Là dove il mare è mare
Di Vincenzo Calafiore
8 Aprile 2021 Udine
“ … l’umanità salina dello Stretto
ricca come una terra primordiale
e allo stesso tempo immensa come
un mare grande come un oceano … “
Era bello quel mare che a
Motta Sant’Aniceto dalla fortezza bizantina, guardavo … quando nelle belle
giornate all’alba ero già lì a guardare in sacro silenzio lo Stretto!
Ancor di più lo era guardarlo
e respirarlo da un ferry boat, era
troppo largo
“ Stricto Sensu” dicevano i
marinai a bordo che respiravano acqua salata e nafta.
E sentivi qualcuno dire a un
altro guardando la Costa calabrese avvicinarsi:
“ … quella è l’ Italia “, ci
restavo male, perché la Sicilia, Messina, non era Africa!
Ci restavo male perché
appartenevo e ancora adesso, a quel tipo di terrone che andando e venendo da
Messina, esportavo Meridione … Sud e importavo Italia.
Ero orgoglioso di quell’Unità
d’Italia che mi faceva sentire essere italiano … ora non sono né italiano, né
calabrese, ma neanche friulano; sono come un pesce, un tonno che ovunque vada
si trova sempre a casa sua”E li ho visti i tonni in banco attraversare lo Stretto,
per andare là dove il mare è mare!
Quel mare è proprio bello
perché è – stretto -, perché dalla “ Chianalea “ di Scilla puoi vedere punta
Faro ( Capo Peloro) che divide il mare!
Da una parte lo Jonio calmo e
trasparente, dall’altra parte il Tirreno, cambia il paesaggio, da lì guardare
oltre lo stretto significa guardare non solo alla Calabria, ma all’ Italia,
cosiddetto “ Continente “ una terra apparentemente così vicina e che invece è
lontanissima, per modi di vivere, usanze, tradizioni, clima, contesto e tanto
altro ancora, è l’ultimo caposaldo del Sud.
E quel mare, che sembra
breve, appena 3 Km in realtà è grandissimo e porta le due terre ad essere
lontanissime.
I vecchi al riparo del sole e
del vento conversano del mare e con il mare; lo Stretto è un dono di Dio, dico
sempre, io che soffro di “ Stretto “ mi dicono sia una malattia inguaribile, è
come stringersi a Dio.
Ma io mi ricordo, ricordo che
solo se si sale su un ferry boat si percepisce la separatezza di una terra che
non si congiunge mai con il futuro.
E’ dai tempi del Liceo che
amavo guardare quanto si somigliassero Scilla e Cariddi, non solo perché sono
sorelle povere, neglette, luoghi storici della maledizione risarcitoria del Sud
che imputa alla smemorata politica dell’Italia ogni frattura.
Il punto è che nessuno a Roma
aveva capito che Messina e Reggio sono un’unica città divisa da un tratto di
mare e da un abisso di trascuratezza, disattenzione, menefreghismo,
colonialismo, che ti fanno bestemmiare contro i mostri, Scilla e Cariddi che
dormono nell’abisso, brutti come il cane cirneco, che è lo storto e
spelacchiato cane dell’Etna, arrivato chissà da dove.
E li vedi passare di notte i
ferry boat, scivolano silenziosi lasciandosi dietro una leggera scia di fumo
che dissolvendosi sparisce agli occhi.
E tuttavia a noi “ terroni “
quando il sole si era appena alzato, dentro quella luce da mattino del mondo, a
noi viaggiatori viaggianti ci pareva davvero che l’Italia fosse un bellissimo
miraggio, fosse futuro, fosse Patria, e così mai è stato.
Ora in questi tempi di
colera, prigioniero in semi libertà, cerco e non trovo il mio mare, non sento
il rumore di ferraglia, il vociare per la strada, la stretta di mano, il
profumo delle caffetterie, il profumo del pane, della zagara, della salsedine.
Vivo invece nella
paccottiglia della marginalità e vedo ora come allora l’Italia nel colore
cangiante dell’acqua.
Cerco l’Italia in quelle
diverse velocità delle correnti e trovo invece
i vortici, le scale di mare, le macchie, i garofali, che si mettono a
friggere.
Divento sempre più – isola –
in questo mare che non mi appartiene, che sempre più mi allontana dal mio.
Ho imparato a mie spese che
un – meridionale – è sempre in viaggio su un ferry boat sempre nello Stretto
della separatezza e della marginalità, sia pure accanto a una bellissima donna
con gli – occhi ladri -, la speranza! Alla quale qualcuno dal ferry boat le
urla: < componiti e smettila di ingannare > !
Lo Stretto è in realtà è un
Universo pesante e povero dove tutto rimane addosso; è l’onore e il disonore, è
cortesia, dolcezza, cultura, pudore, fragilità.
Ma è anche il << come
se >> nulla fosse cambiato, neppure l’ossessione del sentirsi sfruttato e
deriso, abbandonato al proprio destino, onanismo,vita e morte.
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