E…. se ne va, la mia vita
Di Vincenzo Calafiore
10 maggio2016-
Trieste
“
Vedi cose che esistono e ti
chiedi "perché"? Ma io sogno cose non ancora esistite e chiedo
"perché no"?„
A un certo punto mi
perdo, e non sono più in grado di fare certe cose, o semplicemente non mi va
più.
E’ l’emozione di
perdersi a guardare, a sentire con gli occhi, a guardare e immaginare,
inseguire visioni che non fanno più parte della quotidianità.
E’ una partecipazione
a un’emozionata “ inesistenza “ con lo sguardo che non è soltanto percezione ma
è anche proiezione di una certa sensibilità, della curiosità intellettuale; un
magnifico incontro tra ciò che sta dietro gli occhi e un sentire interiore.
Riuscire ancora a
sorprendersi e a sorprendere è un miracolo di ogni giorno che accadendo apre a
nuovi incanti.
A volte “ il dover rimanere”
nella quotidianità è come rimanere in
una terra faticosa e arida, in una guerra non dichiarata, ma in realtà è il
trovarsi in una discesa nel passato, un universo mai scomparso e sempre
presente, un passato narrativo.
Si presentano il
bianco e nero dei ricordi antichi, gli interni sonnolenti, gli entusiasmi
finiti nell’oblio e riemergono in una confessione a volte breve e fulminea, ora
lenta e pausata.
E’ la condizione
questa, del trovarsi a metà percorso della fine, un camminare alla meno peggio,
lento ma progressivo, in cui mi auguro di avere coraggio, ma il tempo del
coraggio è quello di curare la propria anima vedere la sua sofferenza, le sue
tristezze in cui nascondo a me stesso le lacrime.
Bisogna ad ogni
istante avere il coraggio di assumere una decisione, a un volto: adesso
coraggio vuole dire voler vivere …. E ce ne è sin troppo !
In tutto questo c’è “lei”
la donna che amo, a guardarla semplicemente mi ricordo le notti bianche
e i bei momenti vissuti in una intimità straordinariamente viva ancora e la
desidero, guardo il suo corpo, lo tocco con mano, vellutato come sempre,
desiderato come sempre; allora tento di amare come un tempo e invece sei perso
e arreso! E’ un dolore vissuto a cui non ritrarsi, semmai analizzarlo nei suoi
cambiamenti lasciandosi andare nella dolcezza, espressione di un grande amore.
C’è paura e tanta
pure, in questa discesa inesorabile.
Rivivono così luci e
ombre di un’età dolceamara che parla attraverso le cose che non faccio più e
immagini che si sovrappongono, si distinguono si alternano, proprio come un
sogno. Diventa allora difficile per me distogliere lo sguardo l’età mia è lì
sotto gli occhi pronta ad ingoiarmi; in ogni caso, non c’è ferita del corpo che
possa essere più grande di quella dell’anima, dilaniata dalle mancanze e niente
potrà colmare l’interna voragine che lentamente sfalda e consuma, riduce
l’esistenza.
Così il dolore
riletto, interpretato e rivissuto attraverso le “ presenze specchio “ di notte
viene affrontato senza misure; il sangue che scorre dalle ferite dell’anima
risveglia e colora il buio con rivoli di sofferenza interiore che esce dal
cuore.
Allora la rabbia, la
vergogna, la colpa e la delusione, corollari della sofferenza trovano il giusto
stordimento nell’enfasi dell’assenza, come se gli anni non fossero passati, e
ciò mi fa sentire imperfetto, come un’onda che non riesce a sormontare uno
scoglio.
Ma in fondo, è solo
senilità l’età imperfetta!
E qui noi due, io e
quello che ero, cominciamo a recitare quella vita da burattino, da oggetti
senza coscienza e senza anima così come vuole il burattinaio.
Fino a diventare
umani, in un mondo dove i veleni della cupidigia hanno cancellato ogni umanità!
Oscià!
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