venerdì 17 febbraio 2017




Il sogno violato
Di vincenzo calafiore
18Febbraio2017Trieste
( 100 pagine in una )

… quando pensi che tutto è andato perduto
o potrebbe perdersi, pensa che da qualche parte
c’è qualcuno che ti ama e non lo sai! “
                   vincenzo calafiore


Tutto era così bello, quasi surreale, nella breve distanza tra occhio e labbra, nella breve distanza dalla crudele vita, la torbida violenza del dolore, la “ferocia” ottusa nelle libere parole che inducono a guardare le ferite degli altri, le “ macerie umane”: una dura realtà registrata del disfacimento morale grida da ogni segno, nel lessico inusuale e ostile, nella compagine ossificata e dolce d’una società oramai alla deriva in una specie di delirio.
Il sogno violato nelle forme dei tanti “sì”, dei “ricominciamo”, s’infrange o si ricrea in ogni segno o lascito, nello smarrito senso di sconfitta o nel transito osceno dei “ dettagli “ tralasciati o volutamente inosservati che d’improvviso riaccendendosi violano quel sentire dentro il più delle volte identificato come: amore.
Amare è o significa l’aprirsi di un angolo di paesaggio, la speranza che sarà primavera oltre ogni personale gelo, le blandizie di un sogno che si materializza appena in una immaginazione o in un nome, in un sorriso, sfuggenti che fanno oscillare l’esistenza in uno straziante rincorrersi del negativo. E’ un’illusione euforica, embrionale, d’una felicità intima e preziosa anche nella sua brevità di un battito di ciglia.
Tu sai d’essere poesia, un inatteso varco alla salvezza in una trincea ferrea di fatti che hanno demolito le mie poetiche o ingenue immaginazioni in cui tutto era possibile, perfino amarti così come tu sei disuguale e sleale: vita.
Tutto il nero dell’impotenza di fronte all’immane e dei suoi luoghi deputati gli scenari frananti dell’età mia stanca, le cose dell’uomo o l’uomo delle cose, uomo fantasma di se stesso tra cumuli di parole gettate come rifiuti, sudari irrispettosi: l’immonda verità della rovina d’una vita che si raccoglie in un dettato poroso, crivellato di termini ossessivi, urlati, scagliati e poi subito raccolti come una dolente voce di preghiera, l’amare ciò che rimane, ciò che è andato perduto.
Gli anni …  minuscoli accadimenti come dentro un film di volti opachi, sfigurati, anonimi, indecisi in una scansione che sembra, nominandoli, volerli cancellare, negando l’amore che si ha dentro deturpato e rifiutato; ma no la meraviglia del meraviglioso mondo delle innocenze dove crepita quel mio ti amo come cucitura del bordo di libri e taccuini dove gli unici bambini illesi alle catastrofi sono i nostri ricordi.
“ Io ti amo “ come un libro antico di intonazione poetica ti difende dagli antichi felini che felpati e lievi avanzano o potrebbero avanzare per finirti.
Mette in moto pensieri e riflessioni, ricordi, in cui lo spazio e il tempo finiscono per compenetrarsi a dimostrare che siamo esseri ancora capaci di amare, formati da un passato che ci ha formati quali siamo: due che si amano, che finiscono per essere una cosa sola.
Le mie parole che potrebbero apparire pessimiste, sono invece e rivelano un profondo attaccamento alla vita, la capacità di amare, con tutti i loro misteri.
Come un altro abbandono, si perdono cose e momenti che si vedono negli occhi brillanti di perenne luce, perenne amore, col fare tutto per non perderti.
Io e te personaggi di un romanzo d’appendice, i quali proprio per la loro eternità, vivono la loro storia o leggenda fiabesca di un amore che non muore.
Questo amore chiude e concilia per certi versi le lacerazioni tra l’essere uomo o uomo innamorato, è un interrogarsi o un riflettere che “ quel ti amo” è una marea che salendo travolge, trasforma davanti ai miei occhi tutte le bruttezze in bellezze, desiderio di amare che difficilmente potrebbe morire, è anzi impossibile! E’ questo che si chiede, si chiede di morire, di imparare a morire tra le tue braccia!

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