domenica 18 maggio 2025


 

La Sobrietà

( 17-08-19 L.633/41 Protezione Del Diritto d’Autore )

 

Di Vincenzo Calafiore

19 Maggio 2025 Udine

 

Chi è felice con poco, è il vero ricco.”

                    SENECA

“ Sobrietà “ questa parola era molto in voga negli anni cinquanta/ sessanta, poi pian piano sempre meno fino a sparire quasi. E’ un termine antico, le sue radici sono latine; deriva infatti dal latino “ sobrietas “, a sua volta derivazione da “ sobrius “ ovvero sobrio, e indica in senso generale la qualità di chi è moderato, misurato. In quel tempo lontano con il termine sobrietà si indicava ad esempio l’eleganza femminile, veniva usata per indicare la sobrietà di una vettura come l’Alfa Romeo, era associata anche alla qualità della vita.

Nel linguaggio comune, la sobrietà è associata a quei comportamenti privi di eccessi, all’eleganza discreta, all’autocontrollo.

In alcuni contesti questo termine assume anche il significato di astensione o moderazione ad esempio nell’uso di droghe, alcolici, stili di vita eccessivi e poco eleganti … volgari insomma.

Cercando di riportare alcune accezioni di “sobrietà”, possiamo identificare il significato del termine come “usare le parole con misura”, “agire con compostezza”, “Scegliere la qualità invece della quantità”, “Dare spazio all’essenziale invece che al superfluo”. La sobrietà, quindi, riguarda ogni ambito della vita: dai consumi, al modo di comunicare, dall’alimentazione, allo stile personale. Se ci pensiamo, la percezione della parola stride nel suo significato reale con la rappresentazione che il termine ha assunto nel dibattito mediatico e politico.

Seneca, filosofo stoico, vedeva nella sobrietà la chiave di una vita serena. Nelle Lettere morali a Lucilio, il latino esorta a liberarsi dal superfluo per scoprire la vera felicità nella semplicità.

 

PRENDERSI CURA DELLA PROPRIA ANIMA

 

La nostra interiorità soffre, e manifesta la sua sofferenza con differenti segnali: il crescente numero dei disturbi ansio-depressivi, dipendenze, che affliggono soggetti sempre più giovani, ma anche l’ultraconsumismo nei rapporti, violenze, iperattività. Come si è giunti a questo punto? Forse il problema nasce dalla errata concezione attuale dominante dell’essere umano, cioè nient’altro che una riduzione naturalista e materialista dell’uomo, che nega totalmente la sua dimensione spirituale. Ora, negare questa dimensione significa amputare l’uomo di una parte di sé stesso. Bisognerebbe chiedersi anche: «Quale alternativa si offre a noi, oltre al bivio fra la depressione e l’ultraconsumismo con cui colmiamo il vuoto?». Alla fine si constata che la salute psichica dell’uomo dipende dalla qualità della sua vita spirituale. Ad esempio chi ricorda più gli insegnamenti ereditati dai Padri del deserto. Fuggendo l’agitazione del mondo fin dai primi secoli del cristianesimo, quei saggi hanno vissuto da eremiti e così hanno fatto esperienza della sobrietà, esercizio che oggi risulterebbe benefico – diciamo pure vitale – per le nostre anime malconce. Occorre ammettere che la società attuale va male per le crisi – economiche, sociali, politiche( troppi conflitti aperti e mai chiusi da molti anni ), ecologiche – si moltiplicano. La sofferenza psicologica esplode, la vita spirituale è disdegnata se non abbandonata a vantaggio dell’ultraconsumismo. E se tutti questi fenomeni fossero collegati?

Se il fatto di aver messo in cantina Dio e la religione avesse conseguenze nefaste sul nostro stile di vita e sulla nostra salute mentale?

Se la definizione naturalista e materialista che abbiamo oggi dell’uomo avesse ripercussioni sulla nostra maniera di vivere?

È quanto ci dimostra la storia della filosofia attraverso i secoli, nonché l’evoluzione della visione dell’uomo. Nell’Antichità, Aristotele affermava che l’uomo è un animale razionale, che è fatto di animalità e razionalità, di un corpo e di un’anima uniti in un sinolo. In epoca moderna, il pensiero cartesiano, dualista, introduce una distinzione fra anima e corpo. L’uomo non è un animale poiché è dotato di un’anima, e il suo corpo è una macchina. Nei secoli XIX e XX, l’uomo è diventato un oggetto di scienza. Egli non ha più un’essenza propria: non esiste in quanto tale ma sempre per le relazioni che lo uniscono agli altri. Viene sezionato e osservato rispetto ai suoi comportamenti, alla sua cultura, alla sua psicologia, alle sue motivazioni eccetera, eccetera. In fine in questo XX secolo, con l’avvento della genetica e delle neuroscienze, l’uomo è considerato un vivente come gli altri, questa visione naturalista e materialista dell’uomo è la causa di un malessere crescente. Negare la dimensione spirituale dell’uomo significa amputare una sua parte. La società riduce l’essenza dell’uomo questa perdita di consistenza ferisce l’uomo, forse anche mortalmente. Sarebbe un grave errore sottovalutare il masochistico lavoro di distruzione dell’uomo e della sua interiorità, già in atto da molto tempo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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