Gli occhi annegati
Di Vincenzo Calafiore
28 Agosto 2017 Udine
( Cento pagine in una)
“ … amami così come sono, un
sogno, dentro un sogno”
Vincenzo Calafiore
In questa notte che
si appresta a finire, che mi ha visto artista di strada ai margini di un sogno colorare muri di città che ai
sogni avean alzati muri sempre più alti.
In questa notte dai
suoi margini ho raggiunto lei che a poca distanza da me in un altro sogno ai
miei occhi era ancor più desiderata, e nel suo sogno non v’era traccia di me.
Cosa può essere o
cosa è, che senso ha o potrebbe avere la mia vita se lei non ne è parte, se lei
non è storia, se lei non è sogno.
Il più delle volte
in quelle notti afose e irrespirabili di un’estate come un mare salmastro, sono
andato a est verso Orione convito dalla mia certezza lì incontrarla;
sono andato da lei
attraversando i deserti che la realtà si lascia dietro a pochi passi, nelle
minime distanze tra occhio e occhio, tra pelle e pelle.
Sì ti ho sognata
conturbante tra lenzuola e cuscini quando da un bacio nascevano ali per un
paradiso a portata di mano.
Ma poi come fosse
una maledizione tutti e anche questo che mi lascia nelle sue tracce come a
voler lasciare tracce di se per un ritorno alla vita, si son frantumati sugli
scogli di un’alba d’agosto che non li raccoglie invece li respinge nel ventre
di un’altra notte che chissà come e cosa farà di me.
Tu sei quel colore o
quei colori che uso di notte,
quel desiderio che
il più delle volte nasce e muore sulle rive di un giorno.
Così ancora artista
di strada vivo ai margini dei tuoi margini, senza significato come un esiliato
che vuole morire nella sua terra, come onda che cerca la sua riva, quella che
ingoiandola la restituisce al mare in altra cosa, in altra forma.
Se Tu sapessi
dell’amore mio nuoteresti anche la tempesta pur di raggiungermi ove i tuoi no
mi hanno abbandonato e lasciato annaspare rischiando di annegare.
E’ così che ti amo,
ed è così che vorrei averti come pane caldo, da mangiare a piccoli morsi, per
sentirti più mia che preda di altri sogni non miei.
L’amore come tu mi
dicevi è quell’andare assieme verso l’ignoto, mano nella mano da incoscienti,
da predati dai sogni o dal quel desiderio comune di abbracciarsi e in un
abbraccio morire e rinascere ogni volta, ogni notte fino alle prime luci
dell’alba.
Ma la realtà è che
siamo come falene attratte dal buio ed è proprio li che noi ci incontriamo in
quel buio complice e ruffiano, all’improvviso in un’esplosione di felicità
racchiusa e contenuta in quel ti amo che sempre le mia labbra sussurrano
vedendoti o ascoltandoti.
Tu che sei felicità
e guerra,
tu che sei pan di
zucchero e sogno a metà
tu che mi fai
diventare funambolo sulla tua vita
perché non mi trattieni
tra le tue braccia, perché non mi finisci tra quelle lenzuola, tra quei
cuscini?
Forse altro non
siamo che occhi annegati nel mare di una felicità sentita e trattenuta, non
svelata per paura di perderla, io e te, che in questa tardiva estate sfinita da
un eterno a cui sperando vado.
Ma qui di eterno è
solo la distanza, l’incertezza, l’impossibilità di poter almeno sfiorare con le
dita il tuo volto, la tua pelle che sussurra e cerca amore.
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