giovedì 26 novembre 2015





Se una notte….

Di Vincenzo Calafiore
27 Novembre 2015-Udine

<L’amore è un viaggio che non finisce mai>


Così certe notti di tempesta, annaspando tra le creste spumeggianti dei ricordi, a fatica trovo riparo sulla sabbia bianco salino: la mia fucina di parole.
Sul tavolo la mia penna, la matita, gli appunti di viaggi …. A guardarlo il mio tavolo di lavoro sembra un paese del sud  con la sua bottega, il barbiere: punti d’incontro! E contadini in attesa di campi: gli appunti.
La mia “ fucina” di parole di ogni giorno che come nuvole corrono sotto un cielo azzurro, così grande, così mare, così accogliente di navi e bastimenti, sponde e paesi, vecchi in attesa di speranze o cose che si preparano a morire.
Il mio tavolo in disordine, a volte è terra di confine che rimane lì ferma in attesa di un qualcosa, una stella cadente che la illumini; a volte sovrastato da cupo silenzio perché tutto è stato detto e scritto nelle brevi istantaneità di pensieri venuti da un’altra vita di sofferenze.
Di notte si illuminano i paesaggi, cambiano le visioni che vogliono dalle mani colori forti e parole scabre come l’esistenza, inizia a stento il cammino di viaggiatori viaggianti dai volti pronti ad affacciarsi alla memoria con le loro pene per i sogni che hanno perduto uno dietro l’altro nel buco nero di un paradiso indifferente.
Tuttavia le parole scivolano e si aggrumano come gocce di rugiada a grappoli agli angoli bui di bianchi fogli in attesa, le odo come bisbigli ma sono risonanze di parole difettose e rugose,  catramate, parole dette forse amare o per amore; l’amore per la cultura, per la conoscenza, per un vivere diverso, vie che costringono il divenire dei sogno, a scrivere: che bel verbo è!
Esse raccontano e io guardo il mondo! ,  mi sembra di guardare uno spettacolo decadente e di maschere sporche di sangue, di uomini affamati, di luce, sogni, parole, verbi da coniugare, che giungono da ogni epoca dopo aver sconfitto la morte; uomini come insetti preistorici divenuti memoria nelle pellicole dei sogni, ove si muovono come personaggi su traiettorie e scie luminose che alla fine li consegnano alla tragica fine di una vita più o meno utile, più o meno dolce, più o meno vita.
Sono io che mi affaccio agli albori della vita con l’anima piena di pensieri remoti come un viaggiatore viaggiante venuto da un paese di neve e di fantasmi che popolano la mente, pronto quasi a voler uscire di scena.
Come un attore che sente in se le voci di un amore perduto.
Da quei fogli nascono racconti umani che pongono una rappresentazione discreta di simboli e allegorie, realismo composto e note di dolori antichi, sentimenti immediati con personaggi sanguigni e non manichini.
Storie di un mondo rotondo nei blu, nei chiaroscuri adolescenti, cupo e desolato di altre vite che appaiono e svaniscono nel nulla di un’attesa quotidiana.
Scritture sull’onde di eventi, amori, affanni e segreti da raggiungere nei vani di un vuoto che cancella ogni mia certezza, mentre tornano i giorni passati o dei nuovi fermi in attesa di una nave arrugginita che scompare alla prima luce del giorno.
Sono io, viaggiatore stanco che ha negli occhi notti di agonie e città di pietra priva di speranza con le mani insanguinate di destino, verso un assurdo senza senso ne spazio per gli odori dei campi, di cieli sgargianti, di venti, in cerca di una foiba dove andarsi a seppellire.
Tuttavia in quei colori la morte appare un dolore sopportabile difesa nel suo essere, senso non senso; così come ci sono tante maniere di vivere, esistono altrettanti modi per morire, un congedarsi dalla vita senza scelta, andar via come fogli senza parole senza un filo che le possa legare alla vita che si fa sempre più sottile, senza contenuti umani per cambiare l’inizio e la fine.














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