martedì 4 luglio 2017

Purché ci sia un’alba


Di Vincenzo Calafiore
05 Luglio 2017 Udine
Da quando avevo 3-4 anni davanti a quel mare che ai miei occhi apparve grandissimo e profondo tanto da fare paura, e mia madre esaurite le fiabe che conosceva a memoria per placare la mia curiosità, cominciò assieme a me ad inventarne una ogni sera.
Aspettavamo che calasse la sera e seduti sotto un albero di fichi, vicino al pozzo, a prendere il fresco, si guardava il cielo, un cielo limpido pieno di stelle.
E c’erano tante lucciole che nel buio sembravano tante lanterne cinesi lontane, io il più delle volte mi addormentavo con la testa appoggiata sulle sue ginocchia.
Da qualche tempo, quattro o cinque anni per l’esattezza non riesco più a scrivere.
Il mio cuore si è inaridito come una nave che s’inabissa per morire nel silenzio dell’oscurità del tempo.
Ho sempre scritto di te e la cosa strana era di quel tempo che trovavo sempre un argomento che si rifacesse a te e di quanto presenza eri, di quanto amore io avevo in serbo per te.
Quel che mi fa male non è quello che ho nel cuore, ma quelle belle immagini tue che mai più esisteranno se non nella mia memoria.
Sono fotografie senza forma, senza tempo, che passano senza lasciare d’essere segnate dal mio dolore o segnate dal mio amore che non finisce o finirà assieme a me.
E sono felice, come se la tristezza fosse l’albero maestro della mia nave, come fosse una matita con cui indicare stelle ad una ad una, e tutte da te raccolte in una sera di primavera quando in quel fienile conoscemmo i nostri corpi.
Non si può immaginare quanto tu mi manchi, qui in carcere. Il cuore si inaridisce; ad un certo punto mi sono mancate le parole per dirti ancora dopo tanto tempo senza remore e senza false ipocrisie che ti amo ancora.
E sogno, ti sogno che mi dici che il mondo appartiene a chi ha sempre un sogno a cui andare, e io in quel sogno mi sono perso.
Che cosa è vero, la vita o la morte?
Cosa sarà vero, la bugia che si trova nel sogno o quella nella realtà?
Quando ero giovane pensavo che i giorni rimanessero addosso e invece se ne sono andati assieme al mio tempo, come sono vecchio,
come sono nulla di fatto,
così invecchiato, così amareggiato.
L’amore quando si rivela non sa parlare, tace e sembra dimenticare che ci sono io.
Mi ero accorto che in ultimo scrivevo per i grandi, allora ho smesso perché non mi piace scrivere per i grandi; i grandi a parte quelli che non sono riusciti a crescere come me, non capiscono più cosa sia l’amore, si sono dimenticati che ci si può innamorare di una stella come te, ecco perché mi sono perso.
Io ho incominciato a sognare da quando baciai gli occhi tuoi, ricordi? E poi l’ho sempre fatto, li baciavo sempre gli occhi tuoi verdi come il mare, quel mare che ancora mi ama e mi chiama, mi cerca.
A volte nuotavo dentro il tuo corpo, a volte annegavo nei tuoi occhi dopo l’amore… ci sono molte forme di morire, ma certo la più tremenda è quella che spezza l’ingenuità di un amore che rimane.
Così avanzo nel labirinto dell’orrore e provo nel mio corpo il rischio di tornare a vivere senza te, meglio morire!
Cammino e guardo a destra come a sinistra, qualche volta dietro di me, tu potresti spuntare da qualche parte, e ciò che non avevo visto prima torna a presentarsi… ma tu ancora no!
E resta negli occhi lo stupore di bambino nel nascere e il dolore di un vecchio nel morire, io mi sento nascere ogni volta che penso a quanto mi piacesse baciare gli occhi tuoi.
Amarti è un eterna innocenza, è l’unico dolore sarebbe non pensare… come un fondo reale di solitudine, che mi suggerisce di cercarti ancora tra i miei pensieri, gli sdoppiamenti, nel cervello che salta in aria, le allucinazioni le rotture dei margini, nelle parole che appena riesco a sussurrare quando mi dico che t’amo ancora in quest’alba da inventarsi, purchè ci sia un’alba in cui ti vedrò nuda nel letto da cui potevamo vedere il mare.
Con quella faccia da bambina che hai!







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