TANTO ERA MORTALE
By Vincenzo Calafiore
S’erano vergate tante
pagine di parole piene di significato in quel tempo sbandato più per ricordare
a noi stessi cosa fossimo nelle nostre mortali realtà.
Parole che avrebbero
avuto la loro vita dentro un significato vanificate dall’insospettato desiderio
di arrendersi al costante avanzare dell’ignoranza e della voluttuosità.
Il nostro era stato
un regresso morale e sociale oltre che evidente anche incisivo, tanto che alla
fine resoci conto di quanto basso e oltre il profilo umano eravamo caduti,
c’eravamo preposti a subirne i conseguenti richiami e le dolorose azioni di una
coscienza attenta e inviolabile.
Dunque, così violati
nella nostra intima convinzione che tutto poteva scorrere ed espletarsi
naturalmente e delusi dalle nostre stesse appariscenze obbligate, decidemmo
successivamente come una sorta di
purificazione dalla decadenza morale e spirituale, di esiliarci in un deserto
come fece Gesù.
Troppe tentazioni
inutili, troppi i disagi. Tutto tatuato sulla pelle, terra inaridita dal vento
dell’indifferenza.
Eppure da qualche
parte dovrà pur esserci una “via di fuga” da questo essere inermi, arresi,
oltraggiati,sfruttati; mi viene in mente guardando in cielo la costellazione di
Orione là sono più convinto che mai avrei assieme a tanti altri la possibilità
di ricominciare daccapo.
Ma è un sogno, una
chimera, un’illusione adatta allo scopo, cioè di sopravvivere alla maceria
causata dai troppi avari ed egoisti che tanto vanno idolatrati nei templi di
finto paganesimo.
C’è stato un tempo in
cui negli androni di case e palazzi s’udivano risate e canzoni echeggiare per
le scale, profumi ed essenze dai balconi; ora solo che silenzio e scale
asettiche, sconosciuti sulle rampe.
E’ cambiato qualcosa
o siamo cambiati noi, e di che malattia soffriamo?
Siamo finiti murati
vivi dai dettami e dal pragmatismo in cui divincolandoci e mescolandoci ogni
giorno li abbiamo fatti nostri credendo in essi, trovare quello che è sempre
mancato, illusoriamente pure, alla fine sconfitti senza poter ascoltare gli
echi di un “ essere” grandi e geniali che han fatto toccare i cieli della
beatitudine ascoltandoli nei teatri e nelle piazze sommessi dalla grandezza dei
cori. Quando saremo in grado di equipararci a quelle arie scritte per definire
la nostra umana coscienza oggi quasi sparita?
Sentiamo più che mai
la necessità di raggiungere qualsiasi angolo di curvatura per poter rientrare
in quello spazio infinito che un tempo si chiamava umanesimo; cerchiamo con
ogni mezzo di tamponare le falle inflitte alle coscienze da questo inutile
marasma in cui vermi più grossi producendo più liquame stanno per farci
annegare in esso.
Allora fino a quando
ci sarà la possibilità di prendere una “ via di fuga” e lasciare questo immane
baratro in cui viviamo nella stessa misura dell’iniquo, prendiamola lasciando
senza alcun timore la parvenza di vita, l’inutile necessario, il falso per il
vero, e riprendiamoci la nostra vita tutta intera, tutta coscienza diventando:
Tuareg!