venerdì 22 maggio 2015



Senti, è la pioggerellina di maggio


Di Vincenzo Calafiore

Nella mia solitudine di questo maggio nudo, si percepiscono rumori lontani mai sentiti prima, in mezzo a un bla bla a cui ero andato convinto che comunque sarebbe stata una cosa buona, che avrei ricevuto insegnamenti dai tanti profeti, dai tanti capaci di elargire a piene mani ogni cosa.
E mi sentivo in verità bene, oggi si potrebbe dire con azzardo, quasi beatificato di tanta gratitudine manifestata e acclamata; poi qualcosa si è rotto e di quel cerchio magico è rimasto ben poco se non la conferma che era tutto falsato dai cosiddetti tornaconti personali.
La cosa non è stata inaspettata, poiché a quel gioco del massacro partecipai con la consapevolezza che a un certo momento “volontariamente” avrei puntato la prora verso un’altra rotta, è stato per capire fino a che punto i – recitanti – avrebbero continuato a recitare la loro parte, scoprire i limiti esistenti tra ciò che comunemente o arbitrariamente viene definito – amicizia – l’altruismo, e l’arbitrio, la decadenza.
In “Liside” (in greco Λύσις) probabilmente è l'unico in cui viene messo in luce il concetto platonico di amicizia. In esso il filosofo, attraverso le parole del maestro Socrate, svolge una peculiare e cavillosa indagine per comprendere chi possa essere considerato amico e chi no, anche in base ad ipotesi formulate precedentemente da altri filosofi. L’amicizia, afferma infatti Socrate, è uno dei beni più belli che si possa desiderare, e lo stesso filosofo confessa di preferire un amico a qualsiasi ricchezza o bene materiale; tuttavia, Socrate ammette anche di non aver mai capito come una persona diventi amica di un’altra, e per questo motivo chiede l’aiuto di Menesseno, il quale, essendo amico di Liside, sembra esperto in materia.
Secondo Omero, “«il dio conduce sempre il simile verso il simile», Socrate ipotizza che un individuo può essere amico solo di un altro a lui simile: i giusti infatti non sono amici degli ingiusti ma di altri giusti, e chi subisce ingiustizie non ama chi le compie; i malvagi, d’altra parte, non sono amici di altri malvagi, ma questo si spiega con il fatto che essi sono incostanti e mai identici a se stessi. Tuttavia, che utilità può trarre un individuo da qualcuno che gli è simile e che quindi ha le sue stesse capacità? Un uomo buono, proprio perché buono, potrebbe bastare a se stesso, senza aver bisogno di rivolgersi a un altro uomo buono – e non avendo bisogno di nulla, non aspirerebbe nemmeno ad avere un amico.”
Questo è il punto, questo dunque il motivo per cui ad un certo momento un uomo ad un certo momento decide di tornare a queste origini, per salvarsi o per vivere in serenità lontano dal bailame inutile e controverso.
Così è successo che io ho puntato la prora verso altre rotte, lasciandomi alle spalle la massa, la moltitudine inutile e belante, i ruffiani e i lecchini, i peggiori truffatori d’anime.
E’ così che ho ritrovato la magia nella leggerezza di un’anima.
In questa distanza ho guardato.
Ho ricominciato a riprendere a tessere sogni,
a scrollarmi di dosso la vanità,
ho ripreso in questi silenzi a rimarginare vecchie ferite, a ripristinare quei ponti che erano andati dismessi, ho guardato quanto tristemente opaco ero diventato.
L’amicizia dunque è rumore di vento tra i canneti, come il rumore della pioggerellina di maggio sulle foglie, e sul bosco, sui tetti e sulle grondaie. Ma c’è un rumore di pioggia dentro che cade ormai da troppo tempo ove s’impigliano come pesci alla rete, braccia e ciglia, che non da serenità. L’ascolto quel rumore che appena mi fa respirare nei miei notturni, l’ascolto e precipitano le difese, mi permettono d’essere umano distruttibile e inconsistente mi fa risentire al risveglio il cuore battere, almeno fino a quando non smetterà di piovere dentro.





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