UN
VIAGGIO PER SEMPRE
Di Vincenzo
Calafiore
Un giornalaio
stava strillando fuori dal finestrino, le ultime notizie del Corriere, ancora
morti nel Mediterraneo, e ancora sbarchi e salvataggi; si tratta di continua
invasione del paese ormai pronto ad esplodere.
Ma a Corte,
nelle segrete stanze di regia, tutto perfino le notizie più banali vengono
ripulite e rivestite di ottimismo.
Furono da tempo
creati dei grandi centri di smistamento, che ora non riescono più a sostenere
il ritmo dell’invasione e già si pensa di buttare fuori dalle abitazioni, la
propria gente per dare le case ai nuovi inquilini, i nuovi padroni, il futuro.
A Corte sono
tutti contenti, mazzette che vanno e mazzette che entrano, intrallazzi e affari
d’oro con la nuovelle industria!
E noi?
Zitti e muti,
dobbiamo subire.
Guardo
l’orologio. << Ancora tre minuti e partiremo.>>
L’aria era
satura di polvere e di umidità, e il tremolare delle luci, fuori ricordava cose
familiari che si sono ormai perse.
L’animazione e
l’andirivieni dei facchini e dei giornalai per un momento richiamarono il
mercatino sotto casa e a quel ricordo mi avvinghiai cercando di dargli forma
nella mia mente, finchè assunse la stessa concretezza del marciapiede, fuori
dal treno, gelido e lavato dalla pioggia, e la stessa realtà delle mutevoli
luci dei semafori.
Non sopportavo
più di vivere nel paese che fino a ieri pensavo fosse mio, ecco perché mi trovo
su questo treno che va dritto agli avamposti estremi senza mai fermarsi.
L’ultimo sole si aprì un varco nelle nuvole, la luce
del tramonto illuminava vetri scintillanti, vicoli con pozze d’acqua ferma
irradiata per un istante di liquida luce.
In qualche luogo entro quel sudicio contorno si
estendeva la vecchia città, come un gioiello troppo contemplato, oggetto di
troppi traffici e di discorsi inutili.
Fuori da quel contorno si rivelò una solitudine di
appezzamenti di terreno, la cui monotonia era rotta da bassi muri colorati che
assorbivano la sera!
Noi su questo treno stavamo lasciando per sempre la
terra in cui siamo nati da generazioni, conquistata da grandi immigrazioni, tradita
dalle false alleanze strette con altri paesi.
I lampi dalle ruote divennero via via più visibili man
mano che il treno acquistava più velocità, come orde di pensieri scarlatti
adescati dalla notte nell’aria di campagne e praterie solitarie, rischiarate
dalla luna; cadevano e si smorzavano accanto ai lucidi binari.
Sull’argine della lunga linea scura giacevano
abbracciati vecchie puttane e ruffiani, attori e attrici dimenticati da un sistema
che muta per confondere e privare, capace
di eternarsi continuamente soggiogando e soffocando ogni principio, ogni
pensiero diverso.
Fuori scese l’oscurità e nei vetri dei finestrini noi
viaggiatori non scorgemmo altro che i riflessi trasparenti delle nostre
immagini; è un treno che parte pieno e torna vuoto alla stazione di partenza.
Se potessi dormire, pensai con bramosia, riuscirei a
ricordare più chiaramente tutte le cose che andrebbero ricordate; cose da
raccontare a chi prima di noi hanno già lasciato il paese, e che si stanno
riorganizzando ai suoi stessi confini per riprenderselo, ai nostri figli senza
futuro.
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