lunedì 27 febbraio 2017


Quel gran silenzio attorno

Di Vincenzo Calafiore
28Febbraio2017 Trieste
(100 pagine in una, un racconto da farsi)

“ una donna si innamora quando chi dice di amarla le fa amare se stessa”

Il treno va veloce, seduto dietro un finestrino cerco di fissare le immagini che scorrono veloci negli occhi da un altrove sperduto ai confini di un mondo fatto più di metallo che di carne.
Corre veloce verso il nulla.
A volte mi pare d’essere un bagaglio sperduto o dimenticato in una stazione dalla quale passano pochi treni, una di quelle stazioni abbandonate, fuori dalle grandi linee di comunicazione.
Sai, a mancare sei tu con quegli occhi che sorridono e quelle labbra che invitano a baciarle; ma più di tutto a mancarmi è la tua voce, starei ore ad ascoltarti e invece mi ritrovo a recitare monologhi a una platea muta, sconsacrata come una chiesa.
La paura di perderti  è quel gran silenzio attorno, che amplifica il respiro, i battiti del cuore in gola, nonostante io mi rassicuri, nonostante il mio pensarti che da qualche parte tu sentirai in te quel che io ora ho qui davanti ai miei occhi su questo treno che correndo veloce mi porta via da te.
Quel distacco lo sento e lo avverto come un esercito che mi assedia, è la condizione di chi si appresta a chiudere diversi registri conscio di poterli riaprire ancora per poco; ma per fortuna ci sei tu, una meta da raggiungere o un verso da scrivere, una pagina da iniziare e finire o un verbo da coniugare non a memoria, ma come fosse ogni volta la prima volta, che mi porti ancora più lontano.
Se tu sapessi quanto sia difficile per me rimanere distante e quanto inganno invento agli occhi miei per non farli guardare fuori dal finestrino, allora tu ti spoglieresti da ogni perché e chiuderesti gli occhi baciandomi, come lo fanno i nostri corpi che si conoscono e si cercano.
Ma c’è una memoria che mi fa ragno costringe le mie mani a prendere una matita e un foglio di carta su cui sanno disegnare ogni tuo tratto, che diventano impronte da seguire quando ritornerò per raggiungerti.
Allora, in quei tempi, in quel maggio odoroso e di camicie bianche e di pullover sulle spalle, il primo bacio in un parcheggio, le prime carezze al tuo viso che già sapeva di donna! Sei stata un fiore da non recidere, ma da curare affinchè ci fosse amore quello che ancora adesso avvicinandomi  mi fa chiudere gli occhi.
Ci sono giorni da dimenticare, quei giorni in cui si è sentito il silenzio nell’aria, addosso come muschio o corazza di cui disfarsene per avere ali per raggiungerti ovunque tu fossi.
Ora come ieri, forse domani.
Raccogliamoci allora in un bacio, in una carezza nella nostra eternità che come una strada conduce in certe speculari lontananze, in cui le tenerezze attendo d’essere prese, tutto come un sogno ancora da vivere.
Incontriamoci alla fine della corsa di questa follia umana, incontriamoci per fuggire nuovamente per ricominciare a riscrivere la stessa storia coi i suoi silenzi e lontananze e quei distacchi che invece di allontanare sempre più ci hanno cambiato in anelli di una catena che difficilmente si spezzerà, non si è mai spezzata.
Tu sai che allungando le mani mi troverai!
Io non so se domani sarò lì accanto a te. E’ questo il treno che mi sta portando via….


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