LA DISTANZA E L’ANIMA
Vincenzo Calafiore
Qualsiasi
manifestazione della lontananza trova il suo correlato psicologico nell’idea
della separatezza, di uno spazio fisico o mentale che divide, creando quel
senso d’interna mancanza, se la memoria non interviene sui fatti
trasfigurandoli e rendendoli oggetto di nostalgia, dolce sofferenza.
Ci sono, distanze e
distanze, ognuna diversa, ognuna personale che comunque riconducono sempre ad
un vissuto che nella distanza vive in attesa di fare ritorno.
E’ nostra infatti la
capacità di conservare e quindi far rivivere nella nostra immaginazione ciò che
più ci procura piacere e, di contro, di rifuggire da ciò che è negativo e ci
procura dolore.
Ma succede anche che
non avendo la possibilità di ripetere le esperienze appaganti, il senso della
lontananza nel suo aspetto di distanza anche se temporale agisce sulla
quotidianità in maniera perversa esaltandone la qualità della piacevolezza e di
contro sbiadendo la portata del negativo.
Accade così che i
ricordi si fanno rimpianti di ciò che non è più, ovvero tanto lontano da non
poter essere afferrato e tenuto con sé.
Questa situazione la
si vive negli amori finiti o nei ricordi delle stagioni trascorse della vita
che nel momento in cui si allontanano, sembrano quasi senza macchia.
Arrivando perfino a
godere della propria sofferenza nel rivivere il passato immergendosi nei fatti
come se nulla fosse cambiato.
La distanza peggiore
è quella che viene a crearsi tra i fratelli o sorelle, tra gli amici; e sempre
a causa di cose che nulla hanno o dovrebbero avere a che fare con la nostra
anima che da certi atteggiamenti ne rimane conseguentemente ferita.
Cerchiamo di
diminuire il carico emozionale negativo proprio della lontananza, con altri
supporti quale la tecnologia, dalla struttura sempre più complessa,
inarrestabile nella sua marcia al pari passo della crescente paura nostra di
rimanere da soli con se stessi e subire il peso del distacco dall’altro come
dal sé più autentico.
La luce della
tecnologia come quella di un display del telefono offre nuovi spazi alla
distanza, avvicinando l’oggetto allo sguardo, ma non al punto di poterlo
toccare, annusare, insomma vivere.
In conclusione si
potrebbe dire che la capacità di vivere la distanza è quel tratto tipicamente
umano teso a sconfiggere lo spettro della solitudine e dell’umana finitezza, ma
è anche una partita giocata a livello interiore, mnemonica ed immaginativa.
Allora diviene
essenziale scrutare orizzonti lontani, per esorcizzare la paura della fine anch’essa
legata al distacco dal passato, a spegnere la sete di conoscere mete lontane e
diverse, di ritrovare persone e rivivere fatti già vissuti in veste nuova.
Dunque la vita è un’immagine
che torna da luoghi e tempi lontani, sembra rompere le severe leggi dell’irreversibilità,
per questo accoglierla appare dolce
, come una donna!
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