O’ SCIA’
Di Vincenzo
Calafiore
15 Agosto 2024 Udine
“…. Sai cosa c’è?
C’è il bisogno di parlare,
avere
qualcuno che ti sappia
ascoltare.
Io ho smesso di parlare e se
succede
parlo senza abbassare gli
occhi, non
per paura, ma perché
semplicemente
guardo più in là, dove è
inutile
appostarsi per aspettarlo.
Guardo il mondo da dentro i
miei occhi
e per questo mi sento sempre
più solo …. “
Vincenzo
Calafiore
Guardo il mondo da
dentro gli occhi, questo mondo dove sono nato e finirò i miei giorni. Qui è
tutto provvisorio, è come se ogni individuo abbia già dal nascere il suo ruolo;
da questa prigione non si scappa.
Per sopravvivere mi
sono inventata un’altra vita, dove posso pensare a un mondo diverso, posso
anche vederlo, da qui, dal buco di mondo dove sono rinchiuso e se ne parlo ti
danno del pazzo, non ti aiutano a crederci.
Gli altri, quelli
con cui è difficile parlare o averci a che fare ti ricordano quello che sei in
ogni momento, ti ricordano che non sei come loro!
Questa per me è una
grande fortuna.
Che cosa è la vita?
Di queste domande
che si rincorrono nella mia testa sono tante, sono lunghe fila di prigionieri
senza patria e senza amore tra le vie di città piene di imbecilli. A me stesso
rimprovero l’inutile esistenza, e l’incapacità dei miei occhi che invano
desiderano e cercano la luce lontani dalle guerre sempre più rinnovate, sempre
più attuali.
A me stesso
rimprovero i meschini giochi d’una esistenza, vicino alle follie, alle
sofferenze attorno, i miei e degli altri i vuoti e inutili anni vissuti senza
amore … la domanda ahimè è sempre la stessa: cos’è la vita, ricorre in mente
mia e che cosa c’è di buono in tutto questo?
Uno come me davvero
non ci può stare in questo mondo, e qualche volta vorrei andarmene tanto mi ha stancato.
Le notizie del
mondo, quelle che ci dicono sono sempre le stesse, non cambia nulla davvero!
Della mia vita mi
sono rimaste impresse poche emozioni, senza data; il mio tempo è una misura
breve.
I cerchi dei giorni
si ripetono, ritornano quelli che erano passati, e si sovrappongono gli uni
sugli altri in maniera imperfetta e lo spazio tra uno e l’altro sono il mio
prima e il mio dopo.
Il tempo è breve,
quanto il mio essere O’Scià, un respiro, che a volte non appartiene a nessuno.
Lo stesso” momento”
che mi sono inventato non è mai tornato, niente fa ritorno.
Gli occhi della vita
possono anche ferire, guardandomi. In me è molto forte la consapevolezza di
essere parte di un luogo, di un giorno, di un attimo, cose che non appartengono
al mondo, nel quale uno come me deve giustificare la sua presenza, il suo
provare a passarci.
Mi sento e vivo da
estraneo, a volte non mi riconosco o faccio finta di non riconoscermi. Chiedo a
qualcuno se conosce O’ Scià … o cambia
discorso o fa finta di non capire!
Solo uno mi ha
detto: ho conosciuto tempo fa un uomo che mi ha parlato tanto e solo del mare
…. Può darsi che lo abbia cercato con il nome sbagliato, penso.
In certi momenti ho
avuto l’impressione di essergli stato molto vicino, di essermi ritrovato … ma
ho visto una barca in mare battuta dalle onde, c’erano a bordo tre persone e
uno di loro stava a poppa in piedi, perfettamente immobile.
Era O’ Scià!
Solo lui può
rimanere immobile tra le onde come se non lo riguardassero: era questo il
significato della vita!
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