L’assenza della parola
Di Vincenzo Calafiore
15 aprile 2016-Udine
La grande madre, ovvero l’Europa la cui presenza ieratica eppure umana,
sacra eppure interamente unita e cristiana dov’è?
E’ il cardine vivo e doloroso della mera rappresentazione di se stessa,
l’epicentro del dolore attorno a cui ruota una deriva umanitaria biblica, tutto
ormai si sta concludendo con lo sbarramento delle frontiere, ultima l’Austria.
Al di là di queste, gente, uomini e donne, bambini, dietro fili spinati
e campi di fango costretti nel gelido inverno a vivere una vita diversa da
quella che avevano sognato fuggendo dalle guerre e dai massacri commessi da
regimi e da sanguinari assassini, trafficanti di odio. E non solo, gente che
fugge da altri luoghi e altre situazioni, tutti comunque accumunati dallo
stesso obiettivo: vivere in pace in un’altra terra con la speranza di un futuro
migliore, diverso.
Tutti prigionieri del filo spinato, tutti in attesa di conoscere il
proprio destino; in una scena unica ininterrotta nel nudo scenario tragico,
disegnato da frontiere chiuse, susseguono altre scene, mani di bambini e
uomini, donne, appese ai fili spinati sorvegliati da uomini armati, è una
tragedia collettiva in cui vivono altre tragedie personali in un velo disumano,
uno chador che evoca altre latitudini ed epoche, altre guerre.
Ma questa guerra quotidiana non è lontana è molto vicina a noi più di
quanto sospettiamo.
Ecco dunque che nelle parole di Papa Francesco vibra lo scontro di
civiltà che viviamo o crediamo di non vivere!
Chi sono i barbari?
Se noi raffinati e civilizzati ci macchiamo di tanti delitti?
Euripide, con grande audacia per i suoi tempi,portò in scena il punto
di vista dei vinti, degli sconfitti di quelli che “noi” chiamiamo emigranti o
invasori. Nelle sue parole e nelle parole di Seneca risuonano anche oggi, anche
per noi, millenni dopo la stessa domanda, lo stesso dilemma etico, la stessa
condanna: la guerra nuoce a vinti e vincitori, perché li allontana dall’umanità
che tutti condividiamo.
E invece paradossalmente in questa Europa che non c’è mai stata, che
non è mai esistita se non per quattro conti, o per strozzare col cappio dell’usuraio
altri stati, vedi la Grecia.
Questa Europa impalpabile quando non si tratta di denaro, avara e
egoista a che serve?
A cosa servono i suoi diktat?
A cosa serve l’Europa a noi Italiani, che da quando ne facciamo parte
siamo diventati un popolo di pezzenti, di demoralizzati e arresi, in perenne
crisi economica?
Un umanità quindi che noi dobbiamo necessariamente coltivare con i
mezzi millenari dell’essere uomini e non burattini in mano a dei burattinai.
Coll’essere cristiani osservando la parola di Cristo e non perché si va
a messa ogni domenica e poi si manda a quel paese l’intorno.
Con l’aiutare il “bisognoso” perché nostro fratello anche se ha il
colore della pelle, la fede, diversa dalla nostra.
Ecco perché non è bella cosa chiudere le frontiere e scaricare agli
unici due stati: Grecia e Italia il peso di questa onda d’urto umana in
movimento sempre.
E’ facile, fin troppo facile per l’Austria, la Macedonia e compagni,
innalzare barriere contro chi viene alle porte; con tutte le loro ragioni, con
tutti i si e i se, mi sanno di disumanità le loro barriere, mi sanno di
egoismo, mi sanno di incoscienza a fronte degli interessi nazionali propri.
E’ troppo facile anche per la Grandeur Francese starsene defilata e in
silenzio! E’ un silenzio da vigliacchi, è un silenzio vile, è uno schifo.
Se è così, se questa volgare promiscuità è o vorrebbe significare
essere Europa! Be, c’è qualcosa che non va.
Non va lo stare ancora insieme!
Quindi, in conclusione, coltivare l’umanità col teatro, con l’arte, con
l’uso delle parole e delle armi. In questi tempi incerti solo la Parola e la
Bellezza, e la verità che essa evoca e custodisce ci potrà salvare dalla
catastrofe, dalle miserie umane, dall’inciviltà e dall’impoverimento
intellettivo.
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