
“ De rustica progenie, semper villana fuit. Colui che discese da stirpe rustica, rimase sempre un rozzo “
Purtroppo
è un medioevo oscuro, questo, un luogo ove nella sua stessa linfa vitale della
parvenza tutto sembra essere perfettamente sincronizzato e allo stesso smagnetizzato,
decorticato delle più importante: la conoscenza, la cultura, cose che assumono
in se i diversi aspetti dell’umano, oggi quasi rarità in questo disumano e
preda dell’ignoranza, della rozzità preminente, perché quel che più vale è
l’infarinatura, il sommario …!
Bisogna
avere più paura del fuoco o dell’ignorante?
La
risposta in se è ovvia, il fuoco lo si può controllare e spegnere, l’ignorante
ahimè non lo si può né considerare, né controllare, rozzo com’è risulterebbe
difficile anche l’avvicinarsi.
Eppur
di muore di cotanta ignoranza, oggi quasi proiettati nell’anno duemila e venti,
questo cancro ancora è vivo, esiste, prolifica, ahimè ancora respira e ansima,
nella sua stessa brutale esistenza.
“
Nati non foste a viver come bruti “ ebbe a dire il sommo !
Con tutti i mezzi di comunicazione che abbiamo oggi a
disposizione è molto facile informarsi e colmare l’ignoranza che abbiamo su un
determinato argomento. Tuttavia, per pigrizia, o per sommi capi a volte
tendiamo a percorrere la via più facile, evitando di sforzarci quanto
basterebbe per imparare qualcosa. La nostra civiltà è arrivata a un livello di
conoscenza che va al di là di quanto possa immagazzinare un solo cervello, neanche
i più grandi geni si avvicinano minimamente dal sapere tutto. Dobbiamo vedere
l’ignoranza, quindi, come una vergogna, come un’opportunità mancata per
imparare sempre qualcosa di nuovo.
Per Socrate quando tra i viali dell’Acropoli o nell’Agorà
parlava e pensava, la prima condizione della ricerca e del dialogo filosofico è
la coscienza della propria ignoranza: sapiente è soltanto chi sa di non
sapere. Tale tesi socratica da un lato funge da richiamo ai limiti della
ricerca, per gli individui che credono di possedere salde certezze sulla vita,
dall’altro funziona come un invito a indagare, incoraggiando la possibilità di
una ricerca sull’uomo.
Per rendere consapevoli gli individui della loro ignoranza,
Socrate si avvale dell’ironia (eironéia = dissimulazione). L’ironia socratica è
il gioco di parole attraverso cui il filosofo giunge a mostrare il sostanziale
non-sapere in cui si trovano. Facendo finta di non sapere, Socrate chiede al
suo interlocutore di renderlo edotto circa il settore cui è competente. Utilizzando
l’arma del dubbio e confutando, Socrate mostra alla persona l’inconsistenza
delle sue persuasioni, tra quelle quattro colonne.
Ciò non significa però che Socrate, dopo aver vuotato la
mente del discepolo, si proponga di riempirla con una sua verità. Socrate non
vuole comunicare dall’esterno una propria dottrina, ma stimolare l’ascoltatore
a ricercarne dall’interno una propria. Da ciò la celebre maieutica o arte di
far partorire: come la madre di Socrate, levatrice, aiutava le donne a
partorire i bambini, così Socrate, ostetrico di anime, aiuta gli intelletti a
partorire il loro genuino punto di vista sulle cose che ancora oggi ci
circondano: le rovine della conoscenza e la vittoria del burino.
Mentre per virtù i Greci intendevano il modo migliore di
comportarsi nella vita, Socrate concepisce la virtù come scienza e ricerca.
Egli sostiene inoltre che la virtù non è un dono gratuito ma una faticosa
conquista, in quanto l’essere-uomini è il frutto di un’arte difficile.
Per essere uomini è indispensabile riflettere criticamente
sull’esistenza. Secondo Socrate non esistono il Bene e la Giustizia come entità
metafisiche e metri cui commisurare le azioni: non si tratta del Bene, ma di un
bene concreto, che diviene di volta in volta ma che domani può essere non bene.
Da questa concezione, Socrate ricava che la virtù è unica in quanto ciò che gli
uomini chiamano virtù sono modi di essere al plurale dell’unica virtù al
singolare, la scienza del bene.
La virtù socratica non è una negazione ascetica all’esistenza, ma un suo potenziamento tramite la ragione, un calcolo intelligente finalizzato a rendere migliore e più felice la nostra vita. Di conseguenza Socrate non ha voluto uccidere la vita, come sostenuto da Nietzsche: di fronte al caos degli istinti ha semplicemente voluto proporre all’uomo l’ordine della ragione.
Non bisogna mai temere la morte, quanto più l’ignoranza e la mistificazione della verità.
La virtù socratica non è una negazione ascetica all’esistenza, ma un suo potenziamento tramite la ragione, un calcolo intelligente finalizzato a rendere migliore e più felice la nostra vita. Di conseguenza Socrate non ha voluto uccidere la vita, come sostenuto da Nietzsche: di fronte al caos degli istinti ha semplicemente voluto proporre all’uomo l’ordine della ragione.
Non bisogna mai temere la morte, quanto più l’ignoranza e la mistificazione della verità.
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