L’IRREQUIETEZZA
Di Vincenzo Calafiore
C’eravamo allontanati ormai da
tempo dai sfavillanti e cupi tramonti di albe attese dietro grandi vetri; il
viaggio ci portò lontano, distanti come lo eravamo fra noi, una carovana tra le
sabbie infuocate di spiagge abbandonate.
Nello straordinario altrove cercavo la parola idonea capace di
trasformare una sagoma scura in un lampo di luce, di riavvolgere la penombra e
rilanciare i destini che si presentano da oscure lontananze.
Noi, viaggiatori viaggianti,
appartenenti ad altre storie ci accampammo a ridosso di sabbia in viaggio, noi
dalle identità ambigue sotto cui si intravedono profondi dissidi, drammi
irrisolti, inquietanti convergenze, attorno ai fuochi. Uomini e frasi si
scambiano i ruoli e perfette riflessioni ove gli individuali profili e le
storie vere s’intrecciano e si perdono
negli anfratti e gli stupori d’una scrittura vocale.
Siamo stati figli di una dignità
perduta per futili motivi e ritrovata ora a distanza di anni che porta in
superficie quel qualcosa di oscuro che aveva fermentato dentro.
Le mie dolorose considerazioni
racchiuse in un sogno.
Dopo spietata analisi psicologica
e parole rivelatrici, l’incontro con una linea verticale movimentata da parole
ribelle lo scenario si arroventa e si centrifuga nel rivisitato fondale dell’infanzia
mai avuta.
Lo sguardo trasmette con ritmi
serrati e senza urti le tematiche più gravi, i colori forti di un’età ingenua,
il saettio di qualche motivo indocile saldandoli ad un quotidiano in spazi difformi.
Nascono gli impulsi della
confessione e felicità inventive.
Forse non siamo altro che
creature di confine cui piace provocare sofferenze e liberarsi della precisione
dei ricordi al fine di lasciare libera l’immaginazione di sguardi oltre le
apparenze.
Allora, la nostra vita altro non
è che un mosaico di tessere leggere, incise di pena sin dalla tenera età e
risucchiata dalle sabbie mobili di diversi sistemi che prendono il bello dei
giorni senza preoccuparsi, compiamo disordinate esperienze lasciandoci
trascinare dagli eventi proposti senza possibilità di scelta, dunque, stranieri
sempre nella vita in viaggio con il paesaggio che scorre dietro a un vetro!
Nei silenzi s’ode il sgocciolare
lento del tempo, del vuoto che si forma intorno a una imprecisa libertà, il
silenzio dei pensieri che non sanno trattenere la storia di chi li ha posseduti
e trasmessi poi successivamente con la prospettiva di rimanere uomini murati in
infinite solitudini di padri come balene feriti a morte e di madri perse nel nulla
con gli occhi pieni di pianto.
La fisionomia delle cose, la luce
dell’aria, i gesti s’incarnano attorno a nuclei di significati aberranti
lontani da quel forte senso di sacralità che a volte fa dire “ C’era una volta”.
Una sofferenza implacabile, slittante nell’ambiguità, mentre giungono
piccolissimi universi di salvezza dentro un verbo: Ti amo!
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