venerdì 1 agosto 2025

 AVVISO PER COLORO CHE MI SEGUONO E MI LEGGONO.

CAUSA SERI PROBLEMI AGLI OCCHI SONO COSTRETTO A NON POTER SCRIVERE CON LA STESSA FREQUENZA DI PRIMA, ME NE RAMMARICO E VI CHIEDO SCUSA. A VOI GIUNGANO GRADITI I MIE CORDIALI SALUTI.
CALAFIORE Vincenzo


AVISO PARA QUIENES ME SIGUEN Y LEEN.
DEBIDO A GRAVES PROBLEMAS OCULARES, NO PUEDO ESCRIBIR. LO LAMENTO Y LES PIDO DISCULPAS. AGRADEZCO MI DEBER.

CALAFIORE VINCENZO

AVISO AOS QUE ME SEGUEM E LEEM.
DEVIDO A GRAVES PROBLEMAS DE OLHOS, SOU FORÇADO A NÃO CONSEGUIR ESCREVER. LAMENTO E PEÇO DESCULPAS. MINHA ADORAÇÃO É AGRADECIDA.

VINCENZO CALAFIORE

NOTICE TO THOSE WHO FOLLOW AND READ ME.
DUE TO SERIOUS EYE PROBLEMS, I AM FORCED TO BE UNABLE TO WRITE. I REGRET THIS AND APOLOGIZE. MY WORSHIP IS APPRECIATED.

VINCENZO CALAFIORE

giovedì 31 luglio 2025

 


UMAN


Pensa quanto sia importante quella dignità

che ti è stata data e che porti addosso.

E muoversi come fa un ladro del destino

tra muri di città decadenti.

Muoversi con quel gesto di dignità

che ci distingue e negli occhi la certezza

che il sole tornerà a splendere,

che i grandi sogni torneranno a volare.

Cammina nel tuo destino,

cammina lontano dagli inganni

sapendo di non essere solo, che c'è sempre

qualcuno a un incrocio, ad un angolo di strada

ad attenderti con un fiore in mano.

Questo si che è vivere

Questa si che è umanità!

Cammina nel tuo destino

con quel segno di dignità che ci distingue.

Vincenzo Calafiore

lunedì 28 luglio 2025

 " ...... e poi ci siamo inventati il telefono

per alleviare la nostra solitudine.... ! "
Vincenzo Calafiore

domenica 27 luglio 2025


 

COME GRANELLI DI SABBIA


Perché nessuno possa dimenticare quanto sarebbe bello se per ogni

sogno che ci aspetta, ci fosse una vita, per noi.

E qualcuno, un amico, una madre, una sorella, un amore, il primo amore, qualcuno , capace di attenderci e che ci prenda per mano e di trovare la nostra vita, la nostra ultima e perenne vita, perché non ce ne saranno altre!

E immaginarsela diversa, più felice, più serena, e sulla scia di questo sogno, addormentarci e svegliarsi con la leggerezza di una sola parola che abbiamo dimenticato: Amore.

Questo sogno sarebbe davvero meraviglioso.

Sarebbe più dolce l'esistenza.

Sarebbe più bella la vita che ci rimane, qualunque vita abbiamo.

E le cose del quotidiano non farebbero male, si potrebbe avvicinare

portata dalla corrente l'amore, lo si potrebbe sfiorare, toccarlo con mano, farsi toccare dalla sua benedizione. Farsi anche ferire, anche morire, non importa, perché tutto sarebbe più bello, finalmente e definitivamente più umano.

Basterebbe poco, davvero molto poco.

Basterebbe dare vita all'unica parola: Amore, e se non c'è in questo linguaggio, se non c'è in questo – noi – magari inventarsela, scrivendola, urlandola, inventarsela come fosse una strada, qui,

in mezzo a questo immane silenzio, in questa terra che non ci vorrebbe, in mezzo a quelli che non ci vogliono parlare, che ci rifiutano.

Che diventi e sia una strada da qui al cuore e dal cuore al cielo, da percorrere e non importa come se con noi c'è anche l'amore!

Allora si che sarebbe bello!

Sarebbe bello sentirsi più umani

Vincenzo Calafiore



venerdì 25 luglio 2025

 

Tra Scilla e Messina

( Ovvero Tra Scilla e Cariddi )


Di Vincenzo Calafiore






.. per me che sono nato

nella meravigliosa Reggio è

motivo di orgoglio, allo stesso tempo

è raccontare la storia, la poesia

di due luoghi che sanno di fiaba:

Scilla e Cariddi. Per me è stato

ed è ancora adesso vivere lontano da essi.”

Vincenzo Calafiore


Ora mi pare d’essere, ridotto a vivere come un fantasma, nella contemplazione di un mondo di luce e di colori, o da gabbiano sorvolare con la mia fantasia quei cieli che a fatica si distinguono dal mare.

Mi sembra, col permesso della mia vecchiaia, adesso che posso, di lasciarmi andare a quell’antico desiderio, di staccarmi dalla realtà brutale e di sognare. Forse per raccontare ancora una fiaba a mia figlia.

Forse per il mio alzarmi presto, sia d’estate che d’inverno, col bello e il brutto tempo, ancora notte, con le lune e le stelle viste da un balcone che si affaccia sull’orrido,e da finestre che hanno una fetta di cielo limitata, in inverno. E immagino di uscire, andare in spiaggia e lì sedermi ad aspettare l’alba, come facevo da giovane spiaggiatore che ero e sono ancora adesso. Aspettare l’alba coi suoi dardi di luce che fuga le aride ombre della notte, i sogni, le illusioni, e riscopre verità sommerse, la mia terra, il mio mare, quello Stretto solcato dai traghetti e bastimenti, da ogni barca, sfiorati dal vento d’ala di gabbiano.

Quello Stretto inciso come una tela o un foglio nelle mani di una bambina, di azzurro nell’agosto o settembre, segnato dall’ombra di quei tralicci che portano con lunghe campate, corrente a Messina; dalle sfumature di Punta Faro agli accesi azzurri di Scilla, che sono come antenne dritte sparate in cielo, dritte come spade dalle prore delle feluche.

Che vanno su e giù per il canale a caccia dello spada, erranti e veloci ombre sull’acqua che spaventano i pesci che dal basso le vedono e scappano giù nelle profondità per paura.

E’ un luogo magico, quello stretto, quando si sveglia la Fata Morgana o quando barbagliano parabrezza di auto e corriere come a Gallico e Catona, anche verso Messina dal porto fino a Milazzo, Ganzirri, Rasocolmo, barbagliano gli aerei, le creste di spuma lasciate dagli aliscafi.

Mi ritiro sconfitto nello studio come prigioniero di sogni alla scrivania, sognando la feluca che tira a bordo uno spada, azzurro e argento, e antichi – lontri - come a riparare antiche reti, ritorno a tessere ricordi e sogni, miei e della mia vita.

Sono sogni stanchi, ricchi di memoria, che rilasciano orgoglio, amore per la propria terra, poesia per un tratto di mare che a saperlo guardare è grande come un oceano.

Questo infinito di azzurri e di bianchi, di storia e di paure, di morte, di avventure.

Sono nato a Reggio Calabria secondo di due maschi, non lasciavamo tregua a nostra madre con le forchette che rubavamo e legavamo in cima a una canna a mò di fricina per infilzare polpi; aspettavamo al porto le barche cariche di costardelle, e giocavamo a fare i pirati da una barca all’altra, all’ancora davanti alla spiaggia.

E non ricordo più quando salii la prima volta in barca, ho negli occhi la vista dello Stretto, il buio del suo ventre scuro e cupo come una caverna senza fine.

Ho negli occhi la draffinera ( o fricina ) che penetra la pelle, nella carne dello spada che s’impenna e s’inarca dal dolore, che corre a filo d’acqua e si inabissa sparendo portandosi dietro il filo della sàgola, il sangue che disegna la sua rotta.

Ho negli occhi i marinai che lo tirano a bordo, grande e fiero, pesante di morte, legato per la coda, la bocca aperta con l’ultimo urlo, la spada giù come un cavaliere sconfitto nella battaglia.

Ho negli occhi i suoi occhi grandi e tondi, fissi che guardano il mare e oltre, oltre noi, oltre la vita!



giovedì 24 luglio 2025

 

Se fossi sicuro di avere per un'altra vita

ora che sto iniziando un viaggio senza ritorno

ti giuro che rifarei daccapo tutto.

Tornerei ad amarti alla mia maniera, che è solo mia

come lo è stata la mia vita, come sei stata tu:

solo mia!

Ti racconterei i miei sogni, senza smettere mai,

per capire che l'amore lo si concede solo a un cuore.

E che per raggiungere la felicità abbiamo dovuto passare

da questo inutile inferno, per tenerla abbiamo dovuto lottare,

per averla abbiamo dovuto diventare invisibili,

per tenerla abbiamo dovuto difenderla.

E per essere quel che adesso siamo

abbiamo dovuto morire e rinascere dentro uno sguardo!

Vincenzo Calafiore

 

E poi tu

E poi tu...

e poi amarti!

Fare l'amore dentro un chiaro di luna

ovunque.

E aspettarsi, cercarsi

nelle prime ombre del mattino,

e trovarsi abbracciati ancora

col desiderio sulle labbra.

Prendersi, e perdersi dentro, tentarsi!

Cedersi leggeri tra le braccia, le gambe intrecciate

nella stessa follia …

quasi fosse il miglior paradiso

di questo mondo vuoto!

Vincenzo Calafiore

martedì 22 luglio 2025

 


Riesci a sfiorarmi in tante maniere...

Le mie mani si muovono e come il mare

lambiscono la riva.

Così la mia bocca si schiude e vuole tutto

il tuo calore, il tuo sapore.

Ti scopro come un'alba

ti trovo come la poesia di un tramonto,

sei mia, mi appartieni allo stesso modo

di un sogno.

Amo tutto di te!

Ma quello che amo di più è che mi sfiori

in silenzio nei miei pensieri, fino al cielo ove mi lasci;

c'è che ti voglio,

voglio viverti intensamente

sei la mia passione, il mio inganno,

la mia fuga nelle tue labbra

appena schiuse come un melagrano …

quel rosso di passione !

Vincenzo Calafiore

venerdì 18 luglio 2025

 

UOMINI COME TOPI


La vita mi sorride solo quando sei tu

a venirmi incontro e non quei momenti

che mi fanno triste.

Dove di diverso, c’è solo l’alternarsi

di quel pazzo desiderio di vivere

e la voglia di morire.

A volte le sento bisbigliare,

a volte le vedo le cose prive di riverberi

animarsi e cadere come me,

nella mia stanza di carta.

In questa notte priva di valore

ti cerco e trovo le parole che avrei

voluto dirti, proprio questa notte

che non mi vuole.

Come te!, che prima m’illudi

e poi mi getti via!

Che fosse questa la mia vita l’ho

sempre saputo ma importante era

darle “significato” come tutto quello

che intorno a me avrebbe poi ruotato.

Forse è di questo che l’uomo

ha sempre avuto necessità: del significato!

Ed io lo cercai stupidamente su tutti i visi

che a mano a mano incontrai, perfino in te!

Tu,che un tempo non lontano mi dicesti:

T’amo.

Parola che leniva la mia solitudine,

un appiglio in quella mia disperata lotta

per restare a galla.

Anche tu come gli altri, svanita.

Per me rimasero giorni da contare

e sentimenti da seppellire, fu come

cogliere fiori all’inferno.

Tutto avviene così, naturalmente

senza dignità, ci rende uguali ai topi!

Allora, che senso hanno:

l’amore, l’amicizia, la solitudine?

Se al primo vento diventiamo foglie?

Se continuiamo a misuraci come bestie,

se della nostra vita ne facciamo un suk,

se diamo fiducia e poi ci ritroviamo traditi,

beffati, scartati, venduti!

Che la malinconia e la tristezza abbiano

a convivere con la poca allegria,

che noi si viva come topi nella fogna

questo io lo so!

Quello che non capisco è il mio cuore

che nonostante la tua assenza

continua ad amarti!


 

E' così incantevole la tua somiglianza al mare !

Amo le tue mani , fedeli inseguitrici di un ardente desiderio,

che cercano l'anima nell'ondeggiar penoso

del mio tempo.

Qualcuno cuce col mio sangue lustrini

perché tu prova piacere insieme seduzione.

In quello sguardo che d'improvviso

si disegna amore, che il tuo corpo brama.

E i tuoi occhi, si socchiudono agli alvei rotti

del piacere.

Le tue labbra aspettano di essere rosi da un avido morso...

socchiudi gli occhi.... è già l'alba

Vincenzo Calafiore


giovedì 17 luglio 2025


 



Io del mare…



Di Vincenzo Calafiore

..Una vita fa....!




Una volta che hai guardato il mare

camminerai per strade da cui potrai

sempre vederlo.

Perché lì sei stato ed è lì

che vuoi sempre tornare ! “

Vincenzo Calafiore



Non c’era un giorno sia d’estate che d’inverno che io mancassi dalla riva. Per raggiungerti rubavo la prima bicicletta che trovavo e pedalavo come il vento per essere lì su quel pizzo di spiaggia di poca sabbia e di tanti sassi e scogli.

E tu eri lì, sereno e placido, lambivi come fossero carezze gli scogli piccoli di color viola e verdi, ma di un verde scuro, vivo, intenso, come il profumo che tu emanavi e lasciavi nell’aria.

Che io respiravo a pieni polmoni.

Se io ancora sono qui su questa terra misera e affamata, se respiro, se amo ancora, se vivo! Lo devo a te, il mio unico amico.

Ti ricordi quando di notte, incavolato e con grandi boati saltavi gli scogli grandi e raggiungevi il cortile del sanatorio?

Io dormivo in quella camerata che si affacciava sulla scogliera, ricordo la paura dei miei compagni nel vederti sbattere contro i vetri, ma io ero così affascinato da quel tuo spettacolo che rimanevo col viso appiccicato ai vetri e mi pareva di sentirti, mi piaceva vedere i tuoi lunghi petali spumeggiare e svanire velocemente per dare il posto ai successivi, così tutta la notte.

Poi al mattino, quando il sole si affacciava eravamo tutti sulla spiaggia, a respirare il tuo profumo; io salivo sullo scoglio più alto e mi inebriavo di quella luce forte e intensa, di quei mille colori che si diluivano fino a sembrare tutto oro fuso su di te. Rimanevo in silenzio per ore, non m’importava di giocare, mi piaceva rimanere lì ad ascoltarti, mentre pensavo, mentre immaginavo di potermi calare e respirare come un pesce, scendere fino al fondale e risalire gli scogli a guardare ricci rossi e murene negli anfratti, granchi e fiori colorati.

Tu conosci la mia vita, sai ogni cosa, sai quanto io ti ami e quanto impossibile sia per me rimanerti lontano; così con te negli occhi e nella testa sono cresciuto, tu non mi hai mai abbandonato.

Lo sai io ho avuto sempre paura di te, ancora adesso mi fai paura, ma sai quanto rispetto e amore ho per te: quella volta rischiai di annegare proprio in te che amo tanto!

Ho avuto tanto terrore della morte che ancora oggi quando vengo a trovarti non mi allontano molto dalla riva.

Ma questo tu lo sai e mi piace perché è una specie di patto fra noi, tu ti lasci guardare io mi lascio lambire come quei ciottoli che fai rotolare con gran rumore sulla riva.

Come sapevi che a un certo punto le nostre strade si sarebbero separate. Quel giorno lo ricordo bene è stato il peggiore della mia vita! Pensa che io sono andato sempre in città da cui avrei potuto sempre vederti, così fino a oggi che vivo in una città molto lontana da te. Non sento più da moto tempo la voce della risacca, né ho il profumo della salsedine nelle narici, non sento più la carezza del piede che sprofonda piano nella rena; per poterti vedere faccio molta strada per trovarmi alla fine in mezzo a gente che tutto fa tranne quello di guardarti e di ascoltarti.

Ma tu sei sempre lì nel cuore e negli occhi e chissà se un giorno potrò tornare su quel pizzico di spiaggia ove tutto è cominciato, chissà…… ci penso sempre!

Yo, del mar...


Por Vincenzo Calafiore

...¡Hace una vida...!


"Una vez que hayas mirado el mar,

caminarás por calles desde las que

siempre podrás verlo.

¡Porque has estado allí, y es allí

donde siempre quieres volver!"

Vincenzo Calafiore


No hubo un solo día, ni verano ni invierno, que me faltara en la orilla. Para llegar a ti, robé la primera bicicleta que encontré y pedaleé como el viento para estar allí, en esa estrecha playa de poca arena y muchas piedras y rocas.

Y tú estabas allí, sereno y plácido, acariciando las pequeñas rocas moradas y verdes, pero de un verde oscuro, vivo, intenso, como el aroma que emanabas y dejabas en el aire.

Que yo respiraba profundamente.

¡Si todavía estoy aquí en esta tierra miserable y hambrienta, si todavía respiro, si todavía amo, si vivo! Te lo debo todo a ti, mi único amigo. ¿Recuerdas cuando, de noche, furioso y con un rugido fuerte, saltabas las grandes rocas y llegabas al patio del sanatorio?

Dormía en ese dormitorio con vistas al acantilado. Recuerdo el miedo de mis compañeros al verte estrellarte contra el cristal, pero yo estaba tan cautivado por tu espectáculo que me quedé con la cara pegada al cristal y me parecía oírte. Me encantaba ver tus largos pétalos espumar y desvanecerse rápidamente para dar paso a los siguientes, así toda la noche.

Luego, por la mañana, al amanecer, estábamos todos en la playa, aspirando tu aroma; yo subía a la roca más alta y me embriagaba con esa luz fuerte e intensa, con esos mil colores que se diluían hasta parecer oro fundido sobre ti. Me quedaba en silencio durante horas. No me importaba jugar, solo me gustaba quedarme ahí escuchándote, mientras pensaba, mientras imaginaba poder bucear y respirar como un pez, descender al fondo y trepar por las rocas para contemplar erizos rojos y morenas en las grietas, cangrejos y flores de colores.

Conoces mi vida, lo sabes todo, sabes cuánto te quiero y lo imposible que me resulta estar lejos de ti; así que crecí contigo en mis ojos y en mi cabeza, nunca me has abandonado.

Sabes, siempre te he tenido miedo, todavía me das miedo, pero sabes cuánto respeto y amor te tengo: ¡esa vez casi me ahogo en ti, la misma a la que tanto amo!

Me aterraba tanto la muerte que incluso hoy, cuando vengo a visitarte, no me alejo mucho de la orilla. Pero tú lo sabes, y me gusta porque es una especie de pacto entre nosotros: me dejas mirarte, me dejas acariciarme como esas piedritas que arrastras ruidosamente hasta la orilla.

Cómo supiste que en algún momento nuestros caminos se separarían. Recuerdo bien ese día; ¡fue el peor de mi vida! Siempre he ido a ciudades donde siempre podía verte, así que incluso hoy vivo en una ciudad lejos de ti. Hace mucho que no oigo el sonido de las olas, ni tengo el olor a sal en la nariz, ya no siento la caricia de tus pies hundiéndose lentamente en la arena; viajo un largo camino para verte, solo para terminar entre personas que hacen de todo menos mirarte y escucharte.

Pero siempre estás ahí en mi corazón y en mis ojos, y quién sabe si algún día podré volver a ese trocito de playa donde todo empezó, quién sabe... ¡Siempre pienso en ello!

I, of the sea…


By Vincenzo Calafiore

…..A lifetime ago....!


“Once you've looked at the sea,

you'll walk along streets from which you can

always see it.

Because you've been there, and it's there

that you always want to return!”

Vincenzo Calafiore


There wasn't a day, summer or winter, that I was missing from the shore. To reach you, I stole the first bicycle I found and pedaled like the wind to be there on that narrow beach of little sand and many stones and rocks.

And you were there, serene and placid, caressing the small purple and green rocks, but a dark green, alive, intense, like the scent you emanated and left in the air.

That I breathed deeply.

If I'm still here on this miserable and hungry earth, if I still breathe, if I still love, if I live! I owe it all to you, my only friend.

Do you remember when, at night, angry and with a loud roar, you would jump over the large rocks and reach the sanatorium courtyard?

I slept in that dormitory overlooking the cliff. I remember my classmates' fear as they saw you crash into the glass, but I was so captivated by the spectacle of you that I remained with my face glued to the glass and I seemed to hear you. I loved watching your long petals foam and quickly vanish to make way for the next ones, like that all night.

Then in the morning, when the sun rose, we were all on the beach, breathing in your scent; I would climb the highest rock and be intoxicated by that strong, intense light, by those thousand colors that diluted until they seemed all molten gold on you. I would stay silent for hours. I didn't care about playing, I just liked to stay there and listen to you, while I thought, while I imagined being able to dive and breathe like a fish, descend to the bottom and climb the rocks to look at red sea urchins and moray eels in the crevices, crabs and colorful flowers.

You know my life, you know everything, you know how much I love you and how impossible it is for me to stay away from you; so I grew up with you in my eyes and in my head, you have never abandoned me.

You know, I've always been afraid of you, you still scare me, but you know how much respect and love I have for you: that time I almost drowned in you, the very one I love so much!

I was so terrified of death that even today when I come to visit you I don't stray far from the shore.

But you know this, and I like it because it's a kind of pact between us: you let me look at you, I let you lap me like those pebbles you roll noisily onto the shore.

How you knew that at some point our paths would part. I remember that day well; it was the worst of my life! I've always gone to cities where I could always see you, so even today I live in a city far away from you. I haven't heard the sound of the surf for a long time, nor do I have the scent of salt in my nostrils, I no longer feel the caress of your foot sinking slowly into the sand; I travel a long way to see you, only to end up among people who do everything except look at you and listen to you.

But you're always there in my heart and in my eyes, and who knows if one day I'll be able to return to that little bit of beach where it all began, who knows... I always think about it!

Eu, do mar…


Por Vincenzo Calafiore

…..Há uma vida atrás...!


“Depois de olhar para o mar,

caminharás por ruas de onde poderás

sempre vê-lo.

Porque lá estiveste, e é para lá

que sempre queres voltar!”

Vincenzo Calafiore


Não houve um dia, verão ou inverno, em que me faltasse à praia. Para te alcançar, roubei a primeira bicicleta que encontrei e pedalei como o vento para estar ali naquela praia estreita de pouca areia e muitas pedras e rochedos.

E tu estavas ali, serena e plácida, acariciando as pequenas pedras roxas e verdes, mas de um verde escuro, viva, intensa, como o perfume que emanavas e deixavas no ar.

Que respirei profundamente.

Se ainda estou aqui nesta terra miserável e faminta, se ainda respiro, se ainda amo, se vivo! Devo tudo a ti, meu único amigo.

Lembra-se de quando, à noite, furioso e com um rugido alto, você saltava sobre as grandes rochas e chegava ao pátio do sanatório?

Eu dormia naquele dormitório com vista para o penhasco. Lembro-me do medo dos meus colegas ao verem você se chocar contra o vidro, mas eu estava tão cativado pelo seu espetáculo que fiquei com o rosto colado ao vidro e parecia ouvi-lo. Eu adorava ver suas longas pétalas espumarem e desaparecerem rapidamente para dar lugar às próximas, assim a noite toda.

Então, de manhã, quando o sol nascia, estávamos todos na praia, respirando seu perfume; eu subia na rocha mais alta e me deixava inebriar por aquela luz forte e intensa, por aquelas mil cores que se diluíam até parecerem ouro derretido em você. Eu ficava em silêncio por horas. Eu não me importava em brincar, só gostava de ficar ali te ouvindo, enquanto pensava, enquanto imaginava poder mergulhar e respirar como um peixe, descer até o fundo e escalar as pedras para observar ouriços-do-mar vermelhos e moreias nas fendas, caranguejos e flores coloridas.

Você conhece a minha vida, sabe tudo, sabe o quanto eu te amo e como é impossível para mim ficar longe de você; então eu cresci com você nos meus olhos e na minha cabeça, você nunca me abandonou.

Sabe, eu sempre tive medo de você, você ainda me assusta, mas sabe o quanto eu respeito e amo você: naquela vez eu quase me afoguei em você, a pessoa que eu tanto amo!

Eu tinha tanto medo da morte que até hoje, quando venho te visitar, não me afasto muito da praia.

Mas você sabe disso, e eu gosto porque é uma espécie de pacto entre nós: você me deixa te olhar, eu deixo você me lamber como aquelas pedrinhas que você rola ruidosamente para a praia.

Como você sabia que em algum momento nossos caminhos se separariam. Eu me lembro bem daquele dia; foi o pior da minha vida! Eu sempre fui para cidades onde podia te ver, então até hoje moro em uma cidade longe de você. Há muito tempo não ouço o som das ondas, nem sinto o cheiro do sal nas narinas, não sinto mais a carícia do seu pé afundando lentamente na areia; viajo muito para te ver, apenas para acabar entre pessoas que fazem tudo, menos te olhar e te ouvir.

Mas você está sempre lá no meu coração e nos meus olhos, e quem sabe se um dia eu poderei voltar àquele pedacinho de praia onde tudo começou, quem sabe... Eu sempre penso nisso!

mercoledì 16 luglio 2025


 


Che sarà ?


di Vincenzo Calafiore

16 Luglio 2025 in Udine


..... perché tu possa immaginare di quanto

sarebbe bello se, per quell'orizzonte che vedi

e che ti aspetta, ce ne fosse un altro ancora.

E qualcuno, un amico, una persona a te cara, qualcuno

fosse li ad attenderti e prendendoti per mano

ti farebbe trovare il tuo orizzonte.

Immaginarlo, inventarlo e su quel filo di speranza

posarti con la leggerezza di una parola: sono io.

Se tu lo facessi questo, davvero, sarebbe meraviglioso.

Sarebbe diversa e più bella, la vita, qualunque vita tua.

E non conosceresti il dolore delle cose, ma tutto sarebbe

davvero diverso, potresti sfiorare la felicità, o toccarla con mano. Per questo farsi ferire, anche morirne, e non importa perché tutto attorno a te sarebbe finalmente più umano . Per esserlo basterebbe l'amore di qualcuno.

Qualcuno che saprebbe indicarti e portati su quella strada, qui, in mezzo a questo silenzio, a questa solitudine, tra gente che non vuole parlare; una strada fatta di dolcezza e gratitudine.

Una strada da qui al cuore. “ Vincenzo Calafiore


Il tuo viaggio comincia dove finiscono le tue certezze” ! E' la continua sfida della conoscenza, attraverso io dubbio, alla presunzione delle molteplici e diverse verità assolute o delle secolari abitudini, al mondo chiuso e circoscritto del proprio ,ristretto spazio vitale.

Non è solo voglia di conoscere, quella cosa che conduce verso altri universi, o verso altrui; in cui ci si sente estranei, almeno fino a quando i preconcetti e le riserve mentali su ogni diversità non si annullano nella reciproca accettazione.

E' anche impulso naturale al passaggio da – sé – all'altro, come un ponte tra sponde di personalità e caratteri che devono,o dovrebbero, che possono, unirsi nel nome di una grande umanità.

E nulla potrà o può essere più vero, più autentico: l'altrove è il senso in più che da sé si alimenta nelle coscienze di chi il proprio prossimo identifica un'opportunità di crescita, e non nella violenta sfida per la supremazia ….. allora si che si può viaggiare, nel corso di ogni esistenza, approdando di continuo in altri “ altrove” più distanti dal proprio, o cogliendo ogni occasione possibile propizia per vivere, spostandosi anche di poco dai propri confini del proprio ambito relazionale.

Importante ed essenziale rimane comunque la conoscenza del nuovo, con la capacità o la semplice disponibilità ad acquisirne man mano l'essenza; diversamente il tuo viaggio resterà un'esperienza fine a se stessa, un percorso pressoché inutile.

Si spiega così il paradosso di tanto silenzio e diffidenza, del tenere distante da sé , del limitato bagaglio di esperienze, solo queste in grado di dare un arricchimento e un senso dell'altrove interiore un insieme di sensazioni e emozioni che insieme concorrono alla definizione del nuovo. Dunque del viaggio, come attimo prolungato di fascino e mistero, fino al punto da diventare – un fatto di coscienza- o addirittura un sentimento; nella stessa misura in cui l'altrove non è tanto un luogo, quanto un'attitudine.

Viaggiare con la fantasia, o raggiungendo un altro, o un luogo, diventa allora una modalità sempre diversa di vivere la propria vita

- al plurale- piuttosto che al singolare, da sé verso l'altro, scoprendosi non solo meno intruso, ma addirittura più umano.


¿Qué será? Por Vincenzo Calafiore

16 de julio de 2025 en Udine


“... para que puedas imaginar lo hermoso

sería si, para ese horizonte que ves

y que te espera, hubiera otro.

Y alguien, un amigo, un ser querido, alguien

te estuviera esperando y, tomándote de la mano,

te ayudara a encontrar tu horizonte.

Imagínalo, invéntalo, y en ese hilo de esperanza

descansa con la ligereza de una palabra: soy yo.

Si hicieras esto, de verdad, sería maravilloso.

La vida sería diferente y más hermosa, cualquier vida que tengas.

Y no conocerías el dolor de las cosas, pero todo

sería verdaderamente diferente, podrías tocar la felicidad, o tocarla con la mano. Por esto, déjate herir, incluso morir por ello, y no importa porque todo a tu alrededor finalmente sería más humano. Para ser humano, solo se necesitaría el amor de alguien.

Alguien que pudiera mostrarte y guiarte por ese camino, aquí, en En medio de este silencio, esta soledad, entre personas que no quieren hablar; un camino de dulzura y gratitud.

Un camino de aquí al corazón. Vincenzo Calafiore


¡Tu viaje comienza donde terminan tus certezas! Es el desafío constante del conocimiento, a través de la duda, la presunción de múltiples y diversas verdades absolutas o hábitos ancestrales, el mundo cerrado y circunscrito del propio y estrecho espacio vital.

No es solo un deseo de saber, aquello que conduce a otros universos, o a otros; en el que uno se siente extraño, al menos hasta que las preconcepciones y las reservas mentales sobre cada diferencia se borran en la aceptación mutua.

Es también un impulso natural de pasar de uno mismo a otro, como un puente entre orillas de personalidades y caracteres que deben, o deberían, o pueden, unirse en nombre de una humanidad mayor. Y nada podría ser más cierto, más auténtico: en otro lugar se encuentra el significado añadido que se nutre de la conciencia de quienes identifican a su prójimo como una oportunidad de crecimiento, y no como un violento desafío por la supremacía... entonces, de hecho, uno puede viajar, a lo largo de cada existencia, aterrizando continuamente en otros "lugares" más distantes del propio, o aprovechando cualquier oportunidad favorable posible para vivir, incluso traspasando ligeramente los confines de la propia esfera relacional.

El conocimiento de lo nuevo sigue siendo importante y esencial, con la capacidad o la simple voluntad de adquirir gradualmente su esencia; de lo contrario, el viaje seguirá siendo una experiencia que es un fin en sí misma, un viaje casi inútil.

Esto explica la paradoja de tanto silencio y desconfianza, de mantenerse distante, del limitado bagaje de experiencias, solo estas capaces de enriquecer y dar una sensación de ese otro lugar interior, un conjunto de sensaciones y emociones que, en conjunto, contribuyen a la definición de lo nuevo. Así, el viaje, como un momento prolongado de fascinación y misterio, se convierte —en una cuestión de conciencia— o incluso en un sentimiento; En la misma medida en que «otro lugar» no es tanto un lugar como una actitud.

Viajar en la imaginación, o llegar a otro, o a un lugar, se convierte así en una forma siempre cambiante de vivir la vida —en plural, en lugar de en singular—, de uno mismo al otro, descubriéndose no solo menos intruso, sino aún más humano.

O que será?


Por Vincenzo Calafiore

16 de julho de 2025 em Udine


“... para que você possa imaginar como seria belo

se, para aquele horizonte que você vê

e que o aguarda, houvesse outro.

E alguém, um amigo, um ente querido, alguém

estivesse lá esperando por você e, pegando sua mão,

o ajudasse a encontrar seu horizonte.

Imagine-o, invente-o e, nesse fio de esperança,

repouse com a leveza de uma palavra: sou eu.

Se você fizesse isso, de verdade, seria maravilhoso.

A vida seria diferente e mais bela, qualquer vida que você tenha.

E você não conheceria a dor das coisas, mas tudo seria

verdadeiramente diferente, você poderia tocar a felicidade, ou tocá-la com a mão. Para isso, deixe-se ferir, até mesmo morrer por isso, e não importa, porque tudo ao seu redor finalmente seria mais humano. Para ser humano, bastaria o amor de alguém.

Alguém que pudesse lhe mostrar e levá-lo por esse caminho, aqui, em Em meio a esse silêncio, a essa solidão, entre pessoas que não querem falar; um caminho feito de doçura e gratidão.

Um caminho daqui para o coração. Vincenzo Calafiore


"Sua jornada começa onde suas certezas terminam"! É o desafio constante do conhecimento, através da dúvida, da presunção de múltiplas e diversas verdades absolutas ou de hábitos seculares, do mundo fechado e circunscrito do próprio e estreito espaço vital.

Não é apenas um desejo de saber, aquilo que leva a outros universos, ou a outros; no qual nos sentimos estranhos, pelo menos até que os preconceitos e as reservas mentais sobre cada diferença sejam apagados na aceitação mútua.

É também um impulso natural para nos movermos de nós mesmos para os outros, como uma ponte entre margens de personalidades e personagens que devem, ou deveriam, ou podem, unir-se em nome de uma humanidade maior.

E nada poderia ou poderia ser mais verdadeiro, mais autêntico: alhures é o significado adicional que se nutre na consciência daqueles que identificam o próximo como uma oportunidade de crescimento, e não como um violento desafio à supremacia... então, de fato, pode-se viajar, ao longo de cada existência, aterrissando continuamente em outros "alhures" mais distantes do próprio, ou aproveitando todas as oportunidades favoráveis possíveis para viver, mesmo que ligeiramente além dos limites da própria esfera relacional.

O conhecimento do novo permanece importante e essencial, com a capacidade ou a simples disposição de adquirir gradualmente sua essência; caso contrário, sua jornada permanecerá uma experiência que é um fim em si mesma, uma jornada quase inútil.

Isso explica o paradoxo de tanto silêncio e desconfiança, de se manter distante, da bagagem limitada de experiências, somente estas capazes de proporcionar enriquecimento e uma sensação do alhures interior, um conjunto de sensações e emoções que, juntas, contribuem para a definição do novo. Assim, a viagem, como um momento prolongado de fascínio e mistério, torna-se — uma questão de consciência — ou mesmo um sentimento; na mesma medida em que "algum lugar" não é tanto um lugar, mas sim uma atitude.

Viajar na imaginação, ou alcançar outro, ou um lugar, torna-se, assim, uma forma em constante mudança de viver a vida

—no plural — em vez do singular, de si para o outro, descobrindo-se não apenas menos intruso, mas ainda mais humano.

What will it be?


by Vincenzo Calafiore

July 16, 2025 in Udine


“..... so that you can imagine how beautiful

it would be if, for that horizon you see

and that awaits you, there were yet another.

And someone, a friend, a loved one, someone

were there waiting for you and, taking your hand,

would help you find your horizon.

Imagine it, invent it, and on that thread of hope

rest yourself with the lightness of a word: it is me.

If you did this, truly, it would be wonderful.

Life would be different and more beautiful, any life you have.

And you wouldn't know the pain of things, but everything would

be truly different, you could touch happiness, or touch it with your hand. For this, let yourself be hurt, even die from it, and it doesn't matter because everything around you would finally be more human. To be human, all it would take is someone's love.

Someone who could show you and take you on that path, here, in the midst of this silence, this solitude, Among people who don't want to speak; a path made of sweetness and gratitude.

A path from here to the heart. " Vincenzo Calafiore


"Your journey begins where your certainties end"! It is the constant challenge of knowledge, through doubt, the presumption of multiple and diverse absolute truths or age-old habits, the closed and circumscribed world of one's own narrow living space.

It is not just a desire to know, that which leads to other universes, or to others; in which one feels like a stranger, at least until the preconceptions and mental reservations about every difference are erased in mutual acceptance.

It is also a natural impulse to move from oneself to another, like a bridge between shores of personalities and characters that must, or should, or can, unite in the name of a greater humanity.

And nothing could or could be truer, more authentic: elsewhere is the added meaning that nourishes itself in the consciousness of those who identify their neighbor as an opportunity for growth, and not in a violent challenge for supremacy... then, indeed, one can travel, throughout each existence, continually landing in other "elsewheres" more distant from one's own, or seizing every possible favorable opportunity to live, even slightly moving beyond the confines of one's own relational sphere.

Knowledge of the new remains important and essential, with the ability or simple willingness to gradually acquire its essence; otherwise, your journey will remain an experience that is an end in itself, a nearly useless journey.

This explains the paradox of so much silence and mistrust, of keeping oneself distant, of the limited baggage of experiences, only these capable of providing enrichment and a sense of the inner elsewhere, a set of sensations and emotions that together contribute to the definition of the new. Thus, travel, as a prolonged moment of fascination and mystery, becomes—a matter of consciousness—or even a feeling; to the same extent that elsewhere is not so much a place as an attitude.

Traveling in imagination, or reaching another, or a place, thus becomes an ever-changing way of living one's life

—in the plural—rather than the singular, from oneself to the other, discovering oneself not only less of an intruder, but even more human.



lunedì 14 luglio 2025


 Vincenzo Calafiore, il poeta che ha portato la voce di Reggio Calabria nel cuore di Udine

Luglio 13, 2025 Redazione Calabria, Cronaca, Friuli Venezia Giulia
Nato a Reggio Calabria e da anni residente a Udine, Vincenzo Calafiore è una voce poetica autentica e profonda del panorama letterario italiano. Scrittore, giornalista e poeta, la sua opera è un ponte tra Sud e Nord, tra la memoria affettiva della Calabria e la quotidianità friulana.
Con una scrittura densa di immagini e suggestioni, Calafiore racconta le radici, l’identità, la nostalgia e il viaggio interiore di chi ha lasciato la propria terra, ma continua a portarla dentro. Il mare, i treni, le lettere, la fede, il silenzio e il tempo sono solo alcuni dei temi ricorrenti nelle sue poesie, molte delle quali pubblicate dal quotidiano online La Prima Pagina.
Tra i suoi testi più apprezzati figurano “La mia Calabria”, “Quelle lettere dal cuore”, “L’Amore è a Sud”, e “E… Dio?”, componimenti che mostrano un animo sensibile e una scrittura meditata, capace di commuovere e far riflettere. Ogni poesia è un frammento di vita, un ritorno alle origini, ma anche uno sguardo sul presente.
Nel 2008 ha pubblicato la raccolta Ceneri di parole (Laruffa Editore), che raccoglie parte della sua produzione poetica e riflette il suo stile sobrio ma evocativo.
Vincenzo Calafiore non è soltanto un poeta: è un custode della memoria, un interprete del Sud che vive nel Nord, un testimone silenzioso di una generazione in cammino. Con la sua voce gentile ma ferma, continua a ricordare quanto sia importante non dimenticare chi siamo, da dove veniamo e ciò che ci ha formati.
La sua poesia è un invito a restare umani, a scrivere, a sentire, a resistere. In un tempo spesso rumoroso e disattento, Calafiore sceglie ancora la via del silenzio e della parola autentica. E proprio per questo, la sua voce merita di essere ascoltata.
Vincenzo Calafiore
Grazie, Direttore! Mi ha commosso, per me è la " prima volta assoluta" che qualcuno abbia scritto di me, è una cosa bellissima che terrò per ricordo nel Portolano della mia " PEGASUS" . LA RINGRAZIO DAVVERO MOLTO!!!!! Della stima e fiducia che ha di me e in me. Ciò fa onore alla Grande e Sincera Amicizia che a Lei mi lega da ben onorati 17 anni. Grazie davvero. Calafiore Vincenzo
2 h
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Autore
Antonio Nesci
Vincenzo Calafiore Ovviamente dammi del Tu! Sono onorato io di avere al mio fianco persone, anzi personalità splendide come la tua. Sei un Signore, una persona gentile, affidabile e un amico sincero. GRAZIE immensamente GRAZIE

domenica 13 luglio 2025


 

IMMENSO


di Vincenzo Calafiore

14 Luglio 2025 Città di Udine


... perché tu sappia quanto felice

sia stato io. Eravamo poveri e si mangiava

quello che si raccoglieva sia nei campi che

nel mare. Ma era il mare a dare di più

e per questo sia d'estate che d'inverno

si andava a mare a cercare qualcosa da mangiare;

il più delle volte erano i pescatori a regalarci

un po' di pescato, per noi valeva tanto, non

si buttava via niente...” Vincenzo Calafiore

Quel mare davanti a Messina, che guardavo dalla spiaggia era per noi bambini, immenso, e ci faceva pure paura. Accadeva in alcune sere d'estate, una volta che il sole era tramontato che i pescatori, capelli lunghi e barba incolta, cappello da marinaio in testa e sempre con un sigaro tra le labbra, accendevano un falò e noi bambini ci sedevamo assieme a loro intorno al fuoco. C'era chi fumava il sigaro e chi la pipa. Eravamo tutti uguali, vestiti alla meno peggio ed erano belle quelle toppe ai pantaloni o ai maglioni, alle canottiere.

Eravamo lì ad ascoltare le storie di mare e di grossi pesci impigliati nelle reti, le lotte con le murene, che i più vecchi raccontavano come fossero delle fiabe.

C'era un vecchio pontile in ferro corroso dal mare, dove attraccavano le barche a motore della Marina Militare e l'Ospedale, ai miei tempi dopo la guerra, divenuto un sanatorio.

Qui, su quello scoglio, quello con la gobba più alta ci venivo da bambino.
Lo raggiungevo a nuoto …. non era molto distante dalla riva; ma a me sembrava fosse molto lontano, ci arrivavo con gli occhi rossi, arrossati dalla salsedine.
Da li dominavo il mare, vedevo le barche dei pescatori passare, avevano la rete raccolta tutta a poppa; uno remava e l'altro all'impiedi la lasciava scivolare giù, la barca faceva un largo giro e poi tornava a riva.
Al tramontare del sole i pescatori tornavano e dalla spiaggia con lunghe bracciate pian piano la ritiravano, guardando che non vi fossero impigliati dei pesci; dalle prime bracciate di rete arrivavano solo che alghe. Ma poi a mano a mano che la rete veniva ritirata, i secchi di pittura con acqua di mare si riempivano sempre di più.
Dallo scoglio si potevano vedere i ricci e i granchi, grossi e scuri... ho pensato a come prenderli, osservandoli a lungo.
I granchi vigili e sospettosi, alla minima variazione di luce sparivano nelle buche, era difficile prenderli e quando accadeva era una grande vittoria.

Lungo la strada in discesa che facevamo io e mio fratello per raggiungere il mare, passavamo davanti a un forno, sulla porta d'ingresso c'era Pasquale, Don Pasquale il fornaio, che ci aspettava a noi ragazzini per darci mezzo filone di pane caldo e croccante condito con l'olio, che noi si divorava prima di arrivare in spiaggia.
Una mattina il mare aveva lasciato un manico di scopa, che raccolsi e nascosto nel canneto poco più in su.... a sera rubai a mia madre una forchetta, era di alluminio e ben appuntita.
Forchetta che legai a un'estremità del legno, avevo così costruito la mia fricina ( fiocina) e con quella mi calavo in apnea lungo lo scoglio a infiocinare i granchi e raccogliere i ricci, c'erano pure delle patelle grosse e panciute!
Mi sentivo un grande.
Trascorrevo molto tempo sullo scoglio, mi piaceva guardare il mare, a come a lo sormontava, o gli girava intorno, sembravano carezze.
Rimanere lì era qualcosa di più, era un andare oltre! Oltre l'orizzonte, ma anche rimanere in silenzio ad ascoltare il mare, era come parlare con Dio.

A fine estate avevamo la pelle color cioccolato, le spalle con i segni delle piaghe risanate e piedi quasi bianchi, stanchi ma felici di un'estate trascorsa interamente al mare.

Ora che sono in quella età delle “ nostalgie “ sono come quel personaggio di un film che era seduto in una comoda poltrona, in una sala della “ Casa della felicità “ a guardare in un grande schermo film della vita che c'era sulla terra prima dell'ultimo conflitto termonucleare sul pianeta terra, con sottofondo i valzer di Strauss.

Io mi chiedo quale sia il significato della mia presenza qui, in questo

fottuto tempo, quando potrei essere chissà felice in un'altra dimensione; mi domando che ci sto a fare qui, quando non ho nulla da condividere con questi indigeni che si muovono e vivono come mandrie di bufali e di cinghiali, che non conoscono quale sia il vero significato del vivere e dell'esserci, non conoscono i colori e i sapori della felicità, se mai saranno felici, io lo sono stato e continuo ad esserlo in quei momenti spensierati a bordo della mia “ PEGASUS” perduto nell' IMMENSO!


IMENSO


por Vincenzo Calafiore

14 de julho de 2025 Cidade de Udine


"... então vocês sabem como eu era feliz. Éramos pobres e comíamos

o que colhíamos tanto dos campos quanto

do mar. Mas era o mar que nos dava mais,

e é por isso que, tanto no verão quanto no inverno,

íamos ao mar procurar algo para comer;

na maioria das vezes, eram os pescadores que nos davam

um pouco da sua pesca, o que significava muito para nós,

nada era jogado fora..." Vincenzo Calafiore


Aquele mar em frente a Messina, que eu observava da praia, era imenso para nós, crianças, e até nos assustava. Acontecia em algumas noites de verão, depois do pôr do sol, que os pescadores, de cabelos longos e barbas desgrenhadas, chapéus de marinheiro na cabeça e sempre com um charuto entre os lábios, acendiam uma fogueira e nós, crianças, sentávamos com eles ao redor do fogo. Alguns fumavam charutos, outros cachimbos. Éramos todos iguais, vestidos de forma grosseira, e aqueles remendos em nossas calças, suéteres e regatas eram lindos.

Estávamos lá ouvindo histórias do mar e de grandes peixes capturados em redes, de lutas com moreias, que os mais velhos contavam como contos de fadas.

Havia um velho píer de ferro, corroído pelo mar, onde atracavam os barcos a motor da Marinha, e o hospital, que nos meus tempos depois da guerra havia se transformado em sanatório.

Aqui, naquele rochedo, o de maior elevação, eu costumava vir quando criança.

Eu costumava nadar até lá... não era muito longe da costa; mas para mim parecia muito longe, eu o alcançava com os olhos vermelhos, avermelhados pela salinidade.

De lá eu podia avistar o mar, via os barcos dos pescadores passarem, suas redes recolhidas na popa; Um remava e o outro, de pé, deixava o barco deslizar, o barco fazia uma curva ampla e depois retornava à praia.

Ao pôr do sol, os pescadores voltavam da praia, recolhendo lentamente suas redes com remadas longas, certificando-se de que nenhum peixe estivesse preso. As primeiras remadas não revelaram nada além de algas. Mas então, quando a rede foi recolhida, os baldes de tinta se encheram de água do mar.

Da rocha, era possível ver os ouriços-do-mar e os caranguejos, grandes e escuros... Pensei em como capturá-los, observando-os por um longo tempo.

Os caranguejos, alertas e desconfiados, desapareciam em suas tocas à menor mudança de luz. Foi difícil capturá-los e, quando conseguimos, foi uma grande vitória.

Ao longo da estrada em declive que meu irmão e eu pegamos para chegar ao mar, passamos por uma padaria. Na porta da frente estava Pasquale, o padeiro Don Pasquale, esperando que nós, crianças, nos dessemos meio pãozinho quente e crocante, regado com azeite, que devoramos antes de chegar à praia.

Certa manhã, o mar tinha deixado um cabo de vassoura, que peguei e escondi nos juncos um pouco mais acima... À noite, roubei um garfo da minha mãe; era de alumínio e muito afiado.

Amarrei o garfo a uma das pontas do cabo, fazendo assim minha própria fricina (arpão), e com ele eu mergulhava em apneia ao longo da rocha para fisgar caranguejos e coletar ouriços-do-mar. Havia até algumas lapas grandes e barrigudinhas!

Eu me sentia adulta.

Eu passava muito tempo na rocha; adorava observar o mar, como ele se elevava acima dele ou o envolvia; parecia carícias.

Estar ali era algo mais, era ir além! Além do horizonte, mas também permanecer em silêncio e ouvir o mar era como falar com Deus.

No final do verão, nossa pele estava da cor de chocolate, nossos ombros marcados por feridas cicatrizadas e nossos pés quase brancos, cansados, mas felizes de um verão passado inteiramente à beira-mar.

Agora que estou nessa era de "nostalgia", sou como aquele personagem de filme que se sentava em uma poltrona confortável em uma sala da "Casa da Felicidade", assistindo em uma tela grande a filmes sobre a vida na Terra antes do último conflito termonuclear, com valsas de Strauss tocando ao fundo.

Me pergunto qual o sentido da minha presença aqui, neste

tempo maldito, em que eu poderia ser feliz, quem sabe, em outra dimensão; me pergunto o que estou fazendo aqui, quando não tenho nada para compartilhar com esses nativos que se movem e vivem como manadas de búfalos e javalis, que desconhecem o verdadeiro sentido de viver e ser, desconhecem as cores e os sabores da felicidade. Se eles algum dia foram felizes, eu fui e continuo sendo feliz naqueles momentos despreocupados a bordo do meu "PEGASUS", perdido no IMENSO!


INMENSO


Por Vincenzo Calafiore

14 de julio de 2025, Ciudad de Udine


"... así que ya saben lo feliz que era. Éramos pobres y comíamos lo que recogíamos tanto en el campo como del mar. Pero era el mar el que más nos daba, y por eso, tanto en verano como en invierno, íbamos al mar a buscar algo para comer; la mayoría de las veces, eran los pescadores quienes nos daban un poco de su pesca, lo cual significaba mucho para nosotros, no se tiraba nada..." Vincenzo Calafiore


Ese mar frente a Messina, que yo miraba desde la playa, era inmenso para nosotros, los niños, e incluso nos asustaba. Sucedía algunas tardes de verano, al ponerse el sol, que los pescadores, con el pelo largo y la barba descuidada, sombreros de marinero y siempre con un puro entre los labios, encendían una hoguera y nosotros, los niños, nos sentábamos con ellos alrededor del fuego. Algunos fumaban puros, otros pipa. Éramos todos iguales, vestíamos toscamente, y esos parches en nuestros pantalones, suéteres y camisetas sin mangas eran preciosos.

Estábamos allí escuchando historias del mar y de grandes peces atrapados en redes, de peleas con morenas, que los mayores contaban como cuentos de hadas.

Había un viejo muelle de hierro, corroído por el mar, donde atracaban las lanchas de la Marina, y el hospital, que en mi época después de la guerra se había convertido en un sanatorio.

Aquí, en esa roca, la de la joroba más alta, solía venir de niño.

Solía nadar hasta ella... no estaba muy lejos de la orilla; pero a mí me parecía muy lejos, llegaba con los ojos rojos, enrojecidos por la salinidad.

Desde allí podía contemplar el mar, veía pasar las barcas de los pescadores, con las redes recogidas en la popa; Uno remaba y el otro, de pie, la dejaba deslizar; la barca daba un amplio giro y luego regresaba a la orilla.

Al ponerse el sol, los pescadores regresaban de la playa, recogiendo lentamente sus redes con largas paladas, asegurándose de que ningún pez se enredara. Las primeras paladas no revelaron nada más que algas. Pero luego, al recoger la red, los cubos de pintura se llenaron de agua de mar.

Desde la roca, se veían los erizos y cangrejos, grandes y oscuros... Reflexioné sobre cómo atraparlos, observándolos durante un buen rato.

Los cangrejos, alerta y desconfiados, desaparecían en sus agujeros al menor cambio de luz. Era difícil atraparlos, y cuando lo hicimos, fue una gran victoria.

En el camino cuesta abajo que mi hermano y yo tomamos para llegar al mar, pasamos por una panadería. En la puerta estaba Pasquale, Don Pasquale, el panadero, esperándonos a los niños para darnos media hogaza de pan caliente y crujiente rociada con aceite de oliva, que devoramos antes de llegar a la playa.

Una mañana, el mar había dejado un palo de escoba, que recogí y escondí entre los juncos un poco más arriba... Por la noche, le robé un tenedor a mi madre; era de aluminio y muy afilado.

Até el tenedor a un extremo del palo, fabricando así mi propia fricina (arpón), y con él buceaba en apnea por la roca para arponear cangrejos y recoger erizos de mar. ¡Incluso había algunas lapas grandes y panzudas!

Me sentía como un adulto.

Pasaba mucho tiempo en la roca; me encantaba observar el mar, cómo se elevaba sobre ella o cómo se arremolinaba a su alrededor; era como caricias.

Quedarme allí era algo más, ¡era ir más allá! Más allá del horizonte, pero también permanecer en silencio y escuchar el mar era como hablar con Dios.

Al final del verano, nuestra piel era color chocolate, nuestros hombros marcados por heridas cicatrizadas y nuestros pies casi blancos, cansados pero felices por un verano pasado completamente en la playa.

Ahora que estoy en esa época de "nostalgia", soy como ese personaje de película que se sentaba en un cómodo sillón en una habitación de la "Casa de la Felicidad", viendo en pantalla grande películas de la vida en la Tierra antes del último conflicto termonuclear, con valses de Strauss de fondo.

Me pregunto cuál es el significado de mi presencia aquí, en este maldito tiempo, cuando podría ser feliz, quién sabe, en otra dimensión; me pregunto qué hago aquí, cuando no tengo nada que compartir con estos nativos que se mueven y viven como manadas de búfalos y jabalíes, que desconocen el verdadero significado de vivir y ser, que desconocen los colores y sabores de la felicidad. Si alguna vez fueron felices, yo lo fui y sigo siendo feliz en esos momentos despreocupados a bordo de mi "PEGASUS", perdido en lo INMENSO!

ΑΠΕΡΑΝΤΟ


από τον Vincenzo Calafiore

14 Ιουλίου 2025 Πόλη του Udine


"... ξέρετε λοιπόν πόσο χαρούμενος ήμουν. Ήμασταν φτωχοί και τρώγαμε

ό,τι μαζεύαμε τόσο στα χωράφια όσο και

από τη θάλασσα. Αλλά ήταν η θάλασσα που μας έδινε τα περισσότερα,

και γι' αυτό, τόσο το καλοκαίρι όσο και τον χειμώνα,

πηγαίναμε στη θάλασσα για να ψάξουμε κάτι να φάμε.

τις περισσότερες φορές, ήταν οι ψαράδες που μας έδιναν

λίγο από το ψάρι τους, που σήμαινε πολλά για εμάς,

τίποτα δεν πετιόταν..." Vincenzo Calafiore


Αυτή η θάλασσα μπροστά στη Μεσσήνη, την οποία κοίταζα από την παραλία, ήταν απέραντη για εμάς τα παιδιά, και μας τρόμαζε κιόλας. Συνέβαινε κάποια καλοκαιρινά βράδια, μόλις έδυε ο ήλιος, οι ψαράδες, με μακριά μαλλιά και ατημέλητα γένια, καπέλα ναυτικών στο κεφάλι τους και πάντα με ένα πούρο ανάμεσα στα χείλη τους, να ανάβουν μια φωτιά και εμείς τα παιδιά να καθόμαστε μαζί τους γύρω από τη φωτιά. Κάποιοι καπνίζαμε πούρα, κάποιοι πίπα. Ήμασταν όλοι ίδιοι, ντυμένοι πρόχειρα, και αυτά τα μπαλώματα στα παντελόνια, τα πουλόβερ και τα αμάνικα μπλουζάκια μας ήταν πανέμορφα.

Ήμασταν εκεί ακούγοντας ιστορίες για τη θάλασσα και για μεγάλα ψάρια που πιάνονταν σε δίχτυα, για μάχες με σμέρνες, που οι μεγαλύτεροι έλεγαν σαν παραμύθια.

Υπήρχε μια παλιά σιδερένια προβλήτα, διαβρωμένη από τη θάλασσα, όπου έδενε τα μηχανοκίνητα σκάφη του Ναυτικού, και το νοσοκομείο, το οποίο στην εποχή μου μετά τον πόλεμο είχε γίνει σανατόριο.

Εδώ, σε αυτόν τον βράχο, αυτόν με την ψηλότερη καμπούρα, συνήθιζα να πηγαίνω ως παιδί.

Συνήθιζα να κολυμπάω μέχρι εκεί... δεν ήταν πολύ μακριά από την ακτή· αλλά σε μένα φαινόταν πολύ μακριά, έφτασα εκεί με κόκκινα μάτια, κοκκινισμένα από την αλμύρα.

Από εκεί μπορούσα να αγναντεύω τη θάλασσα, έβλεπα τις βάρκες των ψαράδων να περνούν, με τα δίχτυα τους τραβηγμένα στην πρύμνη· η μία κωπηλατούσε και η άλλη, όρθια, την άφηνε να γλιστρήσει προς τα κάτω, η βάρκα έκανε μια μεγάλη στροφή και μετά επέστρεφε στην ακτή.

Καθώς έδυε ο ήλιος, οι ψαράδες επέστρεψαν από την παραλία, τραβώντας αργά τα δίχτυα τους με μεγάλες κινήσεις, φροντίζοντας να μην μπλεχτούν ψάρια. Τα πρώτα χτυπήματα με το δίχτυ δεν αποκάλυψαν τίποτα άλλο παρά φύκια. Αλλά μετά, καθώς το δίχτυ τραβήχτηκε, οι κουβάδες με το χρώμα γέμισαν με θαλασσινό νερό.

Από τον βράχο, μπορούσες να δεις τους αχινούς και τα καβούρια, μεγάλα και σκούρα... Σκεφτόμουν πώς να τα πιάσω, παρακολουθώντας τα για πολλή ώρα.

Τα καβούρια, σε εγρήγορση και καχύποπτα, εξαφανίζονταν στις τρύπες τους με την παραμικρή αλλαγή στο φως. Ήταν δύσκολο να τα πιάσουμε, και όταν το κάναμε, ήταν μια μεγάλη νίκη.

Κατά μήκος του κατηφορικού δρόμου που πήραμε εγώ και ο αδερφός μου για να φτάσουμε στη θάλασσα, περάσαμε από ένα αρτοποιείο. Στην μπροστινή πόρτα ήταν ο Πασκουάλε, ο Ντον Πασκουάλε ο αρτοποιός, που μας περίμενε τα παιδιά να μας δώσει μισό καρβέλι ζεστό, τραγανό ψωμί περιχυμένο με ελαιόλαδο, το οποίο καταβροχθίσαμε πριν φτάσουμε στην παραλία. Ένα πρωί η θάλασσα είχε αφήσει ένα σκουπόξυλο, το οποίο μάζεψα και έκρυψα στα καλάμια λίγο πιο πάνω... Το βράδυ έκλεψα ένα πιρούνι από τη μητέρα μου. Ήταν αλουμινένιο και πολύ αιχμηρό.

Έδεσα το πιρούνι στη μία άκρη του ραβδιού, φτιάχνοντας έτσι το δικό μου φρικίνα (καμάκι), και με αυτό βουτούσα ελεύθερα κατά μήκος του βράχου για να κυνηγήσω καβούρια και να μαζέψω αχινούς. Υπήρχαν ακόμη και μερικές μεγάλες πεταλίδες με κοιλιά!

Ένιωθα σαν ενήλικας.

Πέρασα πολύ χρόνο πάνω στον βράχο. Μου άρεσε να παρακολουθώ τη θάλασσα, πώς υψωνόταν από πάνω της ή στροβιλιζόταν γύρω της. Ένιωθα σαν χάδια.

Το να μένω εκεί ήταν κάτι περισσότερο, ήταν να πηγαίνω παραπέρα! Πέρα από τον ορίζοντα, αλλά και το να παραμένω σιωπηλός και να ακούω τη θάλασσα ήταν σαν να μιλάω στον Θεό.

Μέχρι το τέλος του καλοκαιριού, το δέρμα μας είχε το χρώμα της σοκολάτας, οι ώμοι μας σημαδεμένοι από επουλωμένες πληγές, και τα πόδια μας ήταν σχεδόν λευκά, κουρασμένα αλλά χαρούμενα από ένα καλοκαίρι που περάσαμε εξ ολοκλήρου στη θάλασσα.

Τώρα που βρίσκομαι σε αυτή την εποχή της «νοσταλγίας», είμαι σαν εκείνον τον χαρακτήρα σε μια ταινία που καθόταν σε μια άνετη πολυθρόνα σε ένα δωμάτιο του «Σπιτιού της Ευτυχίας», παρακολουθώντας σε μεγάλη οθόνη ταινίες από τη ζωή στη Γη πριν από την τελευταία θερμοπυρηνική σύγκρουση, με τα βαλς του Στράους να παίζουν στο βάθος.


Αναρωτιέμαι ποιο είναι το νόημα της παρουσίας μου εδώ, σε αυτή την

καταραμένη εποχή, που θα μπορούσα να είμαι ευτυχισμένος, ποιος ξέρει, σε μια άλλη διάσταση. Αναρωτιέμαι τι κάνω εδώ, όταν δεν έχω τίποτα να μοιραστώ με αυτούς τους ιθαγενείς που κινούνται και ζουν σαν κοπάδια βουβαλιών και αγριογούρουνων, που δεν γνωρίζουν το αληθινό νόημα της ζωής και της ύπαρξης, δεν γνωρίζουν τα χρώματα και τις γεύσεις της ευτυχίας. Αν είναι ποτέ ευτυχισμένοι, ήμουν και συνεχίζω να είμαι ευτυχισμένος σε εκείνες τις ξέγνοιαστες στιγμές στο πλοίο μου «ΠΗΓΑΣΟΣ», χαμένος στο ΑΠΕΡΑΝΤΟ!

IMMENSE


by Vincenzo Calafiore

July 14, 2025 City of Udine


"... so you know how happy

I was. We were poor and ate

what we gathered both in the fields and

from the sea. But it was the sea that gave us the most,

and that's why, both summer and winter,

we went to the sea to look for something to eat;

most of the time, it was the fishermen who gave us

a little of their catch, which meant a lot to us,

nothing was thrown away..." Vincenzo Calafiore


That sea in front of Messina, which I looked at from the beach, was immense for us children, and it even scared us. It happened on some summer evenings, once the sun had set, that the fishermen, with long hair and unkempt beards, sailor hats on their heads and always with a cigar between their lips, would light a bonfire and we children would sit with them around the fire. Some smoked cigars, some pipe. We were all the same, dressed roughly, and those patches on our pants, sweaters, and tank tops were beautiful.

We were there listening to stories of the sea and of big fish caught in nets, of fights with moray eels, which the older ones told like fairy tales.

There was an old iron pier, corroded by the sea, where the Navy's motorboats docked, and the hospital, which in my day after the war had become a sanatorium.

Here, on that rock, the one with the highest hump, I used to come as a child.

I used to swim to it... it wasn't very far from the shore; but to me it seemed very far, I reached it with red eyes, reddened by the saltiness.

From there I could overlook the sea, I saw the fishermen's boats pass by, their nets drawn up at the stern; one would row and the other, standing, would let it slide down, the boat would make a wide turn and then return to shore.

As the sun set, the fishermen returned from the beach, slowly hauling in their nets with long strokes, making sure no fish were entangled. The first few strokes of netting revealed nothing but seaweed. But then, as the net was hauled in, the buckets of paint filled up with seawater.

From the rock, you could see the sea urchins and crabs, large and dark... I pondered how to catch them, watching them for a long time.

The crabs, alert and suspicious, disappeared into their holes at the slightest change in light. It was difficult to catch them, and when we did, it was a great victory.

Along the downhill road that my brother and I took to reach the sea, we passed a bakery. At the front door was Pasquale, Don Pasquale the baker, waiting for us kids to give us half a loaf of warm, crusty bread drizzled with olive oil, which we devoured before reaching the beach.

One morning the sea had left a broomstick, which I picked up and hid in the reeds a little further up.... In the evening I stole a fork from my mother; it was aluminum and very sharp.

I tied the fork to one end of the stick, thus making my own fricina (harpoon), and with it I would freedive along the rock to spear crabs and collect sea urchins. There were even some big, pot-bellied limpets!

I felt like a grown-up.

I spent a lot of time on the rock; I loved watching the sea, how it rose above it, or swirled around it; it felt like caresses.

Staying there was something more, it was going beyond! Beyond the horizon, but also remaining silent and listening to the sea was like talking to God.

By the end of the summer, our skin was the color of chocolate, our shoulders marked by healed wounds, and our feet were almost white, tired but happy from a summer spent entirely at the seaside.

Now that I'm in that age of "nostalgia," I'm like that character in a movie who sat in a comfortable armchair in a room of the "House of Happiness," watching on a big screen films of life on Earth before the last thermonuclear conflict, with Strauss waltzes playing in the background.

I wonder what the meaning of my presence here is, in this

damned time, when I could be happy, who knows, in another dimension; I wonder what I'm doing here, when I have nothing to share with these natives who move and live like herds of buffalo and wild boar, who don't know the true meaning of living and being, don't know the colors and flavors of happiness. If they are ever happy, I was and continue to be happy in those carefree moments aboard my "PEGASUS," lost in the IMMENSE!