Di troppo mare
Di Vincenzo Calafiore
10 Aprile 2021 Udine
“ … con leggerezza e ironia
rievocare certi ricordi e
indugiare
sul presente per raccontare le
ragioni
della ribellione.
E poi la terza età, ciò che
significa per me,
uomo pienamente libero e convinto
che
la maggior parte dei modelli
imposti
portino a una forma di
pregiudizio
contro la “ vecchiaia” non
dissimile
dagli atteggiamenti sessisti e
razzisti. “
Vincenzo
Calafiore
Chi mai sarà in grado di
dirmi di che carne sono fatto!
Ho girato abbastanza, tanto
da sapere che ogni carne è buona e sono uguali, ma è per questo motivo che a
certo momento uno si stanca e cerca un posto per fermarsi, non importa dove ,
importante è diventare terra comunità, perché la sua carne abbia valore più di
ogni altra cosa.
Questa nuova età, la mia
terza età è un viaggio in cerca della
comunità, di un paese per il piacere di tornarci, rimanerci o di andarsene, per
non essere solo, comprendere che nelle persone, nel luogo, vicino la soglia di
casa ci sarà sempre qualcosa che ci appartiene che anche quando sei via, rimane
lì ad aspettare, allo stesso modo i ricordi … son sempre lì e aspettano.
Ora in questo tempo non
tempo, di vita non vita c’è solo solitudine e tempo di trarre da questa
immagini crude di una realtà avvilente, di poca poesia è di un tempo
disumanizzato che si tratta.
Questa mia terza età è un
viaggio in cui procedo lentamente avanti con il tempo di toccare con mano le
paure, il mio mal vivere.
Di passi ne ho fatti tanti e
con coraggio, determinazione,ostinazione, credendo sempre nella magia e poesia
della vita; questa modernità non la capisco, poco la comprendo, finisce ogni
giorno per allungare la sua esistenza a colpi di grandi magie … per occultare
in realtà il decadimento collettivo: abbiamo smesso di credere alla grande e
fantastica avventura su questo pianeta che mal ci sopporta.
Non abbiamo neppure una sola
religione a tenerci “ assieme “, nessuna idea, nessun futuro, da condividere.
La solitudine altro non fa
che mettere in evidenza il grande
imbroglio di questa osannata modernità, il suo aver portato l’umanità
dall’umanesimo all’inferno; è come navigare in un mare di navi arenate e
sprofondate nella sabbia.
Navighiamo in un mare di
chincaglierie che non servono a niente.
Camminando in questo mio
ultimo viaggio ho capito che tutti noi, abbiamo bisogno del sacro, della
sacralità, di più poesia, più cultura, più esistenza che di questa inciviltà
barbarica.
Questo tempo che sto vivendo
o che stiamo vivendo è una forma di autismo atroce, un’epidemia di peste
peggiore di quella che tutti stiamo vivendo adesso.
Cerco ogni giorno in questa
nuova epidemia di peste che si diffonde nel mondo, di scendere sempre più nel
profondo della mia esistenza, di riconquistare questa vita senza più punti
cardinali, trascinata in una paura liquida; cerco in realtà di scarnificare una
realtà avvilente.
Bisognerebbe avere il
coraggio di amarla questa – vita – piuttosto che relegarla dietro le sbarre dei
divieti, della libertà negata; sperare in un qualcosa di miracoloso: una
reazione di grande umanità per la salvezza.
La nostra salvezza è la
poesia che ancora c’è nei ciclici versi di nostra madre terra, dovrebbe essere
questa la nuova religione per tutti i popoli, che ci terrebbe insieme, questa
antica bellezza che dovremmo proteggere e accudire.
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