Immaginarti
Di Vincenzo Calafiore
15 gennaio 2016-Udine
( 100 pag. in una )
C’è la necessità di provare a volare, staccarsi dalla nuda terra della
quotidianità e spaziare altre latitudini, altri emisferi, che possano
permettermi di avere ancora un sogno, una buona motivazione di rimanere qui e
continuare a vivere le illusioni e le immaginazioni che come Fata Morgana sei
negli occhi miei.
Tu sapevi già con chi avresti condiviso il tuo tempo, quanti anni?
Cinque, sette o addirittura dieci! Ma potrebbero essere anche di più, forse da
sempre cioè da quando siamo nati, è da allora che le nostre anime hanno
cominciato a cercarsi inconsapevolmente, ci siamo persi su strade che ci hanno
allontanati e siamo stati senza saperlo vicini, gomito a gomito, sullo stesso
marciapiede nella stessa direzione, senza riconoscerci, senza scambiarci una
parola.
Intanto nasceva e cresceva dentro noi quel segreto richiamo
all’incontro finendo il nostro viaggio assieme.
Sono stato un tempo, capace di andare oltre i limiti imposti da un
invisibile, ma ho anche perso molte cose per strada.
Ho rifatto non so quante volte la stessa strada credendo di ritrovarmi
in una nuova, e sempre comunque spinto da quel richiamo di cercarti! Metà
d’anima mancante.
Ti ho cercata dappertutto e per farlo e mentre lo facevo, ho sbagliato,
non solo marciapiedi, ma anche i luoghi, ho sbagliato i tempi, ho ideato ponti
che potessero unire la mia strada alle altre che vedevo nei miei orizzonti, nei
miei scenari sul venir della sera.
Tu senza nome, né un volto eri già in me se pur immaginaria.
Sei stata tu a portarmi dove tu volessi che fossi, senza incontro,
senza vane speranze.
Tanto eri distante tanto ti
immaginavo, ti ideavo nella mia mente.
Tu sempre dolce e serena in me, mi hai fatto recitare le più belle cose
in ogni piazza, a ogni incrocio, su
strade di poca memoria sulle quali si sono assottigliate le file di tante vite,
a coloro che come me avevano l’ immaginazione
per sopravvivere alla morte.
Ma poi col passare degli anni, dopo tante traversate oceaniche su pezzi
di legno che a malapena galleggiavano naufragai su spiagge di un altrove che
più volte inconsciamente nelle mie notti bianche avevo già realizzato, dandogli
colori e luce, parole.
Le parole più belle che conoscevo, di altre lingue, di sconosciuti sognatori,
di nuovi sogni senza distanze e imprevedibili traiettorie che mi fecero
personaggio scomodo ripiegato sulle mie inquietanti ragioni di vita.
Ero allora in un deserto, in cui vagai non so per quanti anni,
incontrai carovanieri assetati e stanchi, senza la possibilità di poter parlare
da dietro un vetro, come fossimo tenuti in un’aria di controllata sospensione,
lontani da ogni via; in direzioni opposte, provati e stanchi di tante amarezze
e delusioni, sconcertati e sfiniti, amareggiati e da pochissime vittorie
soggiogati in un senso non senso.
Personaggi anonimi, disfatti come sopravvissuti lasciammo tracce di
malinconica irrequietezza nelle perplessità di uno spazio solcato di memorie!
Nelle offuscate visioni su quel mare che mi portava da un altrove
all’altro ormai da tempo, ti ho vista e sentii in me germogliare quel desiderio
antico e mai dimenticato.
Negli smorzati e struggenti colori d’autunno, tra le piogge di fogli
cadenti, ti ho trovata; io ormai ero che un sole rivestito di vernice opaca, mi
inebriai di luce e musica, di aromi finalmente ti avevo raggiunta!
Svegliandomi cancellai la nostalgia del sogno mentre al di là dei vetri
la pioggia continua a cadere senza tregua.
Era settembre inoltrato.
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