MIO FRATELLO
Di Vincenzo Calafiore
Avere la piacevole
sensazione svegliandomi, del giorno buono, lo sento dentro e così poi si
manifesta, prende piega dal momento che appoggio i piedi a terra.
Camminare a piedi
nudi fino in cucina è piacevole, così mi preparo il caffè e rimango lì davanti
alla caffettiera come davanti ad un oracolo….
Mentre in testa
frulla qualche pensiero.
Non è un “qualche
pensiero” è mio fratello.
Colui che da ben 69
anni non è stato mai capace di chiamarmi per nome, di non condividere nessuna
mia cosa. Colui che poi negli anni a venire, una volta che io, per mia volontà,
abbandonato gli studi e la mia famiglia mi misi in viaggio sulla mia strada che
non conoscevo e non sapevo dove questa mi avrebbe condotto.
Fu un vero atto di
coraggio, avevo appena 15 anni.
Tutte le mattine così
per una vita intera.
Tutte le mattine con
quel pensiero conficcato come un ago chissà in quale zona del mio cervello che
ha rilasciato solo veleno.
Mio fratello!
Che bello poterlo
dire nelle circostanze che accadono e si susseguono nel corso della nostra
breve esistenza, magari agli amici, ai conoscenti, a chicchessia: mio fratello,
o mia sorella, la stessa identica cosa. Non mi è stato concesso.
La lontananza. Per
comodità o per vizio, le si addossa la colpa del disastro, può essere, ma forse
la verità andrebbe ricercata in noi, ed io lo feci ogni santissimo giorno,
anche nel loro lento scorrere.
Ma la domanda che mi
ponevo e mi sono posto fino nell’ottobre del 2014 era ed è stata sempre: perché
non c’è mai stata in lui la necessità di chiedersi…. “ ma mio fratello o mia
sorella, è indifferente, come sta, come se la passa, sta bene, sta male, è
felice o infelice?
Be, il mio viaggio su
quella strada intrapresa non è stato agile, come per tantissimi altri
coraggiosi o coraggiose, come me.
Sono stati anni, ma
moltissimi anni, di solitudine, di lunghissimi silenzi, di privazioni, di
divieti, di fame e di miseria. A volte sono stato preso dalla paura dell’ignoto,
sono stato umiliato nella mia dignità di uomo, sono stato privato della mia
libertà, tutto sacrificato a quel mio cosiddetto – avvenire - .
Io per raggiungerlo
attraversai l’Italia intera tutto in un tiro, per riprovare il piacevole senso
della felicità, per risentire un po’ il calore della mia vita spezzata. Così
per anni, tanti anni! E lui, mio fratello invece era da me sempre più distante,
sempre più irraggiungibile; finivano le mie brevi, brevissime vacanze e su, con
l’auto tutto un tiro per tornare a casa “mia” sempre più solo, sempre più
deluso e amareggiato.
Si è proprio come si
suol dire: mi sono fatto uomo da solo, come tutto quel che ho, anche la mia
poca cultura.
Ma io la mia vita
zeppa di errori e di contraddizioni, la mia vita di miseria e di dignità, di
amore verso coloro che mi stanno attorno, dei tantissimi amici, degli studi
completati, dei miei traguardi tagliati, l’amo, l’amo tanto.
Mio fratello è stato
quel compagno di banco assente, un compagno mancato alla fine da me
abbandonato; si alla fine e al numero civico nr 69 ho detto basta.
Per poter vivere
serenamente i miei ultimi giorni,
per ritrovare la
pace,
per risentire la mia
vita o per riprendermi la vita.
Di mio fratello non
ho che vaghissimi ricordi, forse lui non avrà neanche questi. E sta accadendo
in me un miracolo: vedo una gomma che pian piano, con lo stesso moto del
respirare lento, sta cancellando la sbiadita immagine ancora giacente nella mia
testa. E’ una strana sensazione, più di sollievo che di dolore, perché alla
fine del mio viaggio ho potuto comprendere che solo ero all’inizio e solo sarò
alla mia fine. Si, perché questa verrà, è dietro l’angolo, ma potrò andarmene
non sbattendo la porta in faccia a nessuno, perché ho tutto l’amore del mondo
attorno e in me, ma socchiudendola piano, come il mio pensiero vuole sia.
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