IL FASCINO DELL’ATROCITA’
Di Vincenzo Calafiore
Alla fine del secondo conflitto mondiale sovietici e americani
scoprirono le atrocità commesse in quei campi di sterminio ormai noti a tutto
il pianeta.
Nel 1991 durante la guerra del Golfo diversi fotoreporter s’imbatterono
in colonne di veicoli militari, incendiati dai bombardamenti americani, nel Sud
dell’Iraq che contenevano ancora i corpi carbonizzati dei soldati, creature di
carbone e cenere con le sembianze umane.
Vennero fotografate e quelle immagini allora avevano fatto il giro del
pianeta, ma anche quelle dei campi di sterminio, allora.
Si era pensato che quelle orribili agghiaccianti immagini avrebbero
potuto in qualche maniera cambiato il modo o la maniera in cui si guardava la
guerra, che fino a quel momento era stata presentata come un’operazione chirurgica, quasi incruenta;
chi non le ricorda quelle parole?
Appunto per questo e perché avrebbero avuto quelle foto un effetto
inquietante, furono giudicate inadatte e quindi non vennero mai pubblicate, ma
fecero ugualmente il giro di tutte le redazioni del pianeta.
Come dimenticare la decapitazione di James Foley?
Penso che da sempre le immagini di morte sono state affascinanti, pur
essendo allo stesso tempo ripugnanti; diceva Edmund Burke, filosofo irlandese,
“ di una disgrazia atroce e inusuale;
quindi sia che ce la troviamo sotto gli occhi sia che la immaginiamo ripensando
al passato ci riempie di piacere”. Ma
poi si affrettava ad aggiungere: “
Anche se quel piacere si mescola al disagio..”.
L’eccessivo fascino che esercitano le atrocità moderne conferma la sua
teoria. Capita sempre o sovente che vedendo una persona morta o in agonia
vaghiamo in una misteriosa sensazione di sollievo che ci porta a pensare: “Per fortuna non sono io”, e il terrore di immaginare: “ Un giorno toccherà a me.”
Certo che è difficile immaginare una guerra senza le foto degli inviati
fotoreporter, sono immagini che raccontano, che turbano e definiscono le guerre
e lo fanno proprio attraverso l’orrore; la sofferenza che rappresentano è la
metonimia dei conflitti.
Mi chiedo: è dunque necessario vedere tutta la violenza della nostra
era? Le immagini brutali possono suscitare reazioni opposti: l’invito alla pace
o il desiderio di vendetta. Ma forse più semplicemente la tempesta di immagini
tradisce l’indifferenza nei confronti di quello che significano, come se in un
certo senso più vediamo e meno sappiamo.
La nostra è un’era scritta col sangue, da dimenticare, da cancellare.
Ogni giorno ad esempio il gruppo jihadista attivo in Iraq e in Siria guadagna
milioni di dollari grazie al contrabbando di petrolio e di reperti archeologici,
ai rapimenti e alle donazioni private. L’economia del gruppo è basata
principalmente sulla produzione e la vendita di risorse energetiche confiscate,
dalle tasse e dalle estorsioni a cui sottopone i civili, dal sequestro di conti
bancari e patrimoni privati, dai rapimenti. Si calcola che negli ultimi due
anni l’organizzazione abbia raccolto circa quaranta milioni di dollari di
finanziamenti da governi e privati di ricchi stati petroliferi come l’Arabia
Saudita, il Qatar e il Kuwait compresa una vasta rete di donatori formata da
principi, imprenditori e famiglie facoltose del Golfo Persico.
Sono cose note, ma necessarie alla politica, e fino a quando si
continuerà ad obbligarne la convivenza le cose non potranno cambiare e chissà
dove andremo a finire. Ma anche stiamo assistendo alla distruzione e al
saccheggio di siti archeologici e musei. Assistiamo alla nostra distruzione
pensando di non farne parte!
Ma ci sono anche le atrocità commesse contro le donne da parte di
uomini imbecilli e peggiori delle bestie, uomini violenti che vivono di
violenza, senza andare tanto lontano… sono tanti i casi, le statistiche parlano
di un loro aumento. Questi “ mezzi uomini “ andrebbero sbattuti in galera con
il vitto e l’aria e la qualsiasi cosa data una volta alla settimana fino a
farli morire in prigione o semplicemente metterli in condizione di provare su
loro la stessa violenza che hanno usato contro le donne.