QUANTO E’ DIFFICILE
di Vincenzo Calafiore
Sulla scrivania ormai
da tempo le parole di Nelson Mandela:
“ un vincitore è semplicemente un
sognatore che non si è mai arreso”,
ogni giorno mi
rammentano quanto sia io sognatore.
Guardo l’orizzonte
nei grigi di una sigaretta e tanto è lontano, dalla mia esistenza dimenticata
in una stazione in capo al mondo; quando una voce forte e autorevole rompendo
la mia lasciva lentezza mi dice: “ Vorrei esserti amico, sarebbe un grande
onore per me, dimenticati entrambi in questo confine vaporizzato.”
Rispondo con la mia
atavica flemma, potremmo anche esserlo, nulla in contrario; ma prima tu dovresti
guardare quel che ho dietro le spalle, e non i miei occhi, guarda dentro le mie tasche le tracce del mondo.
Ho calpestato i suoi
più grandi palcoscenici dai quali ho recitato i miei lunghissimi soliloqui a
una platea immensa di puttane e pervertiti che imbellettati e tatuati
rappresentavano il peggior pattume.
Ho rubato l’amore e
raccolto sogni nei vicoli fatiscenti distanti dall’assoluto, dalle peggiori
certezze, dal contrabbando, dalla compravendita di anime e corpi, da lussuose
camere a ore in cui si consumano nella piena indifferenza intime volgari
compiacenze.
Sono andato in cerca di
un’esistenza immaginaria, solcando i peggiori mari e
terrorizzato nelle notti dalla sagoma buia di un boma.
Mi sono giocato
l’anima nei bordelli di Tangeri e veleggiato lungo terre seguendo l’aria di
gelsomini.
Ho pianto nel grembo
della solitudine di celle arabe.
Tutto pagato e
saldato con gli uomini, e chiesto a Dio nuove rotte per non morire!
No non posso e non
voglio diventare tuo amico, potrei rubarti l’anima e trascinarti via con me,
potresti anche tradirmi!
Non voglio riprovare
nuovamente dolore del tuo tradimento, non voglio le trame oscure, non voglio essere
merce di scambio o da esporre perché tu sai chi io sia, e io non so tu chi
sia! Nè vivere nei margini entro i quali
ti muovi, né voglio sapere e di chi tu sia il servo.
Il silenzio e il vuoto
attorno hanno le stesse voci che sanno incantare dei deserti, e delle rive che
un tempo, sorvolai da gabbiano.
Volai alto per
avvicinarmi a Dio e ho strisciato fra le rughe del tempo con quel mio alle
spalle; ora se potessi la consegnerei nelle sue mani la mia anima! Condannato a
riempire pagine del suo nome, a raccontare sogni ad un pastore di greggi
sottomessi e vinti dalla paura “ del prossimo a essere sgozzato”.
Ma questo lo fanno
uomini dalle mani macchiate dal sangue,
uomini stupidi uccisi
dalla loro stessa avidità. Che mondo è mai questo da cui vieni e tu che bestia
sei?
Non chiedermi
l’amicizia se non sai chi io sia veramente ovunque.
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