Come un bicchiere di
neve
Di Vincenzo Calafiore
4 Luglio 2017 Udine
Dì che sei parola, quella che rimane in testa e fai pensare
che da qualche parte ci potremmo incontrare, e assieme scrivere le più belle
pagine di un libro che resterà nostro come fosse vita, come fosse passaggio da
un si a un no, di questa vita ancora acerba, ancora troppo giovane, ancora
senza eterno.
Di che sei sogno, a cui attingere o andare per trovare
amore.
Non essere quello che in realtà vuoi essere, un qualcosa da
usare e poi essere riposta come un oggetto o peggio ancora un qualcosa da
buttare come tu hai fatto con la tua vita.
Se tu vuoi potrai essere orgoglio e onore, di cui pochi
ancora ne conoscono l’esistenza, lotta affinchè la tua vita non sia un
labirinto, lotta per non vivere da meschina, sii sfidante e non sfidata,
desiderante e non desiderata, libera e assieme coatta.
Forse, se è ancora possibile Amore, il tuo luogo è lì, nel
labirinto di mare e di cielo, al cui centro giungano carezze e non violenze.
Perché tu sia l’eterna bambina, un altrove a cui andare
invece che fuggire.
Se io potessi ora ti amerei per tutto il tempo che mi
rimane, lo sai che agonizzo per una malattia poco conosciuta che non si fa
curare perché mi vuole portare via.
Ma loro gli altri prigionieri di questo sistema, gli altri
morti vivi, quelli che ho incontrato nelle prigioni turche, in Afganistan,
nelle favelas di Rio e di Buenos Aires, nelle bidonville di Casablanca, son lì
che mi aspettano come ogni notte nei cunicoli di coscienza agonizzante.
Tu come me, contro la fame e l’umiliazione, contro chi
legalmente mette in prigione o toglie la vita, quelli che torturano o impiccano
per strappare un si o un lembo di coscienza, quelli che levano la libertà,
quelli che fanno sparire o rendere invisibili altri uomini, altre donne.
E’ una follia!
Come si fa ad avere coraggio a rimanere in questo sistema?
Come si fa a togliere la vita così duramente acquisita?
Come hanno il coraggio di spezzare le braccia possenti e
fragili, di sfaldare le carni dolci da accarezzare, di ammucchiare e spezzare
tante vite, fatte per reinventare l’amore e per fare esplodere la felicità?
Come si fa a fare violenza a una donna che sa rinunciare
alla vita per donarla o alla violenza e che ha saputo vincere tutte le guerre?
Sai ho poco tempo per narrarti una fiaba, così ti parlerò di
me, della mia malattia che si chiama “ vivere” che mi ha dato tante parole, che
mi ha dato una condizione e contro cui scrivo.
Io che riesco a capire tutto oltre le parole e le frasi,
ogni difficoltà di significato, di ogni verbo, di ogni tempo, non sono
difficoltà in quanto tutto è davanti ai miei occhi immagini nitide e chiare.
Sarà forse perché so amare, non so, ma io sono dove tu vuoi
che io sia, in quell’istante, in quel preciso momento, in quella vita che sta
in quell’oltre a cui vorrei portarti.
Io lo so che dicendoti ti amo è un dono d’amore uguale alla
vita.
Ma la mia fiaba con te non la si può scrivere o raccontare,
inventare amore senza amore è come andare per mare senza mare, ecco perché io
ti amo, perché tu sei mare e io riva.
Allora vallo a spiegare tu al cuore che ti sei liquefatta
come un bicchiere di neve al sole!
Vallo a dire a tutti quelli che come me amano!
Io sono sempre vissute nelle strade, nelle piazze; ho
incontrato tanti che come me ti hanno cercata. Storie meravigliose che ho
cominciato a scrivere durante i lunghi silenzi e che ancora mi porto dentro e
che ho cercato di raccontare senza essere ascoltato.
Vallo a spiegare tu che io sono uno di quei prigionieri che
ha vissuto nelle strade, nelle piazze dove sei passata senza accorgerti della
mia esistenza.
Forse tu non sai che le favole che ho raccontato parlavano
di te, le ho raccontate per anni prima di scriverle, prima di conoscerti, prima
di amarti.
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