Meglio una vita, che
una vicevita
Di Vincenzo Calafiore
04 Luglio 2018 Udine
Spesso nelle ore notturne, o in quelle maratone davanti a
uno schermo a leggere e rileggere quanto è stato scritto, tra un caffè e una
sigaretta fumata in balcone che si affaccia non sul mare, come un tempo
accadeva, ma sui tetti di anonimi capannoni industriali rifletto sulla mia
scelta di aver voluto vivere la mia “vita” e non una “vicevita” imposta da un
sistema idiota, crudele il più delle volte; sistema che vuole e fa vivere le
apparenze, l’indebitamento,il consumismo d’ogni genere di cosa sentimenti
compresi.
Mi rendo conto che non è facile la mia vita che se ne frega
delle ore forzate in palestra, o di correre,pedalare,della moda, delle cose di
ultima generazione, degli amori consumati come fossero serate in discoteca.
Mi rendo conto che è difficile comprendere la mia filosofia
del “morire normalmente” piuttosto che in salute e forma perfetta …. Tanto
morire si deve tutti!
La mia scelta quindi di vedere la mia vita e approcciarmi ad
essa come a un romanzo da scrivere; quindi aprirsi subito con le atmosfere di
una favola ( la mia favola) che urta contro la realtà, si frange in molti
riferimenti di magiche visioni, si allunga nei dettagli di un immaginario che
regolarmente poi si manifesta.
Allora accade di notte, quando tutto è silenzio e tacciono i
motori, che l’immaginazione mia urticante investe tutte le risorse della
scrittura, si compone di sospensioni, versatilità dei temi, un insistente gioco
di intrecci per costruire un racconto che spazi nei rigorosi rispetti dei ritmi
narrativi e degli snodi che portano sempre più lontano da questo sistema
idiota, ma anche per catturare anime, come dire loro, a quelli che stanno
dall’altra parte … “ guarda che è possibile vivere una vera vita che piuttosto
una vicevita… “
La mia immaginazione ha disegnato e progettata la “
Pegasus” la mia Astronave a remi con la
quale andare e venire da qualsiasi parte di ogni mio – altrove – il luogo in
cui le varie storie si incrociano, nascono nella spiritualità che le rende
essenziali, vitali proprio nella loro nudità, nel loro accadere naturalmente.
E allora qualcosa di straordinario, quasi di metafisico,
aleggia negli – altrove- delle albe attese in riva al mare, nei tramonti, ma
anche sui puri nomi delle persone amate, sulle verità scarne, su quei posti
lontani e segreti visitati da uomini in continuo passaggio: un transito
febbrile di storie, racconti, destini, in una dimensione perenne dove tutto è
presenza, è amore, è vita. Che crescono senza rumore dentro il cicaleccio degli
storni, per andare e tornare consoli vittoriosi e in rotta a sbaragliare santi
perseguitati e vaticinanti, duchi e proscritti, schiavi e dominatori e una
vicevita in svogliato cammino verso un umiliante sospeso con i suoi padroni.
La vita che si evidenzia con particolari che consegnano a
una fotografia in bianco e nero, racconto di terre remote filtrati da
un’affabulazione lenta, sommessa, - sogni- che sono i motori di una “ Pegasus”
lontana sempre più in spazi siderali.
La forza negli slanci di vita ove l’amore è quello che è, la
vita è quella che è sempre in un ignoto a cui andare con fiducia, con speranza,
per sconfiggere la morte del quotidiano, la morte che macina e polverizza ogni
risorsa e aspetti di umana vita.
Quindi la scelta di vita per combattere un sistema tutto
apparente, tutto ipocrita, tutto moine e versetti in pubblicità di un
inesistente simile a un demonio dell’inferno peggiore.
Ma c’è la voce tonante della cultura, della fantasia,
dell’immaginazione, come fosse la voce di Zeus e non ha soste il viavai che io
da narratore tengo stretti e ben custoditi nei lunghi giorni di vita, come se
mi crepasse il cuore a lasciarli ripartire in un altro viaggio.
E intanto anche questa notte ho atteso la nascita di una
figlia per caricarmela sulle spalle e portarla a vedere il mondo lontano dal
mondo.
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