Burrasca
Di Vincenzo Calafiore
17Febbraio2019Udine
“ …. Più ti addentri sulla
spiaggia
e più senti la voce del mare e
rimani lì in silenzio
coi piedi affondati nei
ciottoli di ogni colore.
Guardi la risacca come fa a
prendersi quei sassi
e facendoli rotolare li porta
via, lì fa ritornare
lì posa lì dov’erano nello
stesso luogo e posto diverso.
Capisci così che la vita fa
alla stessa maniera, solo
che non sai mai in quell’andare
e tornare
cosa ostacolerà la tua folle
corsa….. “
Vincenzo
Calafiore
Di notte, ancora con
una sigaretta in mano, a guardare fuori senza alcun interesse tanto è buio,
tanto è il cielo spento; sembra di trovarmi su un palcoscenico di un teatro di
periferia, un teatro di avanspettacolo, canzoni e balli, scenette di penosa
comicità.
Mi invade un
maledetto e immenso taciturno, parole asserragliate in bocca e pensieri ancora
da farsi.
Penso a quanto è
stato rifatto, ai silenzi in cui molto ho soggiornato, e quelle solitudini
plasmate sulla pelle come carta marina di rotte segnate ormai quasi dimenticate.
Dinanzi a quel “
nulla “ mi rendo conto di non essere nessuno come individuo, sono solo una
delle anime che a milioni sono passate qui, su questa spiaggia che muta e
cangia continuamente e non da mai la possibilità di ritornare allo stesso
posto.
Penso alle vite
perdute, migranti, pellegrini, illegali, soldati, prostitute, contrabbandieri …
allora capisco tutte le leggende del mare, sulle voci, le ombre, i morti che
ritornano.
Penso a quanto è
andato perduto, a quei fari che si sono spenti, alla mia deriva e non so
spiegarmi cosa ci sia a fare su questa spiaggia, ma penso anche alle distanze
quando non contavano i passi fatti ma i giorni per colmarle e la deriva diventa
sempre più lentezza, attesa, immaginazione, sempre più sogno, sempre più
mendicante di se stesso alla ricerca della mia barca: il nesso naturale fra il
tempo e lo spazio!
Stranamente la mia “
Pegasus “ all’ormeggio non fluttua in una sospensione ma si è adagiata
su un fianco come in
attesa di un bravo cartografo che le dia una nuova rotta; sul tavolo il mio “
isolario “ con tutte le rotte segnate negli spazi già attraversati sempre più
con ritorni accidentali lo sfoglio come se non appartenesse a me, alla “
Pegasus” e sfogliandolo vedo le cose non come sono oggettivamente ma come le
vede chi naviga: la “ Pegasus” !
Non conta più la mia
età, ma quanto sia inconfondibile, capace di sapere “ dove sono “!
Com’è buia la mia
alba.
Non una luce, niente
di niente per tanta notte in solitaria in una morte apparente e avere il
coraggio di svegliarsi, levarsi da un controvento, da una terra nera, ecco perché
mi dico con affanno: “ mi salva il cielo… la - Pegasus – “
Vorrei essere da un’altra
parte sono come un timoniere che viaggia naso per aria, l’orologiaio dell’universo
mi dice la strada fra le costellazioni.
Verso Venus l’unica
cosa luminosa sono gli incendi di dentro sento l’odore della vita bruciata.
Ardevano e ardono
ancora mille fuochi attorno al suo nome, lei così tanto in me, tanto
prigioniera di altre mani che non la fanno volare.
E poi ci sono io
come Eubea, l’isola che non c’è !
E poi in questo
tempo di novilunio …. I roghi di piante resinose sulle barche… falò naviganti
per raggiungerla nel suo sognare e sogni da farsi.
Di notte arde anche
l’immaginazione, ti porta ancora più lontano da te stesso, in fondo al pensiero
di lei di poterla ancora amare chissà per quanto, verso i roghi divini di Zoroastro,
i bivacchi dei nomadi come me negli immensi deserti, tra i monti dell’impossibile,
dove finirà la mia corsa.
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