Una
ragione di più
Di Vincenzo Calafiore
12 Agosto 2021- Udine ( Italy)
“ Se vuoi io ritorno, voglio tornare da
te
stanco di rincorrerti, come una barca
stanca di mare. Torno perché voglio
amarti
per il tempo che mi rimane ….. e poi solo
ricordi. “
Vincenzo Calafiore
La mia “ noche cubana” è finita all’alba,
rotolando sulla sabbia dei ricordi che come mare bastardo rinverdiscono nel
dolore dell’assenza.
Navigo verso la mia terra in una foschia
colore anice, il mare si riempie di ali bianche che disegnano il cielo sopra la
crocietta.
Succede al largo di Valona in una notte
di stelle; il vento gira e porta odori della mia terra secchi e roventi, gli
stessi degli altopiani africani e di un mondo pastorale che piomba addosso
nella fuligginosa notte.
Dopo una notte così non sono più lo
stesso, le mie idee sulla distanza che mi separano da lei cambiano,
improvvisamente mi sento addosso il peso dei miei anni, gli anni persi, la vita
mancata.
Non sono più nessuno se lei non viene a
trovarmi nei sogni.
Sono una delle anime che sono passate
per questo mare, vite perdute nello spumeggiare di un mare bastardo.
Lentamente la lentezza mi possiede,
m’invade un immenso taciturno e incomunicabile desiderio di rivederla dopo
tanti anni di solitudine.
A babordo la sua ombra, enorme, nera
come la pece segna come il purgatorio il tratto di mare più tempestoso della
mia vita, quando incontrandola rimasero i suoi segni che mi lasciò addosso.
A babordo lato di terraferma, gli ultimi
sprazzi di intima felicità si confondono con i profili del Paese delle Aquile,
si allungano macerate distanze sofferte rovine.
Le rovine appartate di Brutinto, la
nuova Troia, il posto che Eleno figlio di Priamo ribattezzò con gli stessi nomi
della patria perduta.
Lei, non è mai andata via dal cuore, è
rimasta col suo sorriso e con i suoi occhi da falco, con la sua primavera
addosso, quando le consegnai a fior di labbra quel mio ti amo; io in quel tempo
venivo da un passato, ferito e mendico di sola felicità, mai trovata.
Arriva improvvisa bonaccia, un gran
silenzio scende sul mare … una sublime assenza di vento, è come restare fermi
immobili davanti a un porto senza poter entrare; non è un arresa, non mi sono
mai arreso all’idea di averla perduta.
Pensandola e immaginandola è come
approdare a una riva selvaggia; chissà com’è, se ricorda, se ama ancora, se mi
odia.
Sbarco e cambia tutto, cicale e fichi,
lenzuola al vento, profumo di donna, tutto di lei si pregna l’intorno in cui mi
perdo.
Benedetta Grecia, culla del pensiero
occidentale!
Per ritrovarla ci vuole tempo, e io non ne
ho più, consumato da un male scuro, albeggio come un gabbiano su una riva
d’attesa, sperando di vederla da un momento all’altro spuntare da
quell’orizzonte che più volte ha tradito il mare di mezzo con inganno e
voracità.
Come tutto accade velocemente, così
tutto rapidamente brucia distruggendo la mediazione tra anima e cuore ove i
pensieri dilagano, la poesia è perduta.
Immagino.
Sulla sua terrazza di sera, lei
s’approccia con un bicchiere d’acqua e “ ouzo”, e sorride mentre mi dice: avevo
sperato bere e filosofeggiare con te, in tramonti come questi!
E’ un miraggio del mio mare bastardo.
Con la mente ritorno a casa! Dal mio
sargasso penso che non farò più in tempo, lei è molto lontana da me.
E’ un sogno ricorrente il suo volto nella
luce rossastra di uno dei tanti tramonti a cui in silenzio assistendo siamo
stati accarezzati e abbracciati dall’incanto venuto pro tempora … ora sono
scolpiti nel cuore.
Vado a ridurre le vele, sparisco verso
il fiocco, la notte m’inghiotte taciturna e possente. Il cielo stellato
ondeggia lento sopra la crocetta d’albero: inizia il viaggio di ritorno come
Ulisse verso la mia Itaca.
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