venerdì 11 novembre 2016



Scrivere

Di vincenzo calafiore
11Novembre2016Udine


Tra un mese, in questo stesso momento e giorno avrò compiuto 70 anni!
Per me non sarà certo un giorno da festeggiare per il significato che esso ha, guarda bene che non si tratta di tristezza, bensì di consapevolezza; è di vecchiezza che si tratta, forse il mio ultimo giro di boa, anzi senza il forse è il mio ultimo giro di boa.
Sarà il momento di raccogliere tutti i miei “ portolani “ e ricominciare a sfogliarli e rileggere le mie antiche emozioni, le mie folli trasvolate, ma più di tutto i progetti per costruire la mia astronave a remi che ho realizzata e con la quale mi muovo e in cui maggiormente vivo.
E’ una bella età ancora con il suo verginale profumo, con le sue essenze, col suo “ bambino “ dentro che per certi versi mi ha fatto rimanere quel che sono uno “ gnomo occhialuto” che sa vivere solamente di notte nei silenzi di tante anime mie.
Appresso c’è il mio passato, tanti lo chiamano vissuto, a me piace che si chiami passato che non tornerà più, come gli amori, gli affetti, la mia famiglia andata perduta nei lenti ritmi di risacche lunari a malappena percepiti, di questa, non è rimasto nulla se solo ci fossero ancora ricordi!, e quelli che ho, non bastano più, perché io mi senta a casa mia.
C’è però un luogo sicuro, la notte.
E’ lì che si affollano ricordi appannati di volti che aspettano da qualche parte che avvenga il ricongiungimento tra me e loro, ci sono i discorsi di cui ricordo qualcosa, ci sono i miei fantasmi che parlano tanto.
Ed è in quel luogo sicuro che scrivo a volte fino all’alba senza fatica se non fosse per gli occhi; dicono che a scrivere sia un lavoro da vecchi, a questo “ pensiero “ di tanto intanto ci torno e mi rendo conto di quanto sia vecchio io, invecchiato assieme alla mia Olivetti nera dal ticchettio dei tasti che tanto rassomiglia alla pioggerellina che cade su lamiere arrugginite nelle sere d’inverno.
Ora è come se mi fossi infilato in un lungo autunno, che pian piano mi consegnerà ad un inverno silenzioso in cui si udranno le ossa scricchiolare come la carena di una barca stanca di mare, senza amore, senza più occhi, senza più mani.
Sfogliando quei portolani ho ritrovate le primavere sugli altipiani di Asiago, gli altopiani della grande guerra, i bagni nei canali d’irrigazione nelle sperdute campagne arse di sole; ma più di tutto ho riletto le distanze tra me e la vita che intanto correva più veloce della mia scandita da altro ritmo, da altra musica.
Ma quanta nostalgia, mi si velano gli occhi a rivedermi fiero e orgoglioso lottare con certe mareggiate bastarde, mi si velano per gli anni che sono andati sciupati per una sopravvivenza e non per una vita, tutto è stato come se io non fossi mai uscito fuori da una condizione di povertà in cui sono nato.
Non so quanti libri abbia divorato, e gli studi, la filosofia e la psicologia fino a qui a questa mia stazione ai confini del mondo!
A guardarmi ci sono giorni che non mi riconosco nel vedermi occhialuto e curvo su un libro da correggere, e penso allora che la mia vita tanto rassomigli a un manoscritto rimasto depositato in qualche cassetto del tempo e ora rispolverandolo non riesco più a raggiungerlo il tempo, gli affanni accorciano la misura del passo, si amplificano le distanze del mio – si – nelle brevità dei tanti – no -.
Poi penso ad un amore, a un grande amore che ora vive da un’altra parte; a cui ho dato la mia vita! La chiamo vita tanto mi rassomiglia …. Allora si che è vita.
Ce anche il lato oscuro, quel cassettone che custodisce ciò che più ha amareggiato ed un mare nero che si muove, a volte è un cielo cupo carico di nuvole nere piene di distanze, di incertezze quasi distanze temporali, ove il ricordo si fa rancore, miseria, povertà spirituale. Potrei quasi farmi gli auguri ora, adesso che la vita mi sorprende ed è ogni giorno inizio di una nuova avventura sapendo che una volta superata la boa, scomparirò nella bruma che aleggia su un mare che si muove se appena lo guardo.
Penso a quante mani si tendono per stringere la mia, ai sorrisi, agli occhi che mi cercano e mi amano, penso che sia valsa la pena di quanto è stato fatto e di quello che farò dopo: il suono della campana!


1 commento:

  1. Sei arrivato anche tu a distanza di un mese e un giorno, saremo in due ad ascoltare i battiti di quella campana così come un tempo che ci ha visti protagonisti e seduti uno accanto all'altro in quella classe elementare, noi ragazzi del 46. Ciao da Stefano Federico.

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