Se una notte….
Di Vincenzo Calafiore
27 Novembre
2015-Udine
<L’amore è un
viaggio che non finisce mai>
Così certe notti di
tempesta, annaspando tra le creste spumeggianti dei ricordi, a fatica trovo
riparo sulla sabbia bianco salino: la mia fucina di parole.
Sul tavolo la mia
penna, la matita, gli appunti di viaggi …. A guardarlo il mio tavolo di lavoro
sembra un paese del sud con la sua
bottega, il barbiere: punti d’incontro! E contadini in attesa di campi: gli
appunti.
La mia “ fucina” di
parole di ogni giorno che come nuvole corrono sotto un cielo azzurro, così
grande, così mare, così accogliente di navi e bastimenti, sponde e paesi,
vecchi in attesa di speranze o cose che si preparano a morire.
Il mio tavolo in
disordine, a volte è terra di confine che rimane lì ferma in attesa di un
qualcosa, una stella cadente che la illumini; a volte sovrastato da cupo silenzio
perché tutto è stato detto e scritto nelle brevi istantaneità di pensieri
venuti da un’altra vita di sofferenze.
Di notte si illuminano
i paesaggi, cambiano le visioni che vogliono dalle mani colori forti e parole
scabre come l’esistenza, inizia a stento il cammino di viaggiatori viaggianti
dai volti pronti ad affacciarsi alla memoria con le loro pene per i sogni che
hanno perduto uno dietro l’altro nel buco nero di un paradiso indifferente.
Tuttavia le parole
scivolano e si aggrumano come gocce di rugiada a grappoli agli angoli bui di bianchi
fogli in attesa, le odo come bisbigli ma sono risonanze di parole difettose e
rugose, catramate, parole dette forse
amare o per amore; l’amore per la cultura, per la conoscenza, per un vivere
diverso, vie che costringono il divenire dei sogno, a scrivere: che bel verbo
è!
Esse raccontano e io
guardo il mondo! , mi sembra di guardare
uno spettacolo decadente e di maschere sporche di sangue, di uomini affamati,
di luce, sogni, parole, verbi da coniugare, che giungono da ogni epoca dopo
aver sconfitto la morte; uomini come insetti preistorici divenuti memoria nelle
pellicole dei sogni, ove si muovono come personaggi su traiettorie e scie luminose
che alla fine li consegnano alla tragica fine di una vita più o meno utile, più
o meno dolce, più o meno vita.
Sono io che mi
affaccio agli albori della vita con l’anima piena di pensieri remoti come un
viaggiatore viaggiante venuto da un paese di neve e di fantasmi che popolano la
mente, pronto quasi a voler uscire di scena.
Come un attore che
sente in se le voci di un amore perduto.
Da quei fogli nascono
racconti umani che pongono una rappresentazione discreta di simboli e
allegorie, realismo composto e note di dolori antichi, sentimenti immediati con
personaggi sanguigni e non manichini.
Storie di un mondo
rotondo nei blu, nei chiaroscuri adolescenti, cupo e desolato di altre vite che
appaiono e svaniscono nel nulla di un’attesa quotidiana.
Scritture sull’onde
di eventi, amori, affanni e segreti da raggiungere nei vani di un vuoto che
cancella ogni mia certezza, mentre tornano i giorni passati o dei nuovi fermi
in attesa di una nave arrugginita che scompare alla prima luce del giorno.
Sono io, viaggiatore
stanco che ha negli occhi notti di agonie e città di pietra priva di speranza
con le mani insanguinate di destino, verso un assurdo senza senso ne spazio per
gli odori dei campi, di cieli sgargianti, di venti, in cerca di una foiba dove
andarsi a seppellire.
Tuttavia in quei
colori la morte appare un dolore sopportabile difesa nel suo essere, senso non
senso; così come ci sono tante maniere di vivere, esistono altrettanti modi per
morire, un congedarsi dalla vita senza scelta, andar via come fogli senza parole
senza un filo che le possa legare alla vita che si fa sempre più sottile, senza
contenuti umani per cambiare l’inizio e la fine.
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