martedì 27 agosto 2024

 

 

 

 

Che sia preghiera

 

Chi ci salverà da questa notte senza luna?

Chi ci salverà l’anima dalla catastrofe di giorni perduti, di un tempo immaginato e non vissuto?

Torneranno quei viaggiatori viaggianti che riempirono il cielo di parole?

Vorrei essere una parola così d’aver le ali per riempire il mare e i cieli di parole, parole buone come il pane

che sazino di conoscenza,

che quietino le coscienze, che vincano le guerre e la fame, le differenze,

l’odio.

Parole che siano sorriso su quei visi che non ridono più.

A salvarci saranno coloro

che come me credono che niente potrà fermare l’acqua che corre verso il mare; niente potrà fermare l’amore che va in contro alla vita, e non la toglie mai!

                   Vincenzo Calafiore

 

 

domenica 25 agosto 2024

 

      MONOLOGO

Sovere ( BG ) 15 -05 -1998

 

 

 

 “ LA MISURA DI UN PASSO “

 

……  Non trovò più divertente quei panni di buffone.

Cominciò a pensare con la sua testa bagnata di   placenta rimastole sui capelli in colore d’ambra.

      La gente per questo lo chiamò sin dai suoi primi  passi                                    

“ viso d’angelo “.

 

 Ora sulle tavole di quel palcoscenico che lo videro più volte recitare la sua parte, sentirono le ginocchia tremare. Si rialzò gettando a terra la sua maschera e lentamente coi suoi passi misurati si avviò a sipario ancora aperto dietro le quinte.

 

Non seppe mai se il vuoto che stava dietro le luci che lo seguivano nelle sue diagonali in quello spazio infinito, continuò a respirare l’immaginario lasciato dai suoi passi misurati. Pier annegò gli occhi dentro l’immagine che per un attimo attraversò lo specchio dei suoi occhi.

 

Vorrebbe andar via, uscire di scena senza rumore stringendo fra le mani un fiore che aveva ricevuto e un nuovo passaporto; ma ci vorrebbe un nome.

E lui sa che quello che ha, se l’era inventato tanto tempo addietro.

 

Cercando con evidente affanno e delusione una donna capace di stregarlo come le tavole  che per molto tempo i suoi piedi han calpestato, arrivò perfino a rivestire con panni diversi ogni sera nella solitudine della sua stanza un manichino che aveva trovato abbandonato per strada.

 

Era la sua donna.

Bella, dolce e serena; ineguagliabile compagna di viaggio.

 

Credette di amarla fino a quando, in una notte senza cielo quel manichino si chinò sul suo petto conficcandogli un fiore scarlatto. Pier rimase immobile con la stupida espressione della  sorpresa impressa negli occhi.

 

Lei andò davanti  alla finestra allungò le braccia e prese fra le mani la luce del lampione, si  voltò verso  Pier e con un soffio gliela fece cadere addosso svanendo in quel buio attorno.

Si svegliò dal breve e intenso sonno, aprì lentamente gli occhi Pier, sperando di trovare la sua donna ancora là coi vestiti che lui prima di andare a letto gli aveva infilato addosso, con dispiacere notò che nella stanza all’infuori di lui e del disordine non c’era nessun altro.

 

Appoggiò i piedi a terra come usava fare tutte le mattine, avvertì sotto la pianta una strana fuliggine che lo costrinse a rialzarli. Guardò bene il pavimento e potè notare la scia che finiva alla finestra.

<< … Sono stati due anni e mezzo d’inferno, mai un momento felice>> quelle parole nella sua mente erano uno strano rumore che non gli concedevano tregua.

 

Il giorno in cui la sua donna gliele vomitò addosso lo segnarono profondamente.

Ricorda ancora la misura dei suoi passi giù per le scale, a testa bassa col mondo che gli era appena crollato.

In principio non seppe darsi pace, la solitudine e lo squallore lo accompagnavano da un vicolo all’altro, dentro e fuori dalla sua vita. Fin quando non trovò quel manichino di legno buttato a terra tra un cumulo di cartoni bagnati dalla pioggia.

 

Pier lo raccolse da terra e dopo averlo pulito,  sottobraccio se lo portò a casa sperando in qualcosa di nuovo che potesse almeno allietare la  sua solitudine.

Gli diede un nome e a lei raccontò il cielo e la sua vita ogni volta che rientrava dal pub dove ogni notte si esibiva suonando il saxofono, gli raccontava i suoi sogni a volte non riuscendo a prendere sonno, spalancava la finestra per permettere alla luna di  affacciarsi, la sistemava lì seduta e suonava per lei, solo per lei, le melodie che attanagliavano il cuore.

 

Yoko, il suo amico pianista a conoscenza della strana relazione prima di ogni spettacolo, nel camerino gli domandava <<…Come sta Angie?>> E una sera vedendolo triste gli disse <<questa sera lo spettacolo è tutto per la tua donna>>, Pier si voltò e lentamente come se fosse un sussurro guardandolo dritto negli occhi rispose, << Anche tu ti prendi gioco di me, lei non è di legno, credimi è viva perché piange e sorride ed è bellissima credimi, non è di legno>>.

 

 

“ OMAGGIO”                                

 

 

 

 

 

 

giovedì 15 agosto 2024


 

Philia φιλία

 

Di Vincenzo Calafiore

16 Agosto 2024 Udine

                                                                                                                              

“ E’ il vocabolo che riferisce all’amicizia.

A quel legame fraterno che si stabilisce in un rapporto

di complicità, di affiatamento , di comuni intenti.

L’Amicizia per i greci come per gli italiani. è considerata

 una delle virtù più importanti e viene valorizzata

come un elemento fondamentale per la felicità

 e il benessere dell’individuo … “

 

Aristotole ( 341 a.C.) nel libro VIII dell’Opera Etica Nicomachea, descrive l’amicizia come il bene più prezioso a cui l’uomo possa aspirare. L’amicizia è quella degli uomini che devono averla sempre nel cuore.

“ UNA FACCIA, UNA RAZZA!” La Grecia e L’Italia due nazioni amiche con la passione per l’umanità.

Questo detto” una faccia, una razza” molto popolare in Grecia quando si sente parlare italiano, evidenzia o mette in evidenza tutte, ma proprio tutte le similarità tra Italiani e Greci, ma più esattamente tra i Greci e gli abitanti della Magna Grecia, quel Sud Italia che alla Grecia è legato da un invisibile filo ombelicale, ma che c’è, esiste ancora oggi e più forte che mai; da qui probabilmente l’origine di questo detto bellissimo, che poi risponde a verità! In molti ritengono che questo detto abbia le sue radici in Italia, anche se a farne un largo uso sono i Greci.

In questo detto è racchiusa la lunga storia dell’amore e di amicizia tra due popoli molto vicini tra loro.

Recenti studi del DNA mitocondriale dimostrano che l’eredità materna dei greci odierni è distinta da quella degli slavi ed è molto più simile agli italiani e che le madri greche riflettono un comune patrimonio greco-romano.

La mia esperienza personale e le risultanze storiche confermano quanto il detto “una faccia, una razza” che suppone l’esistenza di una stessa matrice per greci e italiani sia attuale.

Malgrado le lingue diverse e le limitazioni che pone il comunicare attraverso una lingua terza, la comprensione con i greci è immediata, empatica e gradevole e, parlando, ti accorgi che sta avvenendo quasi una magia: mentre tu vorresti parlare ai greci nella loro lingua, scopri che i greci vorrebbero parlarti in italiano.

Scopri che greci e italiani hanno una storia comune quando il tassista che fa la spola tra Atene e l’aeroporto, mentre ti accompagna si ricorda che è stato a Napoli e canta O Sole mio  ti racconta che anche lui è italiano, ma che alla fine è tornato alla sua terra che ama moltissimo.

Ti rendi conto che un’altra fondamentale caratteristica di greci e italiani è stata -ed è tuttora- la necessità di emigrare. Perduti la potenza e il splendore, i due popoli sono andati a trovare fortuna altrove, senza dimenticare il forte legame con il proprio paese e i suoi valori.
La diaspora accomuna i due popoli.

Ospitalità, rispetto del passato e delle generazioni che ci hanno preceduto costituiscono i capisaldi della cultura greca che ritrovi in ogni luogo. La proprietaria del bar-panetteria-ristorante “AGAPAI ad esempio, ti accoglie a braccia aperte e con un sorriso grande e un Calimera! squillante ti porge un vassoio di uva, limoni e marmellate locali e di fronte a tutto questo non puoi fare altro che pronunciare sbagliando pure, il tuo Parakalò. E se guardi la faccia anziana, ma sana e rassicurante, della sua  mamma, seduta sotto il portico, ti viene un immediato desiderio di andare da lei e abbracciarla, baciarla rendendo omaggio a un legame più forte, più grande di noi: alla nostra lunga storia d’amore! Ritrovi la familiarità dei rapporti che, ancora una volta, ha il sorriso della proprietaria del bar–panetteria che ti accoglie ogni mattina porgendoti una ciambella: “L’ho lasciata per te !”mi dice.

La assaggi pensando all’Italia e bevendo il caffè greco bollente come fosse un espresso, un caffè che non si può consumare in piedi e di fretta, un caffè che è quasi un rito e va sorseggiato seduto al tavolo, come d’altronde fanno tutti i greci.

Ma non solo: entrare in un bar diventa un piacere anche perché puoi interloquire -spesso in italiano- con i titolari che subito avvertono i loro amici che ci sono degli italiani, e soprattutto con quello più intraprendente che si avvicina per dirti: “Noi greci e italiani abbiamo tante cose belle in comune, dovremmo valorizzarle meglio!”.

Mi ricorda che “Domani c’è la partita della Juve!”  e lui rimane aperto, mi ricorda che Cefalonia e Itaca facevano parte della Repubblica di Venezia, mentre, in uno stentato italiano, mostra orgoglioso le sue foto e quelle della sua sposa e dei suoi figli. Il proprietario del bar dice orgoglioso: “Qui, durante la guerra, mio nonno nascondeva i soldati greci e quelli italiani che giocavano a carte…”.

La cucina greca e quella italiana, specialmente se meridionale, hanno molte somiglianze perchè le due aree del Mediterraneo condividono climi e terreni simili e pertanto usano prodotti simili: olive e olio d’oliva, melanzane, zucchine, peperoni, aglio e pomodori che si trasformano in piatti e ricette analoghi, come la “parmigiana”, piatto napoletano (Napoli è una città fondata dai greci dove si è parlato greco fino al nono secolo d.C.) che si avvicina alla greca moussaka: stratificazione di melanzane, salsa di pomodoro e formaggio. Inoltre, mentre i nomi greci che ricorrono, come Andreas, Dimitri, Eleni, Krystos, Yannis, rievocano l’attaccamento a un passato intenso,  nomi ormai sempre più spesso usati dagli italiani. Gli accadimenti quotidiani confermano che le similitudini tra greci e italiani si basano soprattutto sull’espressione del viso, sulla voce e sull’accento che richiamano un patrimonio comune. Aggirarsi per Atene fa bene al cuore e all’anima perché si può osservare che la vita scorre uguale e non è turbata, bensì arricchita dalla presenza dei turisti. Consola la facilità di relazionarsi con persone che conosci e che ti conoscono e ti rassicura sapere che i greci di Itaca come di Atene o di qualsiasi isola ti considerino uno di loro. “Una faccia, una razza” perchè i greci sono fondatori e parte integrante della civiltà occidentale. Un modo di essere ed un sentimento che non meritano l’espressione sdegnata di alcuni incauti leader europei e, soprattutto, di stolti e ignoranti politici italiani quando dissero:“Non finiremo come la Grecia!” sbranata dall’avidità tedesca, ancora una vola la storia si è ripetuta. Ne “Il mandolino del Capitano Corelli,”  un film che racconta gli eventi di Cefalonia della fine della seconda guerra mondiale, ma non rappresenta una testimonianza della verità storica dell’epoca, c’è una scena che mi rimane scolpita nella memoria: quando il Capitano Corelli, l’Ufficiale dell’esercito italiano magistralmente interpretato da Nicholas Cage, si reca al Municipio di Cefalonia per chiedere la resa dell’esercito greco che stazionava nell’isola. Dopo il colloquio, Corelli esce dal Municipio e racconta ai soldati italiani in attesa che, alla richiesta di resa il comandante greco gli aveva risposto con orgoglio: “Non ci arrendiamo a chi abbiamo sconfitto!”.  Una faccia, una razza” per invitare greci e italiani a rinascere sui valori della libertà dell’individuo, della giustizia e della democrazia che hanno per primi elaborato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


                                                                            

mercoledì 14 agosto 2024


 

O’ SCIA’

 

Di Vincenzo Calafiore

15 Agosto 2024 Udine

“…. Sai cosa c’è?

C’è il bisogno di parlare, avere

qualcuno che ti sappia ascoltare.

Io ho smesso di parlare e se succede

parlo senza abbassare gli occhi, non

per paura, ma perché semplicemente

guardo più in là, dove è inutile

appostarsi per aspettarlo.

Guardo il mondo da dentro i miei occhi

e per questo mi sento sempre più solo …. “

                              Vincenzo Calafiore

 

 

Guardo il mondo da dentro gli occhi, questo mondo dove sono nato e finirò i miei giorni. Qui è tutto provvisorio, è come se ogni individuo abbia già dal nascere il suo ruolo; da questa prigione non si scappa.

Per sopravvivere mi sono inventata un’altra vita, dove posso pensare a un mondo diverso, posso anche vederlo, da qui, dal buco di mondo dove sono rinchiuso e se ne parlo ti danno del pazzo, non ti aiutano a crederci.

Gli altri, quelli con cui è difficile parlare o averci a che fare ti ricordano quello che sei in ogni momento, ti ricordano che non sei come loro!

Questa per me è una grande fortuna.

Che cosa è la vita?

Di queste domande che si rincorrono nella mia testa sono tante, sono lunghe fila di prigionieri senza patria e senza amore tra le vie di città piene di imbecilli. A me stesso rimprovero l’inutile esistenza, e l’incapacità dei miei occhi che invano desiderano e cercano la luce lontani dalle guerre sempre più rinnovate, sempre più attuali.

A me stesso rimprovero i meschini giochi d’una esistenza, vicino alle follie, alle sofferenze attorno, i miei e degli altri i vuoti e inutili anni vissuti senza amore … la domanda ahimè è sempre la stessa: cos’è la vita, ricorre in mente mia e che cosa c’è di buono in tutto questo?

Uno come me davvero non ci può stare in questo mondo, e qualche volta vorrei andarmene tanto mi ha stancato.

Le notizie del mondo, quelle che ci dicono sono sempre le stesse, non cambia nulla davvero!

Della mia vita mi sono rimaste impresse poche emozioni, senza data; il mio tempo è una misura breve.

I cerchi dei giorni si ripetono, ritornano quelli che erano passati, e si sovrappongono gli uni sugli altri in maniera imperfetta e lo spazio tra uno e l’altro sono il mio prima e il mio dopo.

Il tempo è breve, quanto il mio essere O’Scià, un respiro, che a volte non appartiene a nessuno.

Lo stesso” momento” che mi sono inventato non è mai tornato, niente fa ritorno.

Gli occhi della vita possono anche ferire, guardandomi. In me è molto forte la consapevolezza di essere parte di un luogo, di un giorno, di un attimo, cose che non appartengono al mondo, nel quale uno come me deve giustificare la sua presenza, il suo provare a passarci.

Mi sento e vivo da estraneo, a volte non mi riconosco o faccio finta di non riconoscermi. Chiedo a qualcuno se conosce O’ Scià …  o cambia discorso o fa finta di non capire!

Solo uno mi ha detto: ho conosciuto tempo fa un uomo che mi ha parlato tanto e solo del mare …. Può darsi che lo abbia cercato con il nome sbagliato, penso.

In certi momenti ho avuto l’impressione di essergli stato molto vicino, di essermi ritrovato … ma ho visto una barca in mare battuta dalle onde, c’erano a bordo tre persone e uno di loro stava a poppa in piedi, perfettamente immobile.

Era O’ Scià!

Solo lui può rimanere immobile tra le onde come se non lo riguardassero: era questo il significato della vita!

 

 

 

 

martedì 13 agosto 2024


 

LA GRECIA ITALIANA

 

Di Vincenzo Calafiore

14 Agosto 2024 Udine

 

“ … ci chiamano, calabresi, siciliani,

pugliesi, ma noi siamo Greci.

Sentirsi greco significa portare il peso della cultura ed esserne gli eredi, con il compito di tramandare, portare non solo sangue greco, ma anche la consapevolezza di essere o sentirsi fortunati di essere eredi di uno dei filosofi più importanti del mondo, Socrate. E questo è , meraviglioso almeno per me. Questo di fatto ha suscitato la mia curiosità di esplorare la filosofia, la filologia e in generale ho scoperto un grande interesse per la storia greca. Ogni informazione che ho raccolto mi ha fatto sentire più orgoglioso. Le ricerche dei miei antenati mi hanno fatto spesso immaginare la loro vita.

                                    Vincenzo Calafiore

 

Da Vieste,Cuma, a Reggio Calabria.

Da Messina a Selinunte, Segesta, passando

per Catania, Siracusa, Camarina.

La Grecia in Italia è La Magna Grecia.

E’  - O’ SCIA’ – respiro!

 

 

Chiunque mi abbia chiesto in passato e mi chieda ancora oggi cosa sono, cioè se mi ritengo essere un italiano o greco, io ho sempre risposto e sempre risponderò di essere un greco, o meglio

Ateniese!

I nostri cugini o parenti stretti a riguardo di noi italiani fanno questa affermazione:

“ Grecia e Italia, una faccia,una razza “

Lo scrivo per coloro che ritengono che l’esistenza della Magna Grecia sia una bugia, una invenzione storica, di questi scettici ce ne sono tanti. La domanda è sono degli scettici o quel tipo di persone capaci di negare l’evidenza dei fatti ? Forse più questi.

Parlare della Magna Grecia è come compiere un viaggio ricco di emozioni nella storia di ieri e di oggi, un viaggio fatto di radici comuni, ma anche di contraddizioni e momenti bui. Oggi grazie a Dio quei momenti bui sono solo un brutto ricordo. Conosciamo le origini comuni con la Magna Grecia, la nascita degli stati nazionali di Grecia e Italia, il destino delle isole del Dodecaneso, l’Isola di Kastelorizo, Cefalonia, tanto a noi care. Ma cosa pensano i greci di noi e dell’Italia?

Italia e Grecia sono due paesi membri della UE e sono per loro sfortuna la frontiera meridionale di una Europa sorda e cieca, votata più al denaro che alla cultura e al rispetto delle diverse etnie che la compongono, accomunati da problemi uguali in tutto. Entrambi i paesi, un tempo culla della civiltà, sono oggi un po’ relegati ad essere la periferia di un continente dalla mentalità vecchia e egoista che pian piano le hanno sopraffatte. Continenti, che cercano di tornare protagonisti del Mediterraneo essendo loro, Grecia e Italia: il ponte verso i mercati del Nord Africa e del Medio Oriente.

Sentirsi greco significa portare il peso della cultura ed esserne gli eredi, con il compito di tramandare, portare non solo sangue greco, ma anche la consapevolezza di essere o sentirsi fortunato di essere erede di uno dei filosofi più importanti del mondo, SOCRATE. E questo è meraviglioso  per me. Questo fatto ha suscitato la mia curiosità di esplorare la filosofia, la filologia e in generale ho scoperto un grande interesse per la storia greca. Ogni informazione che ho raccolto mi ha fatto sentire più orgoglioso. Le ricerche dei miei antenati mi hanno fatto spesso immaginare la loro vita.

Consiglio a chi è profano di questa importante storia di acquistare e leggere se ancora lo si trova in commercio:

“Storia della filosofia greca”  di Luciano De Crescenzo. E’ un bel libro, importante e concludo con qualcosa di lui.

“ La Grecia , se intesa come modo di trascorrere la vita, è un grandissimo paese mediterraneo, fatto di sole e di conversazione, si estende fino alle rive del Volturno. Oltre questo confine, geografico e di comportamento, vivono i romani, gli etruschi e i mitteleuropei, tutta gente diversa da noi e con la quale non sempre è possibile instaurare un dialogo. Per capire meglio l’essenza di questa diversità, bisogna riflettere su un verbo, esistente nella lingua greca, che, non avendo corrispettivi in nessuna lingua, è di fatto intraducibile.

Questo verbo è <<agorazein>> che vuole dire recarsi in piazza per vedere che si dice e quindi parlare, comprare, vendere e incontrare gli amici, significa anche uscire di casa senza una meta precisa, gironzolare in attesa che si faccia ora di pranzo…..

Riflettete…AGOREZEIN!

 

  

lunedì 12 agosto 2024

 

Ulysses

 

 

 

  …… dunque è giunto ora il momento

di chiedersi di che morte moriremo, domani

quando il sole si alzerà dal mare sopra gli accampamenti.

Per mani di chi moriremo, e quanti non faranno più ritorno?

L’odore acre del sangue lo abbiamo respirato

assieme a quello della morte,

tanto da non distinguerlo più.

 

Quante volte ho pensato a voi miei morti,

giovani e vecchi, trapassati dalla mia spada;

ho pensato al dolore delle vostri madri, delle spose,

che non vi hanno visto più tornare  

dall’inutile guerra, da questa disumana carneficina. “

 

 

 

venerdì 9 agosto 2024

 

“ 1981 “

Dal Monologo – Quella luce negli occhi “

Di

Vincenzo Calafiore

 

 

 

 

La sera prima poco distante dall’imbrunire annunciò tempesta nella notte, aveva il cielo sfilacciato, ingarbugliato, conciliava alla riflessione, alla scrittura.

Nella stanza ormai nel buio, sul vecchio tavolo macchiato dagli inchiostri la tenua luce d’una candela ingigantiva i profili, era quella stanza  il –luogo magico - , la stilografica scorre con la leggerezza di una piuma sul foglio come se conoscesse una sua metrica e virgole, punti di sospensione, interrogativi, una sua intima narrazione di un pensiero che man mano prende forma vita.

Ogni cosa ha il suo tempo! , perfino il mio lento respirare come a voler rispettare la magia che di se lasciano nell’aria.

Sono parole che conoscendo il moto della lentezza così si muovo, hanno lo stesso moto degli occhi quando incontrano altri occhi, la stessa morbidezza di labbra appena sfiorate, appena baciate.

 

E’ il momento più sacro questo pensiero di lei!

 

Nel lento scorrere delle ore  pare che il tempo si fosse arenato ai bordi di un magico sogno che correva su quei fili d’argento di parole appese, come preghiere andine.

E’ stato come rimanere in una sospensione da cui poter allungando le mani dentro la lontananza, poter accarezzare un viso, sfiorare le labbra, sussurrare parole, prendere altre mani; ma anche andare alla ricerca di un sogno a metà, rimasto impigliato nella ragnatela di un acchiappasogni.

 

Il mio sogno era lì !

 

Un sogno non è merce di scambio , in quel sogno c’era tutto il significato della mia esistenza, la dignità, l’amore senza la limitatezza e l’ottusaggine di confini e barriere, la consapevolezza di un’altra esistenza, un altrove a cui andare, spogli della misera condizione umana.

Ecco perché l’Amore è sogno, esistenza, orgoglio, dignità!

Ecco perché non lo si può barattare un sogno, o insudiciarlo liberamente come accade a piene mani di questa umanità ipocrita quanto il suo essere.

 

Ma tutto ha una fine, tutto finisce, il sogno sfuma pian piano, man mano che la luce invade la stanza, fuggono le ombre con la stessa familiarità di un addio, tutto si mescola nell’aria che respiro, asprigna e sanguigna come un ultimo bacio.

Ecco se lei lo sapesse, o potesse saperlo quanto radicata fosse stata nella mia anima, fosse non se ne sarebbe andata via … come un ultimo sorso di un bicchiere di vino bevuto lentamente.

Questo amore che mi ha ubriacato di felicità, intima e preziosa ora è andato via senza lasciare tracce di se , svanito assieme alle ombre, nei fondi di un vino amaro in un bicchiere.

Ah… ! Quella luce negli occhi che a fatica riuscivo a guardare, forte come l’aurora, incantevole come la luce sul mare.

 

“ Incontrare “ è questo il verbo mancante a questa umanità … incontrare, cercarsi, amarsi!

 

giovedì 8 agosto 2024


 

….. e tu, chissà dove sei

Di Vincenzo Calafiore

9 Agosto 2024 Udine

“ … a volte mi pare di essere

un sogno che qualcuno ha

dimenticato di fare …… ! “

                     

            Vincenzo Calafiore

 

 

A questa età tutto mi appare più grande, più insostenibile; le parole si ingarbugliano e vengono storpiate dal fil di voce, tutto è diverso, nulla è come prima e pare di vivere oltre che essere come un sogno, piuttosto abbozzato che realizzato.

C’è che le mie parole sono più giovani di me, e continuano a girare per il mondo a produrre i loro effetti, a far nascere e tenere in vita universi, mentre io combatto la mia battaglia contro la vecchiaia sono in quel giro di boa sempre più stretto.

Come un guerriero non più in armi combatto una moltitudine di nostalgie, vivo sempre più in disparte, più piccolo, più ai margini.

Ho sempre pensato che in questo mio “ Ciclo momentaneo che è la vita ad essere, e non la morte inesauribile”, e deciso a realizzare il mio sogno d’amore oltre i confini dell’età, del lecito e del possibile, regalandomi per il mio traguardo appena tagliato una notte d’amore mercenario con una giovane donna.

Capita a volte di ricordare il disincanto e sentire l’amarezza, la stanchezza, che si deposita come una ruggine nei fondali della volontà e dell’immaginazione, della memoria.

…. e tu, dove sei?

Le nostalgie mordono il cuore, i luoghi sono ricordi che vanno svanendo, rimane nell’aria la fragranza sibillina di labbra come gardenie.

Dove sei adesso tu, ora che la sabbia della mia clessidra è quasi alla fine ?

Io ho amato molto vivere, degno del mio nome, dignitoso al cospetto della sofferenza che potrebbe sopraggiungere, ma chi ama vivere dovrebbe anche concepire che, se ha ben vissuto, la morte non è un dolore insopportabile, al contrario andrebbe difesa dal quel non senso e dall’angoscia dell’eternità.

Ora il paesaggio della memoria finisce con l’apparirmi distante, alternativo alle visioni e alle sensazioni del presente.

Ed è nell’abitare queste distanze che potrò cogliere la mobilità delle forme attorno che mi accompagnano al diverso percorso mentale.

La vita che si è persa, la vita che ho perduto nella tua assenza.

Vivo in un paesaggio della memoria che scandisce l’accaduto con tutta l’irrevocabilità del pensiero che fissa inesorabilmente ciascuno alla propria storia: solo che tra noi la storia si è interrotta già molto tempo addietro!

C’è qualcosa, forse una forza estranea e indistinta, seduta da qualche parte, provvede a riordinare i ricordi dando loro significato e freschezza, come una sorte del giorno prima …. E allora mi devo rassegnare alla nostalgia. Gli arabi la chiamano “ pianura proibita “ quel territorio dove i ricordi fanno nascere testimonianze di difficili prove.

L’amore e i ricordi dell’amore sono come uno specchio portato ovunque su tutte le strade…. La strada come metafora della vita, lo specchio, iconostasi tra soggetto ed oggetto, tra segno e significato … come metafora del pensiero, della mente.

La verità è che anche il tempo invecchia a noi resta il lavoro della nostalgia !

 

lunedì 5 agosto 2024


 

Persefone

Verso la Grecia, ritorno a casa, omaggio alla Madre Patria

 

Di Vincenzo Calafiore

6 Agosto 2024 Udine

 

Recarsi e visitare il Museo Archeologico Nazionale della Magna Grecia di Reggio Calabria è fare un viaggio di ritorno, è un ritorno alla Cultura, alla Bellezza e alla Storia, che ormai non ci sono più. E’ un andare verso la Grecia, un ritorno a casa!

 

Le collezioni archeologiche conservate presso il Museo Ellenico di Reggio Calabria, comprendono materiali che illustrano l’Arte e la storia della Magna Grecia ( dall’ottavo secolo a.C.) e materiale della preistoria e successivi periodi romano-bizantino.

Tra i reperti più significativi e di estrema Bellezza ricordo:

I Bronzi di Riace ritrovati a Riace in provincia di Reggio Calabria (Rhegion nella Magna Grecia).

La Testa del Filosofo , ritrovata insieme ad altri pezzi a Porticello, nei pressi di Cannitello 

( frazione di Villa San Giovanni), è parte un ritratto di Pitagora di Samo del V sec. a.C. ed è un rarissimo esempio di ritrattistica greca.

La Testa di Basilea, originale greco in stile "tardo-severo" del V sec. a.C. parte di una statua di Zeus Liberatore trovata nel relitto di Ponticello. Si tratta si una riacquisizione recente da parte del museo poiché fu trafugata al ritrovamento e venduta al museo di Basilea, da cui prese il nome prima della restituzione.

Il  “ Kouros di Reggio”, scultura che raffigura Apollo proveniente dal tempio di Apollo rinvenuto sotto la stazione ferroviaria di Stazione Lido R.C.

Il Cavaliere Marafioti scultura che raffigura un Dioscuro a cavallo portato da una sfinge, pertinente al Tempio di Zeus di Locri Epizefiri.

La collezione di “ pinakes”, ex voto in terracotta recanti a rilievo scene del ratto di Persefone, provenienti da Locri Epizefiri.

Tavolette bronzee, provenienti da Locri Epizefiri

Collezioni di gioielli, specchi in bronzo e medaglie, monili in oro.

 

Il Museo Archeologico Nazionale della Magna Grecia di Reggio Calabria per importanza è pari al Museo Egizio di Torino, non se ne parla molto, è cosa normale ( qui in Italia), ma vale davvero la pena di andarci e visitarlo per fare un tuffo in quel periodo di massimo splendore che fu la “ Magna Grecia”; ma visitare tanti altri Siti di grande importanza storica come lo è: “ Locri Epizefiri “ in provincia di Reggio Calabria.

 

PERSEFONE

 

Tra le pagine del mio vecchio vocabolario di latino ho trovato delle pagine di quaderno su cui avevo scritto di Persefone.

Chi era Persefone? ( Inizio con questa domanda)

Persefone era figlia di Demetra ( dea della terra) e Zeus, con Zeus è diventata madre di Persefone. Venne rapita da Ade a Hipponion ( Vibo Valentia prov. Di R.C. ) mentre raccoglieva dei fiori.

Persefone nel momento in cui stava raccogliendo dei narcisi la terra si aprì e Ade la portò giù negli inferi. Una volta negli inferi le venne offerta della frutta: ella mangiò senza appetito. Ignorava però che chi mangia i frutti degli inferi è costretto a rimanervi per l'eternità. La madre Demetra, dea della fertilità e dell'agricoltura, che prima di questo episodio procurava agli uomini interi anni di bel tempo e di raccolti, reagì disperata al rapimento, impedendo la crescita delle messi, scatenando un inverno duro che sembrava non avere mai fine. Con l'intervento di Zeus si arrivò a un accordo, per cui, visto che Persefone non aveva mangiato un frutto intero, sarebbe rimasta nell'oltretomba solo per un numero di mesi equivalente al numero di semi da lei mangiati, potendo così trascorrere con la madre il resto dell'anno. Così Persefone avrebbe trascorso sei mesi con il marito negli inferi e sei mesi con la madre sulla terra. Demetra allora accoglieva con gioia il periodico ritorno di Persefone sulla Terra, facendo rifiorire la natura in primavera e in estate. Se si suppone che Persefone sia rimasta con Ade per quattro mesi e con Demetra per otto mesi, corrispondenti agli otto mesi di crescita e abbondanza per essere seguiti da quattro mesi di assenza di produttività si può vedere il parallelo con il clima mediterraneo dell'antica Grecia. I quattro mesi durante i quali Persefone è con Ade corrispondono alla secca estate greca, un periodo durante il quale le piante sono minacciate di siccità. All'inizio dell'autunno, quando i semi sono piantati, Persefone ritorna dagli inferi e si riunisce con sua madre, e il ciclo di crescita ricomincia.

Persefone si innamorò del bell’Adone che contese ad Afrodite, questa storia finì davanti a Zeus che non sapendo cosa fare e per non scontentare ne Afrodite, ne Persefone, lo affidò loro separatamente, un modo simile alla permanenza di Persefone negli inferi, insomma divisa fra gli dei dell’Olimpo e l’Ade!

Il maggiore culto nel mondo greco fuori dalla Grecia continentale era localizzato a Catania, come testimoniato da Cicerone nelle Verrine e in Calabria. pinakes calabresi di Locri Epizefiri rappresentano una delle produzioni artistiche numericamente più consistenti dell'arte magno greca. I pinakes costituivano il dono prediletto dei fedeli alla divinità.

Il soggetto più ricorrente tra i frammenti conservati è proprio il ratto di Kore. Kore, “la fanciulla”, è l'epiteto che i poeti greci riservano a Persefone quando costei è ancora la giovane e innocente figlia di Demetra, prima che Ade la rapisca facendone la propria sposa. Le tavolette di Locri riproducono uno schema grossomodo fisso a cui ricorrono centinaia di rappresentazioni figurative greche: Ade, rappresentato come un uomo adulto dalla lunga barba, afferra per la vita la fanciulla riluttante caricandola di peso sul suo carro trainato da cavalli alati.

Ben altra atmosfera domina un altro consistente gruppo di pinakes, in cui la coppia divina siede in trono pacificata e celebra la propria hierogamia, le proprie nozze sacre. Talvolta la dea è raffigurata da sola, seduta in trono in atteggiamento maestoso, segno della sua preminenza nella devozione dei locresi.

Uno dei più famosi santuari d'Italia dedicato alla dea Persefone, il Persephoneion, si trovava proprio in Calabria, a Locri Epizefiri.