Se scegliessimo di
rialzare la testa
Di Vincenzo Calafiore
15 Gennaio 2020 Udine
Editoriale
“ Il
SUD non vedrà mai la luce
è
inutile che ci illudiamo
e
lasciamo che ci raccontino bugie
e
vengono ancora a fare promesse.
Roma
altro non è che una rana urlatrice
allo
stesso tempo sa essere squalo che
continua
a divorare, a imbrogliare.
Ci
lasciassero almeno la dignità
di
fare a casa nostra le cose che vorremmo fare,
di
scegliere almeno noi di morire come meglio
ci
piace e non essere pian piano come è stato
fino
ad ora, strangolati, dalla mafia e offesi
da
politici incapaci. “
A un certo momento della “ nostra
“ storia a noi viaggiatori dello Stretto che cominciavamo a conoscere quelli
che venivano dal – Nord – ci era parso
davvero che l’Italia fosse la nuova prospettiva, fosse la modernità, fosse la
patria!
Quando la nostra vera patria era
invece la nostra terra, il nostro Stretto, questo non lo avevamo compreso ieri
come oggi ancora.
Non sto parlando degli emigranti
con le valigie di cartone, ma di avvocati,prefetti,medici,insegnanti,
ricercatori,scrittori,ferrovieri,marinai,contadini,funzionari di banche,diplomatici,frequentatori
dei traghetti che nonostante tutto vedevano l’avanzare della paccottiglia della
marginalità vedevano l’Italia nel colore cangiante dell’acqua e un nuovo
modello di lingua nazionale.
Cercavano l’Italia in quelle
diverse velocità delle correnti, nei vortici, nelle “ scale di mare”, nelle
“ macchie “ che improvvisamente
si mettono a friggere, come allora friggevano la dialettica storiografica del
napoletano Benedetto Croce e il teatro di Pirandello.
Friggeva la “ Mafia “ siciliana,
la “ Ndrangheta” calabrese, con le loro spartizioni del territorio, coi loro
sporchi traffici, con il loro spadroneggiare, coi soprusi,con la loro intensa
coi poteri forti dello Stato, coi bambini sciolti nella calce viva, con le
stragi, con gli assassinii. Li abbiamo lasciati fare, li abbiamo lasciati
vivere fino a diventare oggi un Stato contro lo Stato e, non sono più i rozzi e
gli ignoranti di ieri, sono gente di cultura, sono imprenditori, sono politici,
sono cambiate sono più forti sono organizzate mentre noi siamo rimasti sempre
gli stessi dei – sottomessi – dei conquistati, incapaci di riprenderci e di
riconquistare la nostra libertà, la nostra dignità, senza pensare che comunque
questi potenti criminali sempre topi sono, sempre vigliacchi, sempre rintanati
vivono e da rintanati continuano a foraggiarsi e a crescere con il loro
esercito di manovalanza.
E in questo viaggio immaginario
su un ferry boat, mentre la costa calabrese si avvicinava, i meridionali non si
accorgevano che quel traghetto non somigliava alle loro idee di Stato rigoroso,
che dai suoi cittadini e servitori esige zelo, dedizione, efficienza,pulizia.
E infatti su quegli stessi
traghetti che diventavano via via più sgangherati, più vecchi,più pittoreschi,
sempre più –isola- i continentali, quelli del Nord, venivano nel meridione a
cercare stereotipo di razze dimenticate con quel tanto di selvaggio che da
sempre ha affascinato quelli in cerca di emozioni e sensazioni forti, profonde
e sensuali come quando si addenta un panino di grano duro imbottito di
mortadella o si abbraccia un corpo acerbo, forte nudo.
A Taormina, questi raffinati
hanno cercato, poeti e intelligenze, hanno cercato e trovato carne insulare
rigenerativa dei loro nervi sfibrati.
In tutto questo marasma, l’accondiscendenza
siciliana e calabrese ha rovesciato il mito e la sindrome del terrone
raccontandosi nei film, nei romanzi, nella letteratura, come gli altri li
volevano allora e ancora adesso li vogliono: mesozoici o paleolitici, esclusivi,
liberi, separati purchè reclusi.
Lasciamo fare quando ci dicono –
terroni- , abbiamo smesso di sorridere o di divertici, perché abbiamo imparato
a nostre spese, siciliani e calabresi, che in viaggio siamo sempre su un ferry
boat, sempre sullo Stretto della separatezza e della marginalità, siamo sempre
dei sottomessi, dei vinti, degli arresi ai soprusi del potere di mafiosi e
politici corrotti.
Lo Stretto dunque è un universo
povero dove un uomo vale meno di un asino e la donna meno del maschio, lo
Stretto è forse il mito arcaico dell’Onore e del Disonore, della virilità,
della cortesia e della dolcezza, della cultura e del pudore, della fragilità,
della gentilezza che prevalgono dappertutto come in Sicilia e Calabria, come a
Milano e più in su.
Mentre il ferry boat è il - come se – nulla fosse cambiato, un ammasso
di ferraglia che lentamente avanza e arranca nello Stretto e a guardare bene tutto
si dilata, sempre più trasparente, sempre più invisibile, come noi meridionali,
sempre più distanti sempre più invisibili agli occhi di un Nord vampiro e
arruffone, menefreghista, ignorante con le tasche pieni di – schei - !
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