E’ casa, se c’è lei
Di Vincenzo Calafiore
24Febbraio2017Udine
(100 pagine in una,
un romanzo da farsi)
“ … arrivi e tutto cambia:
sole
fichi, cicale, fieno, rumore
di stoviglie
profumi ed essenze di
bergamotto, arance
limoni. Allegria e sorrisi, i
ciao, le strette
di mano, gli abbracci, tutto
diventa accomodante “
La lunga notte < triestina> finisce quasi all’alba su un molo a guardare
verso l’Istria, e tornano a mente i profughi, italiani cacciati e che nessuno
in Patria poi voleva avere; dopo la serata iniziata in una vecchia taverna
assieme a vecchi triestini a bere e cantare, finita con l’ultima canzone rimasta
in testa: “ Una fresca bavisella “.
Il sole si alza lentamente dal mare, come una
donna dal letto nuda e radiosa, e sollevandosi sparge luce sul mare che
barbaglia e inganna gli occhi e salendo illumina la città e le colline, infine
il Carso.
Stare a Trieste in questi giorni è stato come
trovarsi dentro una bomboniera e respirare quell’aria aristocratica dell’Impero
Austro-Ungarico, la grazia e la gentilezza della Principessa Sissi che la
guardava affacciata dai balconi del suo Castello di Miramare. A bordo dell’<< Aurora>> controllo tutto
prima della partenza, dalle vele alla cambusa, i documenti, e soprattutto il
portolano su cui annoto tutto; davanti a noi, a me e la barca, il mare aperto e
a ridosso, a poche miglia, l’ombra greca, il nervosismo italo-croato ….. e già mi sembra di essere quasi a casa.
Navighiamo verso il Sud in una foschia color
anice, il mare si riempie di nuovo di vele e di gabbiani sferzati dal Maestrale.
A babordo, lato di terraferma, gli ultimi
profili di Trieste e dell’Istria, guardati con un po’ di nostalgia, più in giù,
il paese delle aquile, gli albanesi con la loro tendenza alla rapina… la barca
ha un forte sussulto, cambia il vento e le vele si gonfiano, la chiglia schizza
fuori dall’acqua e mi pare di volare a pelo d’acqua, ancora mi separano 650
miglia!
La notte cala un gran silenzio sul mare e
arriva un po’ di bonaccia, accovacciato al timone non perdo d’occhio la bussola
per non rischiare di perdermi e intanto penso a lei alla mia Aurora, alle notti
prima di gelsomino, alle docce. A lei già sotto le lenzuola con gli occhi
socchiusi che mi aspetta; alle sue mani che mi cercano, alle loro carezze, ai
suoi baci languidi e misteriosi come la notte, come le stelle.
A quel suo “ .. ti amo amore mio… “ che adesso e mi pare di sentire addosso, al suo profumo, alla sua pelle di zagara, ai
suoi occhi, alle sue labbra.
E vale quasi la pena di restare quasi fermi,
a vele flosce, per qualche minuto, e immaginare lei e cosa significa per me,
alla vita che mi dona, ai dolci risvegli nel vederla nuda come ninfea attorno
ai miei occhi, nei miei sogni, nelle mie stranezze d’amore.
Se non ci fosse la dovrei inventare perché la
mia vita senza la sua sarebbe come un boma senza vela.
All’arrivo, sbarchi e cambia tutto. Cicale,
fichi, lenzuola al vento, tintinnar di stoviglie. L’adrenalina greca e il
nervosismo italo-croato svaniscono, tutto diventa accomodante, la gente
allegra, i vecchi sono vecchi, i bambini sono bambini, ciascuno prende il suo
tempo. Quello che mi manca, quello che diventa sempre più canzone ricordata e
cantata male, una canzone stonata se lei non dovesse più tornare tutte le notti
fino all’alba e va via lasciando tracce e profumo di se.
Richiudo le pagine di un racconto a memoria
che di lei hanno ciò che altrimenti andrebbe perduto, è eternità, è quasi vita,
è amore. Il vento sbatte forte le persiane, i vetri bagnati non fanno andare
lontano lo sguardo, torno su quella barca e chissà se la raggiungerò da qualche
parte per suggellare in un bacio quel mio – ti amo - quasi greco, quasi casa davanti a uno
scrittoio alle due di notte!
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