L’Eterna primavera
Di Vincenzo Calafiore
21 Agosto 2017 Udine
“ La Casa,
non è una tana in cui rifugiarsi per la notte.
Non è una stazione di servizio in cui sostare per rifornirsi e
ripartire.”
Gran Ducato Rione Santa Caterina, Reggio Calabria.
Era uno dei più bei Rioni della mia Città, qui ha iniziato a
strimpellare strumenti musicali e a cantare Mino Reitano, ma c’era e c’è ancora
Stefano Federico, il “mio “ compagno di classe, l’Amico che abita nel cuore.
Ci si trovava alla “ Villetta” per giocare, per andare a scuola.
Pian piano quella “ Casa” cominciò a svuotarsi e vennero chiuse le
finestre, la porta, e tutto dentro cadde in un oblio; cominciarono a cadere gli
intonaci, i muri si scolorirono come si scolorì la mia vita.
A 16 anni il desiderio di andare via fu forte come un’onda che travolse
ogni cosa, così iniziò il mio viaggio con in spalla uno zaino che custodiva la
mia eterna primavera.
Le giornate in riva al mare,
il pane caldo
le strade in discesa
le scarpe rotte e maglioni bucati
le ginocchia sbucciate e la vita negli occhi.
Questa eterna primavera che fa capolino nei giorni miei ricorda la mia
casa amata e mai dimenticata.
Ma questa è un’altra storia, un’altra vita nella mia vita.
Quanto tempo è passato e la mia casa è sempre là, nel cuore.
In questo giro di pagina molte cose sono andate perdute, io nonostante
tutto non mi ci raccapezzo e vivo sospeso su un mare tra due terre diverse, una
specie di oblio in cui il più delle volte ritrovo come sa fare un archeologo
ricordi o frammenti di essi che comunque mi ricongiungono a quei 16 anni di cui
ricordo poco o niente.
Vivo in questa “ casa “ ancora col suo profumo, con la sua vita, con le
arie gaie e festose a cui mi aggrappo per non morire una seconda volta.
Ed oggi in una casa di latitudini diverse, con nostalgia sfoglio pagine
di un diario che si interrompe e riprende a vivere, è una magia di quegli
uomini che come me non hanno casa, né luogo; raccontano storie che sanno di
mare e vivono in una prigione da cui riescono a volte a vedere quanto si è
disperso.
Ad uno ad uno cadono i sogni e frantumandosi diventano parole di un
dialetto mai scordato, è un ponte che collega gli opposti, sapessi almeno in
quale opposto vivo!
E’ la dannazione degli intrepidi o di coloro che hanno attraversato il mare
su un pezzo di legno in una lunga deriva col tempo di riportare su un vecchio
portolano quanto la mente suggerisce, è un raccontare vita o fare vita.
A volte l’alba mi trova con un pezzo di pane caldo fra le mani e io mi
vedo in quella dimensione a cui spesso torno…
Ma, vallo a spiegare a chi oggi che non sa cosa significhi “ casa “ o
che non sa cosa significhi il voler tornare a casa per rimanerci!
Vallo a spiegare a chi del mare ha paura e si ferma sulla riva a
guardarlo.
Vallo a spiegare a chi corre così velocemente da non riuscire più a
parlare o a scrivere una lettera, per dire: torno a casa o per dire
semplicemente: ti amo, mi manchi, voglio o desidero che tu rimanga con me a
parlare guardandoci dritti negli occhi, stringendoci le mani.
Vallo a spiegare a chi della brutalità e della violenza ne fa abiti o
vesti da indossare.
A volte se giro la testa per guardare in dietro li vedo tutti lì
ammucchiati in un angolo come foglie raccolte dal vento, i miei anni ed è
proprio in quel momento che mi rendo conto di avere in mano una chiave vecchia
e arrugginita.
E’ la chiave di casa mia come una donna, come una sposa a cui tornare.
Nessun commento:
Posta un commento