Il sogno violato
Di vincenzo calafiore
18Febbraio2017Trieste
( 100 pagine in una )
“ … quando
pensi che tutto è andato perduto
o potrebbe perdersi, pensa che da qualche parte
c’è qualcuno che ti ama e non lo sai! “
vincenzo calafiore
Tutto era così bello,
quasi surreale, nella breve distanza tra occhio e labbra, nella breve distanza
dalla crudele vita, la torbida violenza del dolore, la “ferocia” ottusa nelle
libere parole che inducono a guardare le ferite degli altri, le “ macerie umane”:
una dura realtà registrata del disfacimento morale grida da ogni segno, nel
lessico inusuale e ostile, nella compagine ossificata e dolce d’una società
oramai alla deriva in una specie di delirio.
Il sogno violato
nelle forme dei tanti “sì”, dei “ricominciamo”, s’infrange o si ricrea in ogni
segno o lascito, nello smarrito senso di sconfitta o nel transito osceno dei “
dettagli “ tralasciati o volutamente inosservati che d’improvviso
riaccendendosi violano quel sentire dentro il più delle volte identificato
come: amore.
Amare è o significa
l’aprirsi di un angolo di paesaggio, la speranza che sarà primavera oltre ogni
personale gelo, le blandizie di un sogno che si materializza appena in una
immaginazione o in un nome, in un sorriso, sfuggenti che fanno oscillare
l’esistenza in uno straziante rincorrersi del negativo. E’ un’illusione
euforica, embrionale, d’una felicità intima e preziosa anche nella sua brevità
di un battito di ciglia.
Tu sai d’essere
poesia, un inatteso varco alla salvezza in una trincea ferrea di fatti che
hanno demolito le mie poetiche o ingenue immaginazioni in cui tutto era
possibile, perfino amarti così come tu sei disuguale e sleale: vita.
Tutto il nero
dell’impotenza di fronte all’immane e dei suoi luoghi deputati gli scenari frananti
dell’età mia stanca, le cose dell’uomo o l’uomo delle cose, uomo fantasma di se
stesso tra cumuli di parole gettate come rifiuti, sudari irrispettosi:
l’immonda verità della rovina d’una vita che si raccoglie in un dettato poroso,
crivellato di termini ossessivi, urlati, scagliati e poi subito raccolti come
una dolente voce di preghiera, l’amare ciò che rimane, ciò che è andato
perduto.
Gli anni … minuscoli accadimenti come dentro un film di
volti opachi, sfigurati, anonimi, indecisi in una scansione che sembra,
nominandoli, volerli cancellare, negando l’amore che si ha dentro deturpato e
rifiutato; ma no la meraviglia del meraviglioso mondo delle innocenze dove
crepita quel mio ti amo come cucitura del bordo di libri e taccuini dove gli
unici bambini illesi alle catastrofi sono i nostri ricordi.
“ Io ti amo “ come un
libro antico di intonazione poetica ti difende dagli antichi felini che felpati
e lievi avanzano o potrebbero avanzare per finirti.
Mette in moto
pensieri e riflessioni, ricordi, in cui lo spazio e il tempo finiscono per
compenetrarsi a dimostrare che siamo esseri ancora capaci di amare, formati da
un passato che ci ha formati quali siamo: due che si amano, che finiscono per
essere una cosa sola.
Le mie parole che
potrebbero apparire pessimiste, sono invece e rivelano un profondo attaccamento
alla vita, la capacità di amare, con tutti i loro misteri.
Come un altro
abbandono, si perdono cose e momenti che si vedono negli occhi brillanti di
perenne luce, perenne amore, col fare tutto per non perderti.
Io e te personaggi di
un romanzo d’appendice, i quali proprio per la loro eternità, vivono la loro
storia o leggenda fiabesca di un amore che non muore.
Questo amore chiude e
concilia per certi versi le lacerazioni tra l’essere uomo o uomo innamorato, è
un interrogarsi o un riflettere che “ quel ti amo” è una marea che salendo
travolge, trasforma davanti ai miei occhi tutte le bruttezze in bellezze,
desiderio di amare che difficilmente potrebbe morire, è anzi impossibile! E’
questo che si chiede, si chiede di morire, di imparare a morire tra le tue
braccia!
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