Una vita in disparte
Di Vincenzo Calafiore
30 Giugno 2018 Udine
“ Molti anni dopo, davanti a una scrivania, mi sarei
ricordato” !
Un trafiletto o un appunto di moltissimi anni fa conservato
dentro una vecchia rubrica dell’anno 1968.
E di cosa dovrei ricordarmi?
Forse delle mie parole che più giovani di me continuano a
girare per il mondo, a produrre i loro effetti, a far nascere e a tenere in
vita altri universi ancora da scoprire. Mentre io che ancora non ho finito di
macchiarmi le dita di inchiostro, che ho ormai superato la boa nr 70, e una
moltitudine di controversie, vivo sempre più in disparte, più piccolo, più ai
margini.
Della vecchiaia, ne avevo già scritto: difficile non
ravvisarlo nello spirito indomito del personaggio, protagonista de “ Ceneri di Parole”, opera speculare per
certi versi in cui il concetto base è che, è la vita e non la morte, ad essere
inesauribile.
C’è ancora il mio sogno d’amore oltre i confini dell’età,
del possibile, l’intraprendenza, la tenacia, la capacità d’incanto… nonostante
l’età, la mia vecchiezza che ricorda soprattutto il disincanto, l’amarezza, la
stanchezza che si depositano, come ruggine, nel fondo della volontà,
dell’immaginazione.
Ci sono i miei lettori, le lettrici che non smettono di
vedere l’amore ai bordi della mia scrittura, fino alle puttane tristi ( i
compleanni) che hanno smesso di illuminarsi di candeline.
Si, temo di non avere più una buona vista e gli occhi ormai
non reggono più le ore necessarie a scrivere.
Non auguro a nessuno di avere tanto ancora da raccontare e
rendersi conto che rimane sempre più solo, prigioniero del desiderio di
scrivere, sempre meno le lunghe nottate alla scrivania..
Spero almeno di aver rivelato il mondo, il mio mondo; c’è
poco tempo per le distrazioni e d’altronde il tempo è circolare e quello che è
passato ieri, ritorna ancora giovane, ci sono le nostalgie che mordono il
cuore, i luoghi che sono stati sempre anima; le parole che non conoscono
autunni, mentre io sempre più sprofondo in una specie di limbo.
E davanti a una scrivania molti porteranno con sé le
fragranze delle stagioni perdute, l’odore di mandorle amare e la speranza
inesauribile che lasciano le parole.
Davanti a una scrivania ci sarà tempo per chiedersi se mai
sarò stato felice, nel porto usuale no, ma nei porti di altri mondi, di altri
altrove si! Ed è lì che appoggerò la mia stilografica chiusa per sempre.
Rimangono coloro che porteranno con sé le fragranze
sibilline delle albe attese assieme sulle rive dei mari in cui siamo stati per
tanti anni assieme, con la speranza che qualcuno un giorno siederà sulla riva
ad attendere la vita levarsi nei lembi d’una eternità unica: l’Amore.
Ma c’è in me un paese del Sud, le sue colline, la piazza e
un negozio di barbiere. Operai che attendono un lavoro, le solite volatili
promesse e nuvole che corrono sotto un cielo azzurro oltremare, cobalto.. un
cielo come mare, così grande da accogliere tutte le anime che i preparano a
morire.
Una terra, la mia Calabria, che sta lì ferma e aspetta e
riconosce tutti, e un gran silenzio che copre quella terra perché di tutto è
stato detto, tutto è stato portato via, tutto è ancora lì nella memoria, negli
odori forti, nei canti, nei lamenti, nel mare appena liscio alla riva.
Come fare a dimenticare l’asprezza delle cime, le innevate
pianure, gli immensi boschi i fiabe e di gnomi, come dimenticarsi di Ulisse che
qui trovò l’amore, come dimenticare i morti, le deportazioni, le distruzioni, i
primi campi di concentramento in nome di una Unità sconosciuta e ignota? Oggi
ingrata che si perpetua ancora in quelle forme da campo di concentramento o di
cotone in cui vi sono solo schiere di schiavi.
Come non amare un paesaggio dai colori forti, parole scabre
come l’esistenza che stenta il suo cammino, un coro di visi pronti ad
affacciarsi con le pene antiche e la fatica di un sogno dietro l’altro creano
un buco nero nell’indifferenza di un mondo indifferente.
Per questo non smetterò mai fino all’ultimo di pensare che
la vita non è quella degli stessi abiti di ogni giorno, la vita è una voce
dentro che improvvisamente diventa uragano come accade quando pronunci a bassa
voce: T’amo!
E si continua a vivere una vita in disparte.
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