LA MEMORIA DELL’ACQUA
By Vincenzo Calafiore
Apparentemente sembrava fosse rimasto tutto uguale, perfino lo specchio
rotto per metà poggiato sulla mensolina di legno nell’angolo tra la porta della
cucina e la finestra che da sull’orto, oltre il quale guardando bene tra i rami
carichi di limoni s’intravede il mare.
Dal muretto di pietre rubate al mare a strapiombo sugli scogli, nelle
sere d’estate quando mi sedevo a fumare una sigaretta e assistere estasiato al
tramontare del sole pensavo a quanto fortunato ero ad essere spettatore della
fluidità dei colori che mescolandosi fra loro ingannavano i miei occhi non
facendoli distinguere quale fosse il mare vero, cioè se quello di sopra o
quello di sotto.
Sul filo dell’orizzonte le sagome scure dei bastimenti che si
lasciavano dietro lunghe scie di fumo nero che si dissolveva piano piano
nell’aria.
La mia attenzione era attratta proprio da quell’insignificante
particolare, lo sparire lentamente, ma anche dalla lunga scia bianca che si
richiudeva su una lunga ferita sempre aperta.
Io con la mia vita non ci sono andato molto d’accordo, troppe cose
ancora aperte, troppo rancore verso un destino avverso, ma lei, non è
cominciata a piacermi più dal momento che avevo abbandonato Ortì, il paesino
arroccato su una montagna generosa e profumata.
Ci andavo all’inizio dell’estate fino alla fine di ottobre.
La mia vita era quella, a contatto con i passeri e gli ovini che
tornavano la sera assieme agli asini dalla prateria e si fermavano ad
abbeverarsi nella vasca della fontana al centro della piazza di terra battuta.
C’era quell’aria pregna del profumo del fieno e nulla in quel tempo mi
faceva presagire che un giorno quel mondo lo avrei perduto; Leda la mia prima
fidanzata che lì era nata e viveva come un passero un giorno che ci eravamo
incontrati sotto la tettoia di un fienile piena di nidi di rondini, mi disse: -
Un giorno mi saluterai e non farai più ritorno.. - fu proprio così. Negli anni che vennero, dopo
la laurea in filosofia ci feci ritorno a Ortì incontrai la mia Leda sposata e
con figli; sempre bella, sempre uguale, libera come un passero.
Capelli scuri e lunghi, raccolti sotto un fazzoletto bianco legato alla
nuca, gonna larga e la camicetta blu che faceva risaltare i suoi grandi occhi
scuri; mi raggiunse al solito nostro posto, c’era il fieno alto e abbiamo fatto
l’amore, per l’ultima volta.
Nella mia casa vicino al mare ascolto nelle sere d’estate “ Una rondine
al nido “ di Pavarotti, una lacrima segna comunque il mio viso e ricorda
scivolando silenziosamente come la mia vita di tanti libri volata dietro una
scrivania senza memoria.
Ancora con quel profumo di fieno e di finocchio selvatico nelle narici
in mezzo ad un mare di cemento e semafori lampeggianti, viali vuoti e anonimi
sotto un cielo di poche rondini e passeri.
Con la memoria di tanti sogni.
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