Di, Maggio
Di Vincenzo Calafiore
27Febbraio 2017Triestre
(100 pagine in una, un racconto da
farsi)
“… l’amore è quel – quando meno te
l’aspetti -. “
In maggio l’aria leggera si
riempie di essenze che ruba un po’ ovunque, ha uno strano profumo tanto rassomigliante
alla leggerezza, come quella del vivere, del sentire in se certi risvegli che
fanno stare bene, è come se ci fosse più sintonia con l’intorno che sa di
ritorno, di vita piena.
Il mare è una distesa livida,
brillante che costringe gli occhi a socchiudersi, come tante finestre per fare
filtrare la giusta luce, la giusta aria che passando lascia di se accenti e
tratti di dolcezza, quasi intima, quasi serena.
Quella sera dall’aria di
tiglio, sul lungo mare tanta gente, in camicia o maniche corte, e di pullover
sulle spalle con le maniche legate sul petto; fu quella sera che i nostri occhi
si incontrarono e non si lasciarono più.
Non fecero altro che cercarsi
tra tutta quella gente.
Lei, se ne stava seduta su una
panchina assieme alla sua compagnia con quel bicchiere di limonata fresca tra
le mani; io dall’altra parte del marciapiede appoggiato alla ringhiera non
persi un solo attimo di te, di tanti fotogrammi fissati nella memoria.
Così fino a notte inoltrata,
quando l’aria si fece più pungente e portava umidità dal mare; intanto mi ero
avvicinato e seduto sulla panchina accanto alla sua che si era liberata.
Tenevo tra le mani una copia de
“ Le Figarò “ mai aperto, anzi tenuto ripiegato sotto l’ascella, tanto ero
preso da lei, dai suoi occhi, dalla sua risata.
A un certo punto vidi che si
strofinava continuamente le mani sulle braccia, aveva freddo. Non mi importò
dei suoi amici, ma mi alzai e le offrii il mio pullover color blu; dapprima non
lo voleva accettare, poi forse per la sua morbidezza lo prese e lo indossò
subito, ringraziandomi.
I suoi amici mi invitarono ad
unirmi a loro, così assieme quasi fino all’alba, quando pian piano la compagnia
si sciolse.
Ci incamminammo piano senza
fretta parlando e ridendo, fino a casa sua davanti alla quale ci salutammo.
I giorni erano diventati uguali
alle ore trascorse in una sala d’attesa di una stazione in attesa di un treno,
così ogni sera su quel lungo mare a cercarla tra la gente fino a notte
inoltrata; sempre più solo, convinto anche di non incontrarla, cominciai a
scrivere lunghe lettere di dichiarato amore e poesie, ad ascoltare musica in
una stanza troppo grande e una casa quasi vuota.
L’attesa e il desiderio di
rivederla erano diventati un mare che portava solo che ricordo e immaginazioni,
parole ancora da pronunciare, amore da donare.
Da poco s’erano riaccese le
speranze e la vita per quell'improbabile aveva lo stesso vestito di quel maggio
odoroso che andava perdendosi pian piano, i ricordi erano orme lasciate sulla
sabbia cancellate dalle maree, è stato come attraversare un deserto e ritornare
assetato.
Ma quella camicetta rosa appena
sbottonata al seno, e quelle maniche arrotolate fino ai gomiti, quella gonna
che lasciava intravedere e nascondere, quel profumo, erano diventati desiderio
al quale si era legata la mia vita ecco perché non rinunciai mai a cercarla e
tornare a casa sempre più sconfitto.
Di sabato su una spianata
vicino al mare c’è il mercato dei fiori, come sempre ci sono andato, così
quella mattina, lei intanto era un ricordo accantonato; rose e fiori di ogni
genere, piante, profumavano un settembre arcigno, tanta gente intenta a
scegliere. Quando i miei occhi come ubbidendo a un richiamo incontrarono
nuovamente gli occhi che li avevano stregati; l’aria frizzante cucita addosso
come un vestito e fiori in mano lei si materializzò negli occhi e il cuore
cominciò ad impazzire finalmente l’avevo ritrovata.
-
Continua -
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