La coscienza della memoria
Vincenzo Calafiore
22 Novembre 2023 Udine
“ ….. questo ho pensato, se
mai mi fosse venuto meno
l’udito, non sarebbe stata
una grave perdita,
tutto quello che valeva la
pena, imparare, ascoltare,
era già stato scritto e l’avrei
potuto riscattare
con gli occhi….. ( da: Il Moto della lentezza ) “
Vincenzo Calafiore
Agonizzo per una
malattia mal conosciuta e che non si sa come curare;è quella malattia che non
ti fa stare bene in questa società ottusa e decadente. Mi hanno rimesso assieme
i pezzi per sopravvivere e questo dovrei ritenerlo una fortuna.
Il mio vecchio
insegnante di latino mi insegnò a leggere, a pensare. Mi mostrò dei libri e mi
trasmise il suo amore per loro.
Non ebbi scelta, fu
la sua eredità.
Lui mi disse che con
i libri non mi sarei mai sentito solo.
In una stanza
illuminata dalla fioca luce di una candela, ho capito quanto fossero importanti
gli occhi. Gli occhi per sentire, gli occhi per parlare, per leggere, per
scrutare l’infinito di una pagina, in una parola.
Le parole esistono
per essere plasmate dalle mani, tutte quelle che già erano state concepite e
quelle che potevo inventare: questa è la materia di cui sono fatti i libri!
E sono loro a
salvare dalla solitudine.
Penso che la memoria
abbia una sua coscienza, quella che le permette di farci ricordare di più le
cose belle invece che le brutte.
Successe un giorno
di maggio, nel pomeriggio.
Accadde lentamente.
Cominciai a sentire
forti dolori al petto, mi pizzicai senza farci caso, aspettai che il dolore mi
passasse. Non successe.
Portai la mano
ancora sensibile all’orecchio, spaventato da quella forte scossa tellurica in
me…
E tutto finì.
Mi sono ritrovato in
una stanza bianca con tanti fili addosso; alla fine venne un medico a parlarmi.
Mi spiegò che si era
trattato di un infarto.
Questo ciò che
accadde.
Mi ha trasformato in
un altro uomo.
Quando uscii da
quella stanza, mentre tutti si sforzavano di capire cosa mi fosse successo,
presi la mia penna stilografica, la accarezzai, la strinsi, cercai di tenerla
saldamente, prese a scrivere da sola, senza seguire la mia traccia. Le lettere
non affioravano nonostante le concepissi con chiarezza nella mia mente.
Non c’era più la mia
voce era cambiata, anche la mia facoltà d’espressione e il linguaggio, era, è
come se non volessi più comunicare con il mondo esterno.
Per il momento mi
stancavo a leggere, scrivere, parlare.
Ero un esule e lo
sono ancora. In questo mondo lontano e distante, vivo da esule.
Ci sono molti
istanti di silenzio nella mia nuova vita, forse anche troppi, in cui pensare
agli orrori degli anni negati per sopravvivere!
Sono un vagabondo.
Me ne sono andato da
questo – mondo – per l’orrore di cui ti sto parlando. Come ho potuto
riconoscerlo e contemporaneamente continuare a vivere?
Ho pensato che
l’isolamento e la solitudine mi avrebbero aiutato a non sentirmi estraneo …, mi
sono sforzato a scacciare dalla mia mente tutti i pensieri sinistri, mi sento
minacciato, e la causa è la paura ….
Sono felice della
mia esclusione dal mondo fino a trasformarmi in un apatico, in un indifferente.
Rimasi a guardare il
fuoco, come se il fuoco potesse trovare una via d’uscita, come se in quelle
lingue arancione potessi trovare una risposta; vorrei provare a volare con le
ali di parole prima che il mio cuore vada a pezzi; l’impotenza è il linguaggio
di questo mondo, l’impotenza per i morti vivi, quelli che ho intravisto dai
finestrini di un treno nelle stazioni di solitudine, nelle rovine di Milano.
Quelli che
protestano contro la fame e l’umiliazione, quelli che spariscono per sempre.
Me ne sono andato
via da questo mondo che permette la barbarie di ammucchiare e spezzare corpi fatti per reinventare l’amore e per esplodere
di felicità. Come fate ad avere il coraggio di fare violenza o uccidere la sola
specie capace di procreare e che ha saputo rinunciare alla propria vita in
certi casi.
Il fatto è che la
vita vince sempre, come l’amore.
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