Presenza
specchio
di
vincenzo calafiore
24Settembre2016-Trieste
“ Quello che tu sai
è una poesia scritta
da me! “
Di tanto
in tanto tornano dal loro rifugio parole quasi dimenticate consentendo così a
certi ricordi di riaffiorare dal limo della memoria, ancora con il loro carico
di sensazioni e emozioni, a volte di dolore, che il tempo non ha mutato.
Tornano e
costringono gli occhi a volgersi verso uno specchio, ci si vede grigi.
Dal mio
vecchio libro delle medie, l’Odissea, sfogliandolo ho rivisto le mie
sottolineature fatte con la matita ( perché non bisognava allora rovinare il
libro), ma anche la fotografia di una ragazza ungherese che a quel tempo,
studentessa anche lei, era venuta in Italia assieme alla sua classe.
Lei, che ricordi
venne assegnata a me, così le facevo da cicerone nella mia città, girava con un
grosso quaderno in mano per prendere appunti e la macchina fotografica.
I ricordi
rivivono così luci e colori del passato, di un’età meravigliosa e dolceamara
che parla attraverso immagini che si sovrappongono, si alternano proprio come
in un sogno, che trova al risveglio le conseguenze della propria esistenza.
Mi fa pena
quell’immagine grigia riflessa allo specchio, è come se vorrebbe riconciliarsi
con il tempo, guardandosi con indulgenza e strozzato in gola: Dio come sono
vecchio io!
Il passato
ritorna, e talvolta in maniera inaspettata, a volte cruda e crudele, attraverso
immagini reali o oniriche, portato da luci, atmosfere, odori, esperienze di
relazione, che rinforzano il carico di sofferenza, di felicità dimenticate o
perdute.
Per
fortuna, ci sono sempre più parole che chiamano in causa la coscienza, sempre
più abbandonata al suo destino dalle scriteriate obbligatorietà di questo
odierno, sempre più noi violati e depredati, sfruttati, abbandonati a noi stessi
incapaci di cavarcela da soli in questo caos dantesco.
Proprio da
quelle parole viene l’esortazione, ancora inascoltata, a rinunciare alla
battaglia, a non credere in Dio e dare ascolto ad un falso tronfio e folle
benessere.
Sarà così,
ma quelli come me, quelli che hanno ascoltato il respiro della vita come quello
di una bella donna offesa e violentata, restituiscono con passione le ferite,
le contraddizioni, le inquietudini, le istanze di questi antichi e giovani che
si guardano allo specchio!
Quanti
uomini che si trovano su questo suolo indigeno a recitare una parte di attori –
infelici – senza più un’identità, ormai completamente defraudati del loro
diritto di vivere, vivono parvenze?
Il
racconto che sentono dentro è una voce narrante, che li svena!
E lì
davanti allo specchio cominciano a recitare quella vita imposta dai burattinai,
vita da burattini, da oggetti senza coscienza e senza anima, così come vogliono
i burattinai; fino a diventare essi stessi burattinai in un mondo dove i veleni
della cupidigia hanno cancellato ogni umanità.
Ci
vorrebbe un corso inverso, un tornare in dietro, come un processo di
riappropriazione di se; una crescita che si dovrebbe esplicare attraverso una
rinnovata volontà di difendere la propria emotività ferita, non ancora vinta,
ricca di empatia.
Diventa
allora difficile distogliere ancora una volta lo sguardo dallo specchio, il
dolore è lì sotto gli occhi, pronto a essere consumato come nutrimento primario
assieme ai fantasmi, le angosce, le ripetute ricadute e la sempre presente
speranza di una rinascita.
In ogni
caso, non c’è ferita del corpo che possa essere più grande di quella dell’anima
dilaniata dalla mancanza di un amore: l’amore per la vita!
Ma l’illusione
non dura a lungo come la felicità, come le certezze che poi sono incertezze.
Certi
sentimenti come certi amori sono e rimangono per sempre e costringono a una
specie di rilettura della propria storia non certo per rinnegare il dolore e la
mancanza, quanto per riuscire ad inserirli continuamente nella quotidianità per
fare bella la vita.
Il sangue
che scorre dai graffi e dalle ferite sui polsi legati ad un remo, sulle
braccia, sulle gambe, lungo il corpo, nell’anima, è un rivolo di speranza che
esce dal cuore per trovare un’alternativa all’inferno in cui siamo obbligati.
Allora la
rabbia per le delusioni, la vergogna delle battaglie perdute che diventano
orgogli, trovano alternanze, nuove vite a cui andare.
Come
sempre sarà: bisognerà sempre andare da qualche parte!
Sempre
verso la vita, l’amore!
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