Memories
Di Vincenzo Calafiore
3 maggio 2016-Udine
“… a un certo momento, inaspettato pure,
ti guardi allo specchio e non ti riconosci.
Allora pensi di trovarti in un brutto sogno
e invece a guardar bene quell’immagine riflessa
ti rendi conto di essere tu! Irriconoscibile, distante,
galleggiante in un mare di illusioni ……
C’era l’equinozio di
primavera, il giorno d’equilibrio perfetto tra luce e ombra, il giorno perfetto
per mettersi in viaggio e raggiungere lei.
Io venivo fuori da
certe situazioni di attesa nel mio quotidiano divenire, nelle quali singole
esistenze rimanevano sospese, in attesa di qualcuno, qualcosa, che da qualche
parte ne sono certo oltre a cercarmi mi sta aspettando.
C’era “attesa” in
quella solitudine sulle spiagge prese dal vento, con il mare che schiumando si alzava oltrepassando i
confini delle stazioni perse nei miei viaggi in cui forse io vivevo una
vicevita; c’era silenzio in cui si snodavano vecchi legami a sogni ormai
svaniti e tanto desiderio di andare via lasciandomi alle spalle il decadente
scenario di un quotidiano piatto e disilluso.
Ora che l’età mia si
presenta densa e lattiginosa come una notte priva di stelle io sono una pozza
di sale che non può diventare mare; allora cerco riparo nella memoria con la
stessa paura di una nave che cerca un porto per non affondare nella tempesta.
Per troppo tempo ero
rimasto a guardare scorrere fuori da una finestra immagini che velocemente si
mischiarono e si confusero nella
velocità del mio pensiero di raggiungerla.
E’ la mia vita che se
ne va!
Lei che sta nelle mie
ore lunghe un’eternità e nelle mie eterne attese di un suo sorriso, capace di
cancellare l’eterno occaso in cuor mio.
E torna il mio
pensiero a quando tenevo la fanciullesca barra dritta sulle rotte in cui
ardevano mille fuochi attorno al Mediterraneo, quelli di maggio dalla Sicilia
alla Macedonia ai monti del Friuli, e poi in tempo di maggio i roghi di piante
resinose sulle barche alla deriva: gli anni.
Poi le fughe tra le
pieghe di un tempo, non una luce, niente di niente, per una vita percorsa
controvento, è terra nera buona per sogni da farsi in tempi di bonaccia.
Mi salvano le stelle
a milioni, viaggio a vista, l’orologiaio dell’universo mi suggerisce la strada
per giungere a lei.
Ha un linguaggio
misterioso e cattivo il vento che gonfia le vele, sotto la luce malata di un
sole settembrino, è la mia età ferma, quasi silenziosa e china sul proprio
ascolto, non esistono distanze tra le e me la morte con le sue imprevedibili
traiettorie; le così sobria ed essenziale, magicamente gentile ripiega a uno a
uno i miei duttili anni sulle mie inquietanti ragioni di vita!
Nella lentezza delle
ore uguali cerco pezzetti di verità sommersa da aria effimera, di transito
forse, di cose che vanno nel nulla come i riflessi di luna immobile sui
pensieri di morte.
Ci fosse tempo,
scriverei “ il canto del capitano” e gli smorzati e struggenti colori del mio
autunno di fogli danzanti nell’incanto di una vita che spero ritorni con le sue
luci a rompere la tela del ragno che si arrampica lungo le pareti del cuore.
Io disperso in una
molteplicità di voci e colori cangianti, enigmatici segni in una sospensione in
cui giace l’amore.
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