La Sobrietà
( 17-08-19 L.633/41 Protezione Del Diritto d’Autore )
Di Vincenzo Calafiore
19 Maggio 2025 Udine
“Chi è felice con poco, è il
vero ricco.”
SENECA
“ Sobrietà “ questa parola era molto in voga negli anni cinquanta/ sessanta, poi pian piano sempre meno fino a sparire quasi. E’ un termine antico, le sue radici sono latine; deriva infatti dal latino “ sobrietas “, a sua volta derivazione da “ sobrius “ ovvero sobrio, e indica in senso generale la qualità di chi è moderato, misurato. In quel tempo lontano con il termine sobrietà si indicava ad esempio l’eleganza femminile, veniva usata per indicare la sobrietà di una vettura come l’Alfa Romeo, era associata anche alla qualità della vita.
Nel linguaggio comune, la sobrietà è associata a quei comportamenti privi di eccessi, all’eleganza discreta, all’autocontrollo.
In alcuni contesti questo termine assume anche il significato di astensione o moderazione ad esempio nell’uso di droghe, alcolici, stili di vita eccessivi e poco eleganti … volgari insomma.
Cercando di
riportare alcune accezioni di “sobrietà”, possiamo identificare il
significato del termine come “usare le parole con misura”, “agire con
compostezza”, “Scegliere la qualità invece della quantità”, “Dare
spazio all’essenziale invece che al superfluo”. La sobrietà, quindi, riguarda
ogni ambito della vita: dai consumi, al modo di comunicare, dall’alimentazione,
allo stile personale. Se ci pensiamo, la percezione della parola stride nel suo
significato reale con la rappresentazione che il termine ha assunto nel
dibattito mediatico e politico.
Seneca, filosofo stoico, vedeva
nella sobrietà la chiave di una vita serena. Nelle Lettere morali a Lucilio, il
latino esorta a liberarsi dal superfluo per scoprire la vera felicità nella
semplicità.
PRENDERSI
CURA DELLA PROPRIA ANIMA
La nostra interiorità
soffre, e manifesta la sua sofferenza con differenti segnali: il crescente
numero dei disturbi ansio-depressivi, dipendenze, che affliggono soggetti
sempre più giovani, ma anche l’ultraconsumismo nei rapporti, violenze, iperattività.
Come si è giunti a questo punto? Forse il problema nasce dalla errata
concezione attuale dominante dell’essere umano, cioè nient’altro che una
riduzione naturalista e materialista dell’uomo, che nega totalmente la sua
dimensione spirituale. Ora, negare questa dimensione significa amputare l’uomo
di una parte di sé stesso. Bisognerebbe chiedersi anche: «Quale alternativa si
offre a noi, oltre al bivio fra la depressione e l’ultraconsumismo con cui
colmiamo il vuoto?». Alla
fine si constata che la salute psichica dell’uomo dipende dalla qualità della
sua vita spirituale. Ad esempio chi ricorda più gli insegnamenti ereditati dai
Padri del deserto. Fuggendo l’agitazione del mondo fin dai primi secoli del
cristianesimo, quei saggi hanno vissuto da eremiti e così hanno fatto
esperienza della sobrietà, esercizio che oggi risulterebbe benefico – diciamo
pure vitale – per le nostre anime malconce. Occorre ammettere che la società
attuale va male per le crisi – economiche, sociali, politiche( troppi conflitti
aperti e mai chiusi da molti anni ), ecologiche – si moltiplicano. La sofferenza
psicologica esplode, la vita spirituale è disdegnata se non abbandonata a
vantaggio dell’ultraconsumismo. E se tutti questi fenomeni fossero collegati?
Se il fatto di aver messo in cantina Dio e la religione
avesse conseguenze nefaste sul nostro stile di vita e sulla nostra salute
mentale?
Se la definizione naturalista e materialista che abbiamo
oggi dell’uomo avesse ripercussioni sulla nostra maniera di vivere?
È quanto ci
dimostra la storia della filosofia attraverso i secoli, nonché l’evoluzione
della visione dell’uomo. Nell’Antichità, Aristotele affermava che l’uomo è un
animale razionale, che è fatto di animalità e razionalità, di un corpo e di
un’anima uniti in un sinolo. In epoca moderna, il pensiero
cartesiano, dualista, introduce una distinzione fra anima e corpo. L’uomo non è
un animale poiché è dotato di un’anima, e il suo corpo è una macchina. Nei
secoli XIX e XX, l’uomo è diventato un oggetto di scienza. Egli non ha più
un’essenza propria: non esiste in quanto tale ma sempre per le relazioni che lo
uniscono agli altri. Viene sezionato e osservato rispetto ai suoi
comportamenti, alla sua cultura, alla sua psicologia, alle sue motivazioni
eccetera, eccetera. In fine in questo XX secolo, con l’avvento della genetica e
delle neuroscienze, l’uomo è considerato un vivente come gli altri, questa
visione naturalista e materialista dell’uomo è la causa di un malessere
crescente. Negare la dimensione spirituale dell’uomo significa amputare una sua
parte. La società riduce l’essenza dell’uomo questa perdita di consistenza
ferisce l’uomo, forse anche mortalmente. Sarebbe un grave errore sottovalutare
il masochistico lavoro di distruzione dell’uomo e della sua interiorità, già in
atto da molto tempo.
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