STUPIDITY
Di Vincenzo Calafiore
C’era un silenzio surreale, e quasi non sapevamo cosa farcene della nostra
vita senza quella luce che ogni mattino vedevamo un tempo aprendo gli occhi.
C’era in noi una specie di spaesamento che rallentava ogni
nostro pensiero, ci sentivamo delle cose inutili, come tante marionette flosce
accatastate in un vecchio sgabuzzino di un teatro inutile e in disuso.
Io ormai era già da tempo che pensavo di mettermi in
movimento assieme ad altra gente che come me credeva che da qualche parte ci
fosse un luogo in cui certi avremmo ritrovato ciò che ormai era andato perduto.
Nani, eravamo dei nani ricoperti dalle ombre e nelle ombre
di alte siepi ci muovevamo!
Ma una mattina aprendo gli occhi trovai seduto su una sedia
un “ uomo farfalla”; aveva le ali di colori accesi e un sorriso rassicurante. Volevo
alzarmi e raggiungerlo ed ero bloccato nel letto, volevo parlargli e dalla mia
bocca non uscirono che suoni grotteschi, le mie mani conoscevano solo e la
identica gestualità delle scimmie.
Lui era lì e mi fissava e senza proferire una sola parola si
alzò in piedi e battendo le ali volò sopra la mia testa fino a quando caddi in
un sonno profondo e sognai….. almeno così m’era parso.
Pianure verdi e laghi, prati e fiori, alte scogliere e mare
calmo illuminato da diversi soli al tramonto, e barche, tante barche leggere
come foglie che lo solcavano con immensa facilità.
Edifici, pochissimi e niente strade, rumori, fabbriche;
tutto era dentro una musica che mi faceva sognante.
Credetti d’essere in paradiso, ma sentivo le mie mani
toccare l’erba, potei guardare dall’alto verso il basso, e raggiungere
velocemente altri luoghi, ci s’incontrava in aria o seduti sui rami di alti alberi donne e
uomini guardavamo pure le nostre nudità senza malizia, e parlavamo di tante
cose.
Un forte rullo di tamburi e lentamente il sipario cominciò
ad arrotolarsi fino al soffitto; una mano grande e forte annodò tutti i nostri
fili e ancora penzolanti e senza vita ci ritrovammo sulla scena di una parodia
che da tempo conoscevamo a memoria e dovevamo recitare per sollazzo. Le note di
una marcetta militare ci animò,
all’improvviso come una ventata bastarda e cominciammo a muoverci, a cantare e
ridere, lavorare e produrre fino a sera, fino all’ultimo spettacolo quando a
sipario chiuso dove venimmo abbandonate, ci sentimmo delle marionette inutili e
stupide, peggio delle scimmie appese ad un ramo di un alto albero sopra la
terra.
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