
Di Vincenzo Calafiore
11 Giugno 2019 Udine
“ … le parole più belle sono
scritte negli occhi: i miei occhi.
Non mi sono mai serviti solo
per guardare.
Oggi in questo Medioevo oscuro
dico tutto con gli occhi
e colgo con gli occhi, lo
sgomento, il dolore, la fatica,
il distacco, le lontananze,
l’amore.
I miei occhi oggi si
trasformano in sguardi che
differenziandosi da altri
sguardi li fanno risaltare e mi insegnano
quello che devo ancora
imparare.
Ma dicono tante cose ad altri
occhi che li sanno leggere,
che sanno guardarsi! “ Vincenzo Calafiore
E con questi occhi
voglio raccontarti la mia storia, principessa.
All’inizio ci furono
tanti sogni, l’illusione che riuscendo a capirli mi avrebbe concesso di trovare
la felicità.
E quando la mia vita
quotidiana a un certo punto si trasformò in ore, ore scialbe, ore morte ai miei
occhi, la memoria venne a farmi compagnia.
In certi momenti è
facile confondere un certo linguaggio con la memoria.
Oltre ciò rimane la solitudine.
Adesso che non ho
parole, essa si ingigantisce.
E’ la memoria a
giocare con me, mi porta molto lontano o mi rimanda solo a ieri. E mi riferisco
ad allora quando ancora non avevo imparato a guardare, scrutare, capire il
linguaggio del mare.
Tu eri già
nell’aria, e ancora non avevi voluto soffermarti a leggere i miei occhi, eri
andata oltre lasciandomi in un angolo stretto con l’unica speranza di rivederti
passare dinanzi ai miei occhi, in quell’angolo di spazio ove risiedo.
Quel giorno rimasi
lì tutto il tempo ad attenderti, libero e intimo, con tutti i miei dubbi
dissolti nell’aria diafana; io ascoltavo una musica di danze ungheresi, chiusi
gli occhi e sognai che stavo sognandoti.
In quelle danze
ungheresi c’era quel sapore d’infanzia nella piacevole sensazione di oblio che
riporta indietro i giorni.
Sognai la mia
Calabria, più esattamente la spiaggia dove mi portava mia madre. L’immagine era
così reale, bella, come la fotografia di una sposa sul letto di un soldato.
E intanto respiravo
l’odore del mare così vicino, e quello tuo!
Che profumo era?
L’odore che mi ha seguito da allora e ancora adesso.
Ovunque andassi quel
profumo era sempre lo stesso, mi parlava di te…. Entrava dappertutto
perfino nei miei
sogni, principessa.
Quella notte in riva
al mare, aspettammo la mezzanotte per fare il bagno, come altre volte, in altre
spiagge abbiamo fatto; ma questa – la spiaggia dei gabbiani – è quella dove ci
demmo il primo bacio.
La guardai, e stava
per accennare qualcosa.
Le misi un dito
sulle labbra.
La mia mano le
sfiorò il viso piano piano, un ovale perfetto il suo viso tra le mie mani.
Sentivo che desiderava le mie mani come non mai, come non ricordava di averne
mai desiderate altre.
Ci guardammo con quel
desiderio da troppo tempo lasciato nell’anima, non resistemmo a lungo e gli
occhi come le labbra, le mani cercarono di divorarsi.
Non lasciarmi,
principessa!
Torno ai miei occhi
stanchi, principessa!
Tutto e niente
arriva lì e non va oltre…. I miei occhi principessa ora altro non sono che
ricettacoli di sogni che sono andati ormai via e di quelli che si son fermati
in attesa d’essere presi e rapire un’anima. I miei occhi a fatica distinguono
le ombre che passando veloci lasciano dietro di se profumi che riconosco, e mi
fanno tornare in dietro.
Ma tu, principessa
dammi un segno da ovunque tu sia, della tua presenza… chiedo a Dio, anche se
effimero, di lasciarmi ancora qui, in questa stazione sperduta di un universo
noto solo ai miei occhi mendicanti, assetati di vita attraverso le loro stesse
cavità.
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