LA SOLITUDINE
di Vincenzo Calafiore
Amore la conosco bene la solitudine, a volte adorabile compagna a volte
gelida carezza nel cuore e sono stati baci di arresa.
Ai tuoi occhi di brezza iniziai a parlare come il mare.
Come il mare io ti parlo e tu vieni a
cercar le mie braccia che ti proteggono, docile di labbra azzurre nell’alba,
splendenti ai miei occhi stanchi inutili alla tua luce.
Si amavano di notte le mani, quando arcaici e palpitanti urli
scorrevano sotterra e le dune bianche stirandosi come arcaici dorsali sfiorati
da carezze di seta, mani, labbra che giungendo toccano.
Guardami e prendi unisci il sangue al
sangue tuo.
Amiamoci con le nostre labbra che nascono
da tempesta dura, labbra squarciate, speme su speme in mezzo fra vermiglio e
azzurro.
Là come il mare io ti amo in un letto, ancella
sanguigna.
Come il mare ti parlo e già muori nel
serrato urlo d’amore, là nel fare il giorno e tra le scure sabbie della notte.
Siamo corpi in balia di ore e baci di dente
contro dente. Corpi tesi di crescente desiderio come onde che su dai tuoi piedi
carezzano le cosce, corpi che sollevandosi fluttuano sopra un mare di grandi ti
amo.
Amore, come il mare ti parlo in una estesa intimità
di vivente solitudine.
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