Le parole che non ci
sono
Di Vincenzo Calafiore
21 Luglio 2018 Udine
“ … non c’è nulla di peggio
che
seguire come fanno le pecore,
il gregge di coloro che ci
precedono,
perché essi ci portano non
dove dobbiamo arrivare,
ma dove vanno tutti.! “
Vincenzo
Calafiore
Hai mai visto
un’alba sullo Stretto, hai mai ritrovato le parole che vorresti dire e invece
sono rimaste lì avvolte nei colori accesi dello scirocco?
A guardarla sembra
di trovarsi in un paesaggio egemone o in una dimensione metaforica, in un
ricordo.
L’aria soffocante e
chiusa nel pulviscolo rude degli interni di un animo soggiogato, l’aria di parole
ora aguzze, ora lisce come uno scoglio, lente come il tempo nel meridione, ora
sudaticcio, ora secco e polveroso, salino, scandito più dal frinire di cicale e
dai ragli lontani di asini all’ombra di alti eucalipti.
Parole che tendono
al viaggio o a un’idea tra favola e realtà, che scandiscono,assorbono,sovrastano
le azioni, esaltano le voci di dentro, le selezionano, le fanno luminose, o
opache, le dissolvono, le rincorrono per riprenderne una traccia, una memoria,
un suono, un profumo.
Ciò toglie
autenticità terrena alle varie sequenze che passano per la mente come fosse un
film, anzi le pone in una zona di solitaria, petrosa visibilità ove
inconsciamente vivo in attesa di un baratto o di un vento forte che divelti i
recinti di filo spinato attorno a una chiesa silenziosa animata dai voli di
passeri
Forse avvertito dal
lettore un sotterraneo legame con l’autore e il ripetersi ( che fa di una
realtà una visione) di immagini, moduli, strutture, su cui si va in tal modo
costruendo una sorta di atmosfera in cui fotogrammi veloci spezzano i ritmi,
propongono altri temi e sfondi, altre sfide, ma avvolgente una costellazione di
luci e colori, sapori, mediterraneità.
Così il filo
conduttore di una realtà dentro un sogno sprofondato quasi alla fine del
secolo, più che appartenere al vincolante traino quotidiano, è un’alba o un
crepuscolo, un tramonto, ma sempre qualcosa di meraviglioso, di inaspettata
bellezza che si profilano agli orizzonti smarriti le parole che non ci sono,
dei loro colori accesi di scirocco e del loro tagliente guizzo di rapina negli
occhi.
Le parole che non ci
sono, si sviluppano, si avvolgono su loro stesse, si diramano e vanificano gli
episodi di una realtà concreta e immaginata, fumando una sigaretta nell’ombra
di una lampada di vetro verde.
Gli occhi cercano i
registri, i righi affollati di parole che avrei dovuto consegnarle una sera
davanti a un bicchiere di vino e un
piatto di formaggio su un tavolo sgangherato dietro un davanzale che guarda
lontano il mare.
E sono
autenticamente vere quelle parole che non ci sono, nella loro vitrea immobilità
nell’istante in cui gli occhi si incontrano per raccontarsi….
Ma oltre il bianco
degli occhi, dietro quel fantastico sipario si radunano dietro la vetrina
affollata nel compatto scorrere labiale, ma contratto di visi che sgusciano
affannati da un brulichio di pene e di speranze.
E ancora la
ragnatela fitta del potere delle parole, gli intrighi delle labbra, la ventosa
folata di felicità che gira nei vicoli del cuore; e forse quelle parole che non
ci sono insegnano a vedere le figure vicine trasformarsi in incanto di un
teatro mai spento.
E invitano a
sollevarsi dal fango, dalla miseria umana, dal borgo, dal ciaccolio inutile che
trasforma in cicale arse e vuote o insegnano a volare nell’aria come un bambino
che corre in contro alle braccia della madre ….. le mie parole che non ci sono!
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